Urbanesimo planetario e COVID-19
di Sonia Paone
Mentre ormai in ogni parte del mondo si implementano politiche per fronteggiare quella che si sta rivelando la peggior pandemia dopo l’influenza spagnola del 1918-20, lo scenario più inquietante riguarda la prospettiva che il COVID-19 si diffonda nelle aree in cui, negli ultimi decenni, sono cresciuti in maniera incontrollata i tassi di urbanizzazione.
Dal 2007, per la prima volta nella storia della umanità, la maggior parte della popolazione mondiale vive in aree urbane (più del 55% secondo gli ultimi dati disponibili, quasi il doppio rispetto al 1950). Questo storico traguardo è stato raggiunto grazie alla recente urbanizzazione dei paesi poveri. Infatti, tra la fine del Novecento e gli inizi del Terzo Millennio, dapprima in America Latina, poi in Asia e molto più di recente in Africa, abbiamo assistito ad un vertiginoso aumento della popolazione urbana, tale da disegnare lo scenario inedito del cosiddetto urbanesimo planetario.
Tuttavia, l’urbanizzazione dei paesi poveri si è presentata con delle importanti specificità. Prima fra tutte, il ritmo vertiginoso di crescita, che ha determinato l’esplosione delle cosiddette mega-città (città con più di dieci milioni di abitanti). Nel 1950 le mega-città erano solo due: New York, con più di 12 milioni di abitanti, e Tokyo, che ne aveva circa 11 milioni. Oggi le mega-città sono 31 e sono per lo più collocate nei paesi poveri. Guardando la classifica delle città più grandi del mondo notiamo che accanto a Tokyo, giunta ad avere quasi 38 milioni di abitanti, si trovano (con più di 20 milioni di abitanti) Delhi, Shanghai, Mumbai e San Paolo, mentre le città africane continuano a scalare la vetta. È stato calcolato che nei prossimi dieci anni Lagos in Nigeria e Kinshasa in Congo saliranno fra le prime trenta città più grandi al mondo1.
Ma il gigantismo non è il solo aspetto peculiare della urbanizzazione dei paesi poveri. Infatti, in questi contesti si è allentato il vincolo che storicamente ha legato la crescita della città allo sviluppo economico e sociale. Il vertiginoso aumento della popolazione urbana non ha dischiuso percorsi reali di emancipazione sociale per gli abitanti e le mega-città sono sostanzialmente enormi contenitori di poveri. Dal punto di vista urbanistico, queste realtà non sono pianificate, ma si sono ingrandite a partire dall’occupazione dei suoli o da forme di lottizzazione speculativa privata (il mercato delle baracche) a cui si è accompagnato quel grande fenomeno di produzione di città dal basso che è l’auto-costruzione. In assenza di politiche pubbliche per la casa e a causa di un mercato degli affitti regolari per lo più privatizzato e per questo inaccessibile, le città dei paesi poveri sono infinite distese di quelli che vengono definiti insediamenti informali2.
UN-Habitat – l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di insediamenti umani – ha adottato, già a partire dagli inizi degli anni Duemila, una definizione operativa di slum, nel tentativo di intervenire sulle drammatiche condizioni abitative che caratterizzano gli insediamenti informali.
Secondo questa definizione siamo in presenza di uno slum quando, per una unità familiare che condivide lo stesso tetto, mancano uno o più dei seguenti requisiti: accesso all’acqua (accesso ad una quantità sufficiente di acqua potabile per l’uso familiare, che sia reperibile senza eccessivi sforzi e ad un prezzo sostenibile); accesso ai servizi igienici (la presenza di un sistema fognario, sia nella forma di bagno privato o di bagno pubblico condiviso con un numero ragionevole di persone); spazio vitale sufficiente (la condizione per cui meno di tre persone condividono la stessa stanza, che deve essere minimo di 4 metri quadri); qualità/durata delle abitazioni (costruzione adeguata alla protezione degli abitanti da agenti atmosferici, ma anche da crolli e altre calamità naturali); garanzia del possesso (protezione contro espulsioni o sgomberi arbitrari e illegali) 3.
Secondo i dati raccolti da UN- Habitat a partire da questa definizione una persona su otto e in totale quasi un miliardo di persone vive oggi negli slum, la stragrande maggioranza nei paesi poveri. In molte realtà del Latino America, dell’India, del Pakistan e dell’Africa sub-sahariana è più del 50% della popolazione urbana a vivere questa condizione. Ad esempio, nel solo slum di Dharavi a Mumbai in India vivono circa 1,5 milioni di persone e solo il 20% di queste ha accesso all’acqua potabile, i livelli di tossicità sono tre volte superiori a quelli consentiti e le malattie dovute alle pessime condizioni igienico sanitarie fanno parte della vita quotidiana.
Da quanto detto è chiaro che enormi sono le difficoltà di fronteggiare una epidemia di nuovo Coronavirus in contesti in cui le norme igienico-sanitarie e il distanziamento sociale sono di fatto impraticabili, perché è la stessa condizione abitativa a generare malattia.
Inoltre, l’informalità negli agglomerati urbani dei paesi poveri non riguarda solo l’abitare, ma anche il circuito della sopravvivenza. Infatti, altrettanto informali sono le economie che sostengono gli abitanti degli slum, impegnati in tutta una serie di attività lavorative scarsamente remunerative, senza nessuna tutela e protezione. Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro sono circa due miliardi le persone nel mondo che lavorano nell’economia informale e la maggior parte di queste vivono nei paesi in via di sviluppo. In questo senso, già le scelte di lockdown che molti paesi e città stanno adottando avranno conseguenze devastanti sull’economia informale, producendo ulteriore povertà Abbiamo avuto un assaggio di questo scenario in India. La chiusura totale decisa dal primo ministro Modi ha provocato l’esodo verso i villaggi di origine di milioni di abitanti degli slum delle principali città indiane4, privati da un giorno all’altro delle loro misere fonti di sussistenza, in un paese in cui i lavoratori informali sono il 90% della popolazione attiva5.
Alcuni hanno paragonato l’avanzata del nuovo Coronavirus ad una apocalisse, nel senso etimologico del termine, ossia ad un disvelamento capace di scoprire ciò che era nascosto e che non potevamo (o volevamo) vedere. In questo caso il virus ha disvelato l’ingiustizia che ha accompagnato l’urbanizzazione dei paesi poveri. E su questa ingiustizia è sempre più urgente e necessario intervenire, se vogliamo a continuare a pensare alle città come luogo di promozione dei diritti e di inclusione sociale.
Note
1 United Nations, Department of Economic and Social Affairs, Population Division (2018), World Urbanization Prospects: The 2018 Revision.
2 S. Paone, A. Petrillo, F. Chiodelli (2018), Governare l’ingovernabile. Politiche degli slum nel XXI secolo, ETS, Pisa.
3 United Nations Human Settlements (2003), The Challenge of Slums, Global Report on Human Settlements.
4 H. Mander, L’India si è fermata e i più poveri moriranno, “Internazionale”, 3/9 aprile 2020.
5 M. Miavaldi, Lavoro informale: il trucco del boom indiano, “il Manifesto”, 11 aprile 2020.