giovedì, Aprile 25, 2024
Diritti

La decisione del TAR Toscana sulla realizzazione della moschea a Pisa

di Andrea Callaioli

 

Dai banchi della politica cittadina la vicenda della sala di culto per la comunità islamica pisana da un anno si era trasferita su quelli della giustizia amministrativa dove, nello scorso maggio, ha trovato un primo importante punto fermo. Difatti, con la sentenza 633 pronunciata all’esito dell’udienza del 13 maggio scorso (e pubblicata il 1° giugno) il Tribunale Amministrativo della Toscana ha accolto il ricorso proposto dalla Associazione Culturale islamica contro gli atti dell’Amministrazione comunale e della locale Soprintendenza che, a partire dallo scorso anno, avevano di fatto bloccato l’iter di realizzazione della moschea a Pisa.

 

Il percorso amministrativo

Nella lunga e dettagliata ricostruzione in fatto la sentenza descrive il percorso amministrativo che, avviatosi con la richiesta di permesso a costruire avanzata dall’Associazione nel 2016 e snodatosi attraverso numerosi passaggi burocratici, è giunto infine al diniego del giugno 2019, tempestivamente impugnato dalla Associazione; ma la vicenda non si è fermata qui, poiché il Comune aveva approvato ulteriori atti subito dopo l’insediamento della nuova Giunta, nel 2018, finalizzati a modificare la destinazione urbanistica dell’area interessata dal progetto dell’Associazione, atti a loro volta impugnati di fronte alla giustizia amministrativa. In ultimo, nello scorso giugno, l’Amministrazione abbandonava il precedente progetto di variazione urbanistica per poi adottare quella più complessiva finalizzata a riqualificare l’area dello stadio, nell’ambito della quale al terreno di proprietà dell’Associazione islamica veniva impressa la destinazione a pubblici parcheggi. Nel frattempo anche la Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per le province di Pisa e Livorno aveva ritirato il proprio necessario parere, in un primo tempo positivo, per non meglio precisati vizi formali, senza poi adottarne un altro; ma nonostante l’assenza di detto parere – necessario, come si è detto, per il completamento del procedimento – il Comune aveva emesso il diniego a costruire.

Ovviamente anche tutti i descritti atti erano stati impugnati nel corso del procedimento e su questi si è, infine, espresso il TAR con la sentenza in esame.

 

La variante dello stadio come copertura

Dall’esame della situazione in fatto emerge come la vicenda, che da molti anni interessa il dibattito politico-amministrativo della città, negli ultimi mesi fosse stata strumentalmente ricondotta dall’attuale Giunta nel quadro della variante per la riqualificazione dell’area dello stadio pisano.

Da più parti sono stati sollevati dubbi su questa operazione, ritenuta strumentale a coprire dietro ragioni urbanistiche l’intenzione di impedire la realizzazione della sala di culto. Si trattava, per altro, di una promessa elettorale con la quale le attuali forze del governo cittadino si erano presentate alle ultime elezioni locali.

Ma tale opera di camouflage burocratico non è sfuggita al TAR toscano che nella sua decisione ha ben colto – e di conseguenza censurato – detta finalità politica (per tale incostituzionale) nascosta dietro gli atti amministrativi dichiarati illegittimi.

Difatti il Tribunale, nell’accogliere le impugnazioni, ha precisato con chiarezza che la potestà comunale di variare la disciplina urbanistica del proprio territorio non può essere esercitata in disprezzo di un’adeguata comparazione degli interessi pubblici implicati, specie quando, come in questo caso, detti interessi assurgono a rango costituzionale; in sostanza il Tribunale ha chiarito le regole che una corretta amministrazione deve seguire nel contemperare gli interessi urbanistici generali con quelli della libertà di manifestazione e professione di un culto religioso, espressione del più ampio concetto del diritto di eguaglianza e tutela delle identità culturali, ideologiche e religiose sia dei singoli che delle forme aggregate.

La tematica è di grande rilievo perché si muove nello spazio di un assetto costituzionale che vede diversi punti cardinali di riferimento: dall’art. 8 che tutela il pluralismo e la libertà religiosi all’art. 19 che assicura la libertà di esercizio e professione del credo religioso, libertà che ovviamente include quella di disporre di un luogo adeguato ove esprimere e celebrare la propria fede in forma individuale o associata, con l’unico limite del buon costume. A tal proposito la sentenza richiama espressamente non solo l’art. 8 della Costituzione ma anche l’art. 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e l’art. 9 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali. Si tratta di norme poste a tutela dell’universale diritto di poter praticare il proprio credo religioso e di avere spazi adeguati dove poterlo fare, ed a tal proposito il Tribunale fiorentino è particolarmente severo nel ricordare, in più punti, che l’Amministrazione comunale di Pisa ha completamente ignorato tali diritti, giungendo anzi a manifestare espressamente con atti formali la volontà di impedire la realizzazione della moschea e di trascurare le esigenze della comunità islamica.

 

La salvaguardia dei diritti fondamentali e dei principi costituzionali

La sentenza pone quindi due importanti spunti di riflessione, evidentemente fra loro interconnessi; il primo, di carattere ‘amministrativo’, riguarda la necessità di rispettare, nell’azione di governo e gestione del territorio, le regole partecipative di pianificazione generale e particolare, coinvolgendo tutti i soggetti interessati, nel rispetto dei principi di una corretta azione amministrativa