venerdì, Aprile 26, 2024
Conflitti

Le radici della crisi bielorussa

di Andrea Vento

 

La crisi politica scoppiata in Bielorussia a seguito della diffusione di risultati delle elezioni del 9 agosto 2020, che hanno assegnato per la sesta volta consecutiva la vittoria al presidente Lukashenko con l’80,1% dei consensi, giudicati dalla maggior parte della società civile frutto di frodi elettorali, ha fatto improvvisamente salire alla ribalta delle cronache il paese ex sovietico, dopo esser rimasto a lungo ai margini dei riflettori mediatici internazionali. Quella che segue è un’analisi focalizzata sui principali aspetti economici, sociali, politici e geopolitici della Repubblica Bielorussa: il suo scopo è fornire strumenti analitici e documentati di comprensione, superando i limiti di una informazione che talvolta risulta dettata da posizionamenti geopolitici e condizionamenti politici preconcetti.

 

La situazione economica e sociale

Il modello economico della Bielorussia è stato definito da alcuni analisti come “socialismo di mercato”, essendo caratterizzato da una economia di mercato ma con forte presenza dello stato, soprattutto nei settori strategici e nei servizi essenziali, con le aziende pubbliche, secondo l’agenzia Reuters, che generano il 70% della ricchezza prodotta e assorbono 2/3 della forza lavoro. Per quanto riguarda il livello di sviluppo economico la Bielorussia, a parte i tre stati baltici entrati nell’Unione Europea (Lituania, Lettonia ed Estonia), risulta, secondo il Fmi, la repubblica ex sovietica con il quarto Pil pro capite nominale più elevato (circa 6.500 $ nel 2019) dopo Russia (11.160 $), Kazakistan (9.140 $) e Turkmenistan (7.820 $), paesi ricchi di risorse del sottosuolo, e superiore ad Azerbaigian (4.690 $) Armenia (4.530 $), Georgia (4.290 $) e Ucraina (3.590 $).

Dal punto di vista dello sviluppo sociale, grazie a un ampio welfare state, ereditato dal modello sovietico, il governo bielorusso è riuscito a garantire buone condizioni di vita ai circa 9,5 milioni di abitanti attuali: la speranza di vita media secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2015 era infatti di 73,2 anni, inferiore solo a Georgia (76,6), Armenia (75,1) e Azerbaigian (72,7) e molto vicino alla Lettonia (73,6) che peraltro registra un Pil pro capite quasi triplo (18.170 $). Inoltre, secondo la Banca Mondiale, la quota della popolazione al di sotto della soglia nazionale di povertà è scesa dal 41,9% nel 2000 al 5,7% nel 2016 grazie all’inclusività della crescita economica e agli investimenti nella protezione sociale che assorbivano nel 2018 il 2,1% del Pil e il 36,4 % della spesa pubblica. Anche alla sanità è stata riservata particolare attenzione dal momento che in Bielorussia, secondo i dati forniti dalla Cia, si registrano 4,08 medici e 11 posti letto ospedalieri ogni mille abitanti, piazzandosi rispettivamente al sedicesimo e al quinto posto a livello mondiale, con un sistema sanitario universalistico che nel 2015 risultava accessibile al 94,3% della popolazione. Conseguentemente, anche la mortalità infantile entro il primo anno di vita è molto bassa, pari al 3,6 per mille, esattamente allo stesso livello della prospera Svizzera e primo fra tutti i 15 paesi ex sovietici, repubbliche baltiche comprese.

Buona la situazione anche per quanto riguarda la coesione sociale, con disuguaglianze di reddito fra le più basse a livello europeo e, addirittura, con trend in diminuzione, visto che il coefficiente Gini dallo 0,320 del 1998 è sceso allo 0,252 del 2018, mentre più accentuate risultano le disparità territoriali soprattutto fra la capitale Minsk, dove i redditi risultano di gran lunga più elevati, le altre città e, soprattutto, le aree rurali dove i redditi sono nettamente inferiori (Carta 1).

