giovedì, Novembre 21, 2024
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Crescita economica e trasformazioni sociali: dove va la Repubblica Popolare Cinese?

di Andrea Vento

 

La tumultuosa crescita economica cinese

La struttura economica cinese ha registrato, dalla sua fondazione a oggi, un eccezionale sviluppo. A luglio 2019, l’Istituto Nazionale di Statistica della Repubblica Popolare ha quantificato, per il periodo compreso fra il 1949 e il 2018, una crescita del Pil a un tasso medio annuo addirittura dell’8,1%.

A seguito dell’approvazione delle “Linee di riforma e apertura economica” che hanno avviato la transizione del sistema economico, a partire dal 1979, e per i due decenni successivi (grafico 1), la Cina ha vissuto una rapida, ma non sempre regolare, crescita con percentuali variabili tra il 4 e 14% annuo. Dopo il rallentamento del 1998-99, a seguito della crisi finanziaria dei Paesi de sud-est asiatico, ha iniziato ad aumentare di nuovo sino a un massimo del 14% nel 2007, alle soglie della crisi globale, per poi gradualmente ridursi sino a stabilizzarsi dopo il 2012 su valori di poco inferiori all‘8% e assestarsi, nell’ultimo quinquennio, su incrementi compresi fra il 6 e il 7% (tabella 1).

Da uno sguardo sinottico della fase post-maoista, corrispondente agli ultimi 40 anni, emerge come, a seguito delle riforme, l’economia cinese sia cresciuta a una media del 9,4% all’anno: un tasso superiore di oltre 3 volte rispetto al 2,9% della media mondiale.

Grafico 1: Tassi di crescita a confronto (anni 1984-2013). Diagramma lineare: variazione annua del Pil in percentuale. Istogramma: crescita entità totale del Pil in reminmbi (o Yuan, con cui si identifica l’unità monetaria di base).

I vertiginosi tassi di crescita hanno sospinto una potente espansione dell’economia: il Pil, sempre secondo il ricordato rapporto dell’Istituto Nazionale di Statistica cinese, dai soli 67,9 miliardi di yuan del 1952 ha raggiunto i 90.030 miliardi di yuan (circa 13.140 miliardi di dollari) nel 2018 (con un incremento di ben 1.325 volte), un valore pari al 16% del totale dell’economia mondiale. Mentre il Pil pro capite nel 2019 ha superato per la prima volta quota 10.000 dollari, facendo attestare la Cina fra i paesi a sviluppo intermedio.

Tabella 1: Tassi di crescita annuali dell’economi cinese, periodo 2015-2019, rilevati in base a “la nuova normalità”. Fonte: Banca Mondiale

Il forte surplus commerciale degli ultimi 15 anni (grafico 2), nonostante sia sotto attacco a seguito della guerra commerciale innescata da Trump, ha consentito alla Cina, ormai prima potenza commerciale mondiale dal 2013, di accumulare nelle proprie casse, sino al 2018, ben 3.070 miliardi di dollari di riserve valutarie. Si tratta, per il tredicesimo anno consecutivo, del più alto valore a livello mondiale. Nello stesso periodo, la Cina è divenuto il primo partner commerciale di Giappone (2004) India (2008) e Brasile (2009), scalzando gli Stati Uniti.

Grafico 2: Andamento import-export Repubblica Popolare Cinese, anni 1995-2017 (in miliardi di dollari). Fonte: The Observatory of Economic Complexity.


 
La “Nuova normalità”

Il delicato passaggio degli ultimi dieci anni, costituito dal rallentamento della crescita al di sotto del 10%, è stato accuratamente pianificato e gestito dalla dirigenza cinese attraverso una specifica politica economica: approvata nel marzo 2015 dall’Assemblea Nazionale, essa ha assunto la denominazione di “Nuova normalità”. Vi si prevede non solo la riduzione e l’assestamento dei tassi di crescita, per gli anni successivi, intorno al 7%. Come annunciato in quell’anno dallo stesso Primo Ministro Li Keqiang, la Cina «deve conservare un equilibrio tra la necessità di assicurare una crescita costante e quella di promuovere aggiustamenti strutturali». «Metteremo in atto la strategia “Made in China 2025″ – ha proseguito Li Keqiang – cercando uno sviluppo basato sull’innovazione, perseguendo lo sviluppo verde e raddoppiando i nostri sforzi per migliorare la Cina, facendola diventare da un produttore di quantità, uno di qualità».

Gli obiettivi individuati dal governo sono molteplici. Si tratta di trasformare l’apparato produttivo tramite l’espansione del settore Hi-Tech con il conseguente ridimensionamento del manifatturiero a basso costo e basso valore aggiunto. Di diminuire l’inquinamento. Di aumentare il reddito dei ceti più bassi al fine di ridurre le disuguaglianze sociali ma, anche, di incrementare la domanda interna per compensare il rallentamento di quella internazionale. La Cina, quindi, ha cercato di porre rimedio all’andamento incerto, e tendenzialmente in fase di rallentamento, dell’economia mondiale (tabella 2) cercando di aumentare i consumi nazionali e di creare un «mercato interno capace di essere volano dell’economia, per i prossimi anni a venire», ha concluso il Primo ministro Li.

