Donne e potere in Africa: parole nuove per una nuova società
di Daniela Cuomo
Le donne devono sempre ricordarsi chi sono, e di cosa sono capaci. Non devono temere di attraversare gli sterminati campi dell’irrazionalità, e neanche di rimanere sospese sulle stelle, di notte, appoggiate al balcone del cielo. Non devono aver paura del buio che inabissa le cose, perché quel buio libera una moltitudine di tesori. Quel buio che loro, libere, scarmigliate e fiere, conoscono come nessun uomo saprà mai.
Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé, 1929
Grazie all’invito a una conferenza organizzata dall’Osservatorio per gli Studi Internazionali del Mediterraneo nell’ambito del progetto “Donna e potere. Africa e Medio Oriente”, ho avuto modo di riflettere e lavorare insieme ad alcune colleghe africane su un tema che, oggi, sta diventando molto importante in Africa: il nuovo ruolo delle donne nei “luoghi di potere” tradizionalmente gestiti solo dagli uomini.
In effetti, in molti campi si assiste alla valorizzazione del ruolo femminile: due donne sono oggi presidentesse in Tanzania e in Etiopia; una donna africana è a capo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e delle attività dell’International Mission Board per l’Africa Sub-Sahariana; voci di donne sono sempre più presenti e riconosciute nel mondo del giornalismo, dell’arte, della scrittura, e sempre più donne si trovano a capo di organizzazioni che si occupano di diritti fondamentali, cooperazione internazionale e pace.
La cooperazione internazionale è un ambito in cui la presenza femminile è da sempre molto forte, soprattutto in Africa, forse perché “la cura” fa parte delle attività di cui le donne, in un modo o nell’altro, si occupano tradizionalmente.
Le donne in Africa sono solite mobilitarsi a partire da necessità specifiche e concrete. Un esempio ben conosciuto è quello di Wangari Maathai, concentrata sul problema della deforestazione in Kenya. Giovane eco-femminista, entrata in politica nel suo paese, prima donna africana a ricevere il Premio Nobel per la Pace, cominciò col piantare alberi fino a fondare il Green Belt Movement, organizzazione a prevalenza femminile finalizzata più in generale alla preservazione dell’ambiente, che si è poi estesa in altri paesi dell’Africa orientale ed è attiva ancora oggi, dopo la sua scomparsa.
Partendo da questa prospettiva e, avendo constatato per esperienza come la capacità e la volontà costanti di lavorare insieme siano tra i fattori più importanti per realizzare progetti di cooperazione internazionale efficaci, ho chiesto ad alcune colleghe keniane e tanzaniane di scegliere delle parole chiave che descrivessero le caratteristiche del “potere femminile” nella cooperazione e di individuare alcune donne da portare come esempio.
Tutte queste colleghe, comprese le attiviste del Centro Mondialità Sviluppo Reciproco, associazione che offre sostegno scolastico a distanza, hanno espresso grandissima fiducia e speranza verso le donne oggi impegnate politicamente in Africa: ne condividono l’approccio universalistico ai diritti, innovativo e profondamente legato ai bisogni delle persone, in particolare a quelli delle donne, al loro diritto di essere autonome, di poter studiare, lavorare, essere tutelate dalla legge contro i matrimoni precoci, l’infibulazione, le violenze dentro e fuori la famiglia.
Roberta Pellizzoli, in un interessante articolo apparso su Oltremare, rivista online dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione Internazionale, mette in evidenza che dal 1995 a oggi, nel mondo, il numero delle donne parlamentari è raddoppiato, passando dall’11,3 al 23,3%, per quanto con grandi differenze da paese a paese, arrivando al 23,7% in Africa sub-sahariana. Come afferma l’autrice, “l’Africa sub-sahariana è un caso particolarmente rilevante: il Ruanda è il primo paese al mondo per numero di donne parlamentari (61,3%) e tredici paesi del continente hanno superato la soglia del 30%”. E specifica: “L’aumento della partecipazione politica delle donne nei paesi dell’Africa sub-sahariana a partire dalla seconda metà degli anni ’90 è riconducibile a una serie di fattori, quali l’apertura al multipartitismo e la conseguente creazione di uno spazio politico allargato, nel quale le organizzazioni e i movimenti delle donne hanno acquisito maggiore visibilità e voce, fuori dal controllo dei partiti unici; l’impegno di alcuni partiti politici – come l’African National Congress in Sudafrica e il Frelimo in Mozambico, saliti al governo dopo decenni di lotte di liberazione che avevano visto un ampio coinvolgimento delle donne – a promuovere la rappresentanza femminile attraverso il sistema delle quote; l’impeto creato dagli esiti della Conferenza delle donne di Pechino del 1994, che ha dato forza e legittimità alle domande di cambiamento interne ai paesi”.
Alcune domande, a questo punto, sorgono spontanee: la presenza di queste donne in politica e nelle istituzioni produrrà un cambiamento duraturo? Quali sono le parole chiave cui esse fanno ricorso per affrontare il loro ruolo e rendere più efficace la loro azione? Ecco le risposte che, dall’Africa, mi hanno suggerito proprio le donne.
Competenze e responsabilità
Anna, una collega tanzaniana che si occupa per CMSR Tanzania di progetti legati all’empowerment femminile attraverso l’educazione e l’indipendenza economica, mi parla di competenze e responsabilità. Ha in mente il senso di responsabilità nei confronti degli altri, la necessità di essere profondamente competente per avere una visione d’insieme e di lungo periodo e offrire soluzioni efficaci ai problemi endemici della propria terra. Mi parla anche di Samia Suluhu Hassan, Presidentessa della Tanzania che, nel suo discorso di insediamento, ha dichiarato: “Alcuni dubiteranno che io possa adempiere al mio dovere a causa del mio genere, ma Allah non ha creato una mente debole per la donna e una mente potente per l’uomo. Possiedo la forza di guidare questa Nazione e non dovrò alzare la voce per farlo”.