Figura 1. Salari nominali medi mensili nelle province della Bielorussia (2013).
Legenda. I salari nominali mensili maturati nelle raions (province) bielorusse nel gennaio 2013: inferiore a 300 BYN (~ $ 150), 300-350 BYN (~ $ 150 – $ 175), 350-400 BYN (~ $ 175 – $ 200); 400-450 BYN (~ $ 200 – $ 225); 450-500 BYN (~ $ 225 – $ 250); più di 500 BYN (~ $ 250).

Risultati interessanti ottenuti, come sostiene la rivista Bloomberg, grazie al “rifiuto di Lukashenko di privatizzare l’economia negli anni ’90, cosa che ha evitato l’emergere dei cosiddetti oligarchi, gli stessi che hanno fatto razzia dei beni di stato in Ucraina e Russia”. Alexander Pivovarsky, responsabile per il paese della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, ha addirittura affermato “che la Bielorussia ha seguito un percorso unico, che ha fornito ai cittadini benefici a cui spesso non si conferisce la giusta importanza, come la stabilità”, specificando però di credere “allo stesso tempo che il modello economico della Bielorussia sia insostenibile”. Infatti, analizzandone la struttura economica, emerge come questa sia sostenuta, oltre che da una solida base industriale che produce il 27% della ricchezza, dai “miliardi di dollari di sussidi energetici che di fatto la Bielorussia riceve, sotto forma di enormi quantità di greggio che acquista dalla Russia a prezzi scontati”, i quali le hanno consentito di creare un’economia petrolifera, raffinando il greggio per riesportarne i prodotti ottenuti. La Bielorussia, infatti, nel 2016 ha esportato petrolio e derivati per un valore di 4.681 milioni di $, prima voce dell’export, pari al 24,6% del totale. Situazione analoga alle forniture di gas russe anch’esse a prezzi di favore, forniture che generano altri miliardi di dollari di risparmi.

 

Il quadro geo-economico

Come riporta la rivista “Diplomazia Economica Italiana” del Ministero degli Affari Esteri, nel numero di settembre 2019 “un altro elemento di particolare importanza è l’adesione nel 2015 della Bielorussia all’Unione Economica Euroasiatica (UEEA) insieme a Russia, Kazakistan, Armenia e Kirghizistan. Si tratta di un potenziale bacino di circa 180 milioni di consumatori e del terzo mercato mondiale con un PIL di 4.500 miliardi di dollari, destinato a porsi come nuovo polo di sviluppo economico per i Paesi europei nella commercializzazione di prodotti e nella realizzazione di progetti di investimento”. La Bielorussia ha, infatti, tratto vantaggio da questa sua partecipazione, non solo per la libera circolazione delle merci, dei capitali, dei servizi e della forza lavoro tra i paesi membri ma, anche perché, dopo le sanzioni unilaterali occidentali imposte alla Russia a seguito dell’annessione della Crimea, che hanno indotto Mosca a imporre come ritorsione l’embargo sui prodotti agricoli europei, Minsk ha beneficiato di una favorevole rendita di posizione nel riesportare verso la Russia i prodotti europei del comparto agroalimentare, causando un certo risentimento da parte del governo di Mosca.

Tuttavia, lo scenario geo-economico bielorusso negli ultimi anni sta subendo significativi cambiamenti. Le raffinerie nel 2014 pagavano il greggio solo il 50% del prezzo di mercato, quota salita all’80% nel 2019 e, a seguito delle nuove politiche fiscali di Putin, causate sia dalla caduta delle quotazioni del petrolio che dalle crescenti frizioni fra i due stati, entro il 2025 Mosca venderà il petrolio a Minsk a prezzo pieno, con un costo aggiuntivo che il governo ha stimato in dieci miliardi di dollari nei prossimi cinque anni. I risparmi realizzati grazie alle forniture di greggio a prezzi agevolati fruttano, secondo i dati Unctad, circa 2 miliardi di dollari annui. Minsk, quindi, potrebbe essere costretta a ristrutturare le sue aziende statali, con il rischio di perdita di posti di lavoro e di stato sociale, accertato che i proventi dell’attività petrolifera bielorussa vengono utilizzati dal governo per finanziare il 10% della spesa pubblica.

Sembra, dunque, che la stagione florida dell’economia e del generoso welfare state bielorusso sia indirizzata verso il tramonto, in parte anche a causa di problemi di natura geopolitica, oltre che economici. La Bielorussia è strettamente legata sia politicamente che economicamente alla Russia. Le due economie, come ai tempi dell’Urss, risultano ampiamente integrate e complementari. Quest’ultima infatti, oltre che sovvenzionare Minsk in cambio della fedeltà geopolitica, rappresenta anche il suo primo partner commerciale, con cui tuttavia registra un saldo negativo nell’interscambio, in linea con quello della bilancia commerciale generale (-4.741,6 milioni di euro nel 2018). Minsk, nel 2017, indirizzava nella Federazione russa ben il 44% del proprio export totale, mentre verso l’Ue, secondo partner, il 27%. Tuttavia, il definitivo rifiuto nel 2019 di Lukashenko di accettare la fusione politica con Mosca ha irritato Putin, come il riavvicinamento bielorusso all’Unione Europea e agli Stati Uniti. Con Washington, dopo il ritiro del proprio ambasciatore da Minsk nel 2008, negli ultimi 2 anni vi è stato un graduale riavvicinamento che ha portato nel 2020 al ristabilimento delle relazioni diplomatiche, operazioni finalizzate a ridurre la dipendenza da Mosca, a diversificare le relazioni commerciali e ad attirare investimenti occidentali.

 

Il percorso dell’economia bielorussa

Dopo la complessa fase degli anni ’90, l’economia bielorussa durante il primo decennio degli anni Duemila ha registrato una crescita sostenuta con punte intorno al 10% annuo, per poi subire un rallentamento negli anni successivi (Tabella 1), con addirittura 2 anni di recessione nel biennio 2015-2016, perfettamente in linea con quanto avvenuto in Russia, a conferma della stretta interconnessione tra due economie (Grafico 1). Anche la ripresa della crescita economica nel triennio 2017-2019 è principalmente riconducibile a fattori esterni quali: il parziale recupero delle quotazioni degli idrocarburi, la ripresa economica russa e la maggiore apertura economica e commerciale verso l’Unione Europea.

Tabella 1: Tasso di variazione annua del Pil in Bielorussia e Russia periodo 2011-2019.
Fonte: index mundi

 

Grafico 1: Variazione annua del Pil e dei prezzi al consumo (inflazione) periodo 2001-2013.

Fonte: Istituto nazionale di statistica della Bielorussia. Elaborazione su wikipedia.

Nell’ultimo decennio, 2010-2019, l’economia bielorussa è cresciuta in media meno dell’1% annuo secondo Reuters, entrando in una fase di sostanziale stagnazione, frutto dell’alternarsi di due modeste fasi espansive ad una recessiva. A partire dal 2011, infatti, a seguito anche dell’acuirsi del deficit pubblico, ha iniziato a mostrare un sensibile rallentamento, con conseguente crisi valutaria del Rublo bielorusso, più volte svalutato, e aumento dell’inflazione.

 

La questione salariale

Le criticità economiche, come la bassa crescita e l’alta inflazione, hanno prodotto inevitabili riflessi anche sul potere di acquisto dei salari, i quali benché adeguati ben 13 volte al costo della vita nell’ultimo decennio, non hanno ancora raggiunto la media nazionale effettiva dei 500 $, livello che il governo aveva dichiarato di voler conseguire prima delle elezioni del 2010. In pratica nel decennio successivo gli stipendi medi lordi sono rimasti fermi, arretrando addirittura dai 368 euro di gennaio 2015, ai 290 euro dello stesso mese dell’anno successivo, secondo i dati pubblicati dall’Agenzia nazionale per la statistica, Belstat, come riflesso della recessione che ha colpito l’economia bielorussa.

L’analisi dei livelli e dell’andamento dei salari in Bielorussia non si presenta di semplice interpretazione, non solo a causa di problemi metodologici, quali la scarsa disponibilità di dati ufficiali, le complessità di calcolo dovute alle varie ridenominazioni del Rublo bielorusso (l’ultima del gennaio 2016) e l’impatto dell’inflazione sugli stessi ma, anche, perché presentano marcate differenziazioni sia territoriali, che a seconda del tipo di mansione e del comparto economico di pertinenza. In estrema sintesi, emerge come a seconda della regione di residenza la discrepanza retributiva possa arrivare fino a 2 volte; invece, per quanto riguarda il comparto di lavoro di impiego, si registrano alti salari nella finanza e nell’industria, oltre che nell’esercito, e bassi salari nell’agricoltura. In base ai dati disponibili risulta come il salario medio lordo nazionale, come visto frutto di situazioni molto diversificate, nel 2016 ammontasse a 8.600 Byn (Rubli bielorussi) annui, pari a € 4.300 e $ 4.800, corrispondenti a (7.400 Byn pari a 3.600 euro e 4.000 dollari) netti. In pratica nel 2016 lo stipendio medio netto anno era di 300 euro, molto vicino a quello del 2019 salito nel contempo, al lordo dell’inflazione, a 328 euro.

 

Le nuove strategie del governo

Lukashenko ha cercato di porre rimedio alla situazione provando a ritagliare un nuovo ruolo geopolitico e geoeconomico per il paese prefigurandolo come una sorta di stato-ponte fra l’Unione Europea e la Russia, come indica, d’altronde, il titolo della pubblicazione del settembre 2019 del Ministero degli esteri precedentemente citata: “La Bielorussia si rinnova e strizza l’occhio all’Italia”.

Il governo ha infatti accelerato sulla transizione verso un’economia di mercato più compiuta, facendo leva sugli investimenti stranieri, come confermano le varie riforme attuate tese a rendere più allettanti le condizioni per le imprese, fra le quali l’Ordinanza Presidenziale n. 7 sullo ‘Sviluppo dell’Imprenditorialità nella Repubblica della Bielorussia‘ del 23 novembre 2017, che ha costituito un passaggio fondamentale per attirare gli investimenti esteri. Il provvedimento ha introdotto una generale facilitazione per l’apertura di nuove imprese straniere, anche individuali, una riduzione delle ispezioni e della pressione fiscale e una semplificazione normativa. Inoltre sono stati creati diversi regimi preferenziali per gli investimenti. I principali sono le Zone Economiche Libere (in tutto 6, una per ogni regione del Paese), il Parco di Alte Tecnologie, il Parco Industriale e Logistico sino-bielorusso ‘Great Stone’, a cui si aggiungono alcune agevolazioni per le zone rurali. Nelle Zone Economiche Libere, nel caso in cui una impresa investa almeno un milione di euro, i profitti non subiranno alcuna tassazione per i primi cinque anni e in seguito godranno di un’imposizione agevolata. Una tappa fondamentale nel processo di  ridimensionamento dell’economia statalizzata, parte integrante di una strategia precedentemente pianificata, visto che  l’Agenzia nazionale per gli investimenti e le privatizzazioni, ente statale istituito appositamente per attrarre investimenti diretti esteri della Repubblica Bielorussa, pubblicava nel 2015 sul proprio sito ufficiale una serie di informazioni rivolte alle imprese straniere atte ad attirare investimenti di capitali al fine di sostenere e rilanciare la propria economia dopo la crisi del 2011 (vedi approfondimento in coda al testo).

A seguito dei provvedimenti introdotti dal governo lo stock di investimenti diretti esteri (Ide) nel paese sono passati dai 15.919 milioni di euro del 2016 ai 17.542 del 2018, quasi completamente indirizzati all’acquisto di aziende preesistenti, in netta prevalenza pubbliche, con scarso interesse verso la creazione di nuove imprese (investimenti in Green field).

 

Conclusioni

La stagnazione economica e salariale, accompagnata da alcune riforme del mercato del lavoro recentemente introdotte e dal recente processo di privatizzazioni e liberalizzazioni, ha contribuito ad acuire il malcontento sociale. La protesta, seppur emersa di tanto in tanto negli anni precedenti con manifestazioni spontanee di piazza contro singoli provvedimenti, come avvenne nel 2017 dopo l’approvazione della cosiddetta “tassa sui disoccupati” o nei mesi scorsi a causa dell’esclusione di ben 10 candidati alle presidenziali, fra i quali anche Victor Babariko sostenuto da Mosca, è esplosa a inizio agosto 2020 dopo la diffusione dei risultati elettorali giudicati frutto di grossolani brogli.

Le proteste non hanno colto di sorpresa gli analisti più attenti, in quanto il patto sociale che per 5 lustri ha garantito stabilità politica, buone condizioni di vita e garanzie di impiego a vita nelle aziende statali, in cambio di governo autoritario e di scarse libertà politiche (tutti i 110 deputanti eletti alla Camera dei rappresentanti alle elezioni del 2019 sostenevano il governo.) e sindacali, si è definitivamente incrinato, anche a causa della pessima gestione della pandemia da Covid-19 con il presidente Lukashenko che è arrivato a dichiarare che occorre “bere vodka, fare la sauna e lavorare per uccidere il virus”.

A ciò dobbiamo aggiungere la grande indignazione che hanno suscitato le violente repressioni delle proteste da parte degli apparati di sicurezza, che hanno causato 7.000 arresti, feriti, torture e 4 morti, alienandosi anche settori del proprio elettorato, come dimostrano le immagini delle manifestazioni di piazza e delle fabbriche in sciopero. Lo zoccolo duro delle proteste è, infatti, rappresentato dagli operai delle grandi aziende statali che hanno bloccato a oltranza la produzione in attesa che vengano indette nuove elezioni e introdotta la libertà sindacale, in quanto in Bielorussia tutt’oggi è ammesso un unico sindacato controllato dal governo.

La Bielorussia risulta uno dei pochi stati in cui è ancora forte e combattiva la rappresentanza operaia, pertanto, è imprescindibile che quest’ultima acquisisca anche coscienza politica e si strutturi come soggetto organizzato in grado di realizzare un programma avanzato per la tutela dei lavoratori e che scongiuri ulteriori privatizzazioni e liberalizzazioni, esprimendo un candidato unitario per le prossime elezioni presidenziali, in grado di sconfiggere sia la vecchia e corrotta nomenklatura, sia le forze liberiste e filo occidentali, peraltro poco consistenti in un paese in cui l’opinione pubblica è ancora ampiamente legata al “fratello russo” e non è disposta a rinunciare al welfare state che sino ad oggi ha garantito diritti sociali e buone condizioni di vita a tutta la popolazione.

 

Appendice

L’Agenzia nazionale per gli investimenti e le privatizzazioni, ente statale istituito appositamente per attrarre investimenti diretti esteri della Repubblica Bielorussa, nel 2015 pubblicava sul proprio sito una serie di informazioni rivolte alle imprese straniere atte ad attirare investimenti di capitali al fine di sostenere e rilanciare la propria economia dopo la crisi del 2011. Al di là dell’aspetto pubblicistico dell’operazione, risulta evidente come il governo bielorusso abbia pianificato ed incentivato, da almeno un lustro la transizione verso l’economia di mercato e l’apertura al capitale transnazionale, con conseguenti privatizzazioni e liberalizzazioni.

Riportiamo di seguito un estratto della significativa nota informativa dall’eloquente titolo:

“Perché la Bielorussia?”

La Bielorussia è il posto migliore per i vostri investimenti!

Perché offre:

  1. Una posizione strategicamente vantaggiosa che consente alle aziende di servire con efficacia mercati di grande capacita e in rapida crescita: i paesi dell’Unione europea (500 milioni di consumatori), Russia, Ucraina, Kazakistan e altri paesi della CSI (280 milioni di consumatori).
  2. Accesso diretto al mercato dei tre paesi dell’Unione Economica Euro-Asiatica: Bielorussia, Russia, Kazakistan (ai quali si sono aggiunte l’Armenia e il Kirghizistan). Oggi, alle aziende che investono in Bielorussia è concesso automaticamente all’accesso al mercato da 180 milioni di persone dei tre paesi dell’Ueea ove vige la libera circolazione delle merci, dei servizi, dei capitali e manodopera.
  3. Il clima d’investimento e fiscale competitivo. In Bielorussia c’è una serie dei regimi preferenziali che possono essere molto utili per le aziende straniere, anche per quanto riguarda la loro pianificazione e ottimizzazione fiscale. La Bielorussia si impegna a creare le condizioni di business aperti e favorevoli sul proprio territorio. Oggi il paese è leader nel miglioramento della legislazione, questo conferma lo studio della Banca Mondiale.
  4. Infrastruttura sviluppata del trasporto e logistica. Grazie della sua posizione geo-economica la Bielorussia è un “hub” del trasporto e della logistica della regione eurasiatica. Le arterie principali che attraversano il paese, sono l’elemento più importante del sistema di trasporto europeo. È infatti attraversata da 2 corridoi transeuropei di trasporto (Carta 2).
  5. Opportunità di privatizzazioni uniche. Bielorussia offre alle aziende straniere opportunità uniche nello sviluppo accelerato delle loro attività legate all’intensificazione del processo di privatizzazione nel paese. Al fine di migliorare ulteriormente l’efficienza dell’economia nazionale, la Bielorussia ha scelto la tattica “a punti” della privatizzazione, ed è interessata a sviluppare una cooperazione reciprocamente vantaggiosa con i grandi investitori strategici. Oggi l’Agenzia Nazionale per gli Investimenti e la privatizzazione in collaborazione con la Banca Mondiale stanno introducendo approcci e strumenti moderni che soddisfano le più avanzate pratiche internazionali. Esse mirano a rendere nella Bielorussia le condizioni di privatizzazione più aperte e comprensibili alle società estere.
  6. Forza lavoro altamente qualificata. La Bielorussia ha uno dei popoli più istruiti, altamente qualificati e laboriosi.
  7. Buona “qualità” della vita. Nella classifica mondiale in termini di livello della vita, pubblicata nel rapporto della ONU sullo sviluppo umano nel 2014, la Bielorussia ha raggiunto il 53esimo posto (su 187) ed è stata riconosciuta come leader tra i paesi della CSI.

Figura 2. I corridoi trans-europei che attraversano la Bielorussia, compresi i percorsi terrestri della nuova Via della seta.

 

Andrea Vento è tra i fondatori del Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati (GIGA) e insegna geografia nell’Istituto “A. Pacinotti” di Pisa. E-mail: andreavento2013@gmail.com

Il GIGA è composto da docenti specialisti di Geografia Generale ed Economica, uniti dalla volontà di salvaguardare il valore della disciplina quale strumento fondamentale per comprendere criticamente le dinamiche ambientali, economiche, sociali e geopolitiche delle realtà locali e del mondo globalizzato. Nato nell’ottobre 2013 per contrastare le politiche ministeriali che, a partire dagli anni ’90, hanno fortemente penalizzato l’insegnamento della geografia nelle scuole, il GIGA ha  ampliato il suo campo d’intervento alla divulgazione della cultura geografica e delle potenzialità formative della disciplina, organizzando numerose iniziative di formazione, sia in campo scolastico che nella società civile, in linea con i principi della public geography. Nato in Toscana, il gruppo è impegnato nell’aggregazione di insegnanti di geografia su tutto il territorio nazionale.