Tabella 2: Variazione annua % Pil e commercio mondiale di beni nel periodo 2015-2021. Fonte: Wto, 6 ottobre 2020.

Progresso e trasformazioni nel corpo sociale cinese

La tumultuosa crescita cinese ha prodotto, per il paese nel suo complesso, eccezionali progressi in campo economico, come appena evidenziato, con significativi riflessi positivi anche a livello sociale. Secondo la Banca Mondiale da quando, a fine 1978, Deng Xiao Ping ha fatto approvare le “Linee di riforma e apertura economica”, circa 850 milioni di cinesi sarebbero usciti dalla povertà estrema. A livello metodologico specifichiamo che, in condizione di povertà estrema, attualmente in Cina si trova una persona con un reddito annuo inferiore ai 3.218 yuan, corrispondenti al cambio attuale a circa 1 euro e 10 centesimi al giorno, quindi un parametro meno stringente rispetto alla soglia fissata dalla Banca Mondiale di 1.90 dollari al giorno (1,61 euro). Tuttavia, anche se ridotta ai minimi termini, la povertà non è stata ancora completamente sradicata soprattutto nelle aree rurali, dove si trovano gli ultimi 5,51 milioni di poveri assoluti censiti a fine 2019 al cospetto di circa il 43% della popolazione cinese che abita complessivamente nelle campagne. Il governo con il lancio, il 4 febbraio 2018, del piano di “vitalizzazione delle campagne”, si è posto l’obiettivo di far crescere l’economia delle aree rurali e ridurre, entro il 2034, lo squilibrio città/campagna, con lo scopo intermedio di eliminare completamente la povertà nel 2020, come previsto dal nuovo ciclo di lotta alla povertà inaugurato nel 2012, quando i cinesi in povertà assoluta ammontavano a 98,99 milioni.

La struttura sociale cinese, dopo l’egualitarismo dell’era maoista, ha subito profonde trasformazioni con la formazione di una corposa classe media composta attualmente da 430 milioni di persone che, concentrate in prevalenza nelle aree urbane, insieme all’elite socio-economica composta dai nuovi ricchi, rappresentano i ceti economicamente in fase di espansione. Infatti, se la prima si è in pratica formata nel breve arco di 2 decenni, anche i secondi, i più facoltosi, sono in rapida crescita come testimoniato dal Billionaires Report 2018, dal quale emerge come miliardari, non i soli componenti di questa classe sociale, in Cina siano passati dai 16 del 2006 ai ben 373 nel 2017 e con un trend in accelerazione visto che proprio in quell’anno se ne sono registrati 89 di nuovi, esattamente il triplo rispetto agli Usa. I miliardari cinesi, circa un quinto del totale mondiale, hanno, inoltre, incrementato il loro patrimonio del 39% rispetto al 2016, facendolo salire a 1.120 miliardi di dollari.

La classe media cinese emergente è contraddistinta da un’educazione di alto livello. È informata, abituata a viaggiare, orientata all’acquisto di prodotti tecnologici, all’utilizzo dei social network e allo shopping online. Apprezza i prodotti occidentali e, in particolare, il made in Italy, pertanto rappresenta, soprattutto per la sua entità numerica, il ceto su cui il governo fa leva per l’espansione dei consumi interni. Le previsioni del rapporto McKinsey 2013, che fissava il reddito della classe media cinese tra i 9 mila e 34 mila dollari all’anno, aveva previsto che nel 2022 il 75% dei consumatori urbani della Repubblica popolare sarebbe appartenuto a tale fascia, confermando sia la sua crescita numerica, sia la sua concentrazione nelle aree urbane della fascia costiera, a più alto tasso di urbanizzazione e maggiormente progredita dal punto di vista economico.

Un ceto sociale, al pari dei nuovi ricchi, strettamente legato al Partito Comunista Cinese (PCC), in quanto il processo di espansione dell’economia è stato, e resta tutt’ora, subordinato al successo delle politiche implementate dal governo. A smentire le previsioni di alcuni politici e analisti occidentali, in particolare statunitensi, in base alle quali la classe media una volta raggiunta la prosperità economica avrebbe iniziato ad avanzare richieste di riforme politiche in modo da arrivare a scardinare l’egemonia del partito dall’interno, è stato lo stesso Quotidiano del popolo. L’organo ufficiale di stampa del PCC, nel 2017 ha, infatti, affermato che l’ascesa della classe media non rappresenta una sfida all’autorità del Partito, anzi è fondamentale per sostenerne la legittimità. L’articolo, andava oltre, specificando addirittura che la classe media era diventata una forza trainante nel mantenimento della stabilità interna e che i paesi che ne risultano sprovvisti, come quelli mediorientali e latinoamericani, affrontano crisi politiche e turbolenze sociali cicliche.

 

Andrea Vento è tra i fondatori del Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati (GIGA) e insegna geografia nell’Istituto “A. Pacinotti” di Pisa. E-mail: andreavento2013@gmail.com