Visione trasformativa e inclusiva
Rosemary Kamanu, direttrice del CRISS Project all’Università di Nairobi, progetto finalizzato a fornire assistenza tecnica e rinforzare il sistema sanitario nelle contee di Kiambu e Kirinyaga, afferma che “alla base del lavoro delle donne c’è una visione nuova, aperta al cambiamento, disponibile a correre il rischio di nuovi approcci e, nello stesso tempo, una visione inclusiva verso tutte e tutti”. Mi parla di Leymah Gbowee, pacifista liberiana responsabile della direzione di un movimento femminile per la pace, il Women of Liberia Mass Action for Peace, che ha contribuito a porre fine nel 2003 alla seconda guerra civile liberiana. Gbowee ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace nel 2011, a motivo della sua “lotta nonviolenta per la sicurezza e i diritti delle donne alla piena partecipazione al lavoro di costruzione della pace”. Lei stessa ha dichiarato: “Dobbiamo continuare a lottare unite in sorellanza per trasformare le nostre lacrime in trionfo. Non c’è tempo per riposare fino a quando il nostro mondo non raggiungerà l’interezza e l’equilibrio: un mondo in cui tutti gli uomini e tutte le donne siano considerati uguali e liberi”.
Determinazione e resilienza
Mercy Musomi, direttrice del Girl Child Network di Nairobi, parte dalla sua esperienza personale e mi dice che, per riuscire a fare la differenza e assumere un vero ruolo di leader, è necessaria una grande determinazione e la capacità di essere resilienti. Le difficoltà si moltiplicano, le delusioni sono all’ordine del giorno. Lo sono nella vita quotidiana ma, ancor più, quando una donna è alla guida di un’associazione internazionale, poiché deve lavorare il doppio di un uomo e con grandissima convinzione per ottenere i risultati che vuole raggiungere. Mi dice che uno dei modi fondamentali per perseguire i propri obiettivi è quello di cercare alleati tra gli uomini; cosa che lei fa anche tra i Maasai, andando oltre ogni stigma, con progetti contro l’infibulazione delle bambine, coinvolgendo uomini che hanno sposato donne non infibulate come testimoni di una vita migliore per sé e per le proprie mogli. Mi ricorda, infine, un proverbio africano che amo molto: “Se le donne abbassassero le braccia, il cielo cadrebbe”.
Coraggio e passione
Patricia Kwamboka lavora da anni nelle baraccopoli di Nairobi. È la fondatrice e l’attuale direttrice di Alliance for the Protection of Children, un’associazione che si occupa in particolare di madri single adolescenti. Lei mi parla di coraggio e di passione. Perché ci vuole coraggio a parlare di temi scomodi, come i matrimoni precoci, le violenze domestiche, l’infibulazione; e ci vuole una grandissima passione, unita alla capacità di condividerla, per convincere le donne e gli uomini che queste pratiche possono e devono essere cambiate.
Patricia mi parla anche di Nice Nailantei Leng’ete, operatrice Maasai di AMREF che, da ragazzina, si ribellò scappando all’età di nove anni per non subire la mutilazione genitale insieme alla sorella. Ritrovate e picchiate, le due sorelle sono fuggite di nuovo. Orfane di entrambi i genitori, hanno potuto contare sul sostegno del nonno, che si è assunto la responsabilità di non farle “tagliare”, come si dice in gergo, e di farle tornare a scuola. Così Nice ha deciso di dedicare la sua vita a contrastare la pratica dell’infibulazione con tutta se stessa ed è diventata la portavoce di un’importante campagna internazionale su questi temi: “adesso – afferma – lotto affinché ogni ragazza possa diventare la donna dei propri sogni, proprio come me”.
Personalmente mi piace ricordare il termine coniato da Alice Walker, autrice de “Il colore viola”: womanism. Una womanist ama le donne e ciò che rappresentano, ma ama anche gli uomini, così come desidera fare bambini; combatte il razzismo, il patriarcato, l’oppressione, ma teme i separatismi. Quei separatismi che si oppongono alla filosofia dell’ubuntu, che in lingua bantu significa “benevolenza verso il prossimo” e che permea il “fare” delle donne africane.
Mi vengono in mente, per concludere questa breve riflessione, le parole di Djaili Amadou Amal, un’attivista e scrittrice femminista di lingua francese nata nel 1975 a Maroua, nella regione musulmana del Nord del Camerun: “Quando scrivo penso alle donne in Mali, Italia, America, Cina, Francia, Burkina Faso, Senegal, Camerun, e in tutti i paesi dove queste vivono nelle stesse condizioni. Musulmane o cristiane. Finché ci sarà un’altra donna sottoposta a matrimonio forzato, finché ci sarà una donna picchiata, uccisa o stuprata, l’argomento non sarà mai obsoleto”. Un messaggio che vale oggi, più che mai, anche nel mondo occidentale.
Daniela Cuomo si occupa di cooperazione internazionale, con un’attenzione particolare a progetti socio-sanitari ed educativi rivolti alle donne in East Africa. Ha lavorato con varie ONG, tra cui AMREF e World Friends. Attualmente è referente dell’area progettazione del Centro Mondialità Sviluppo Reciproco. E-mail: daniela@cmsr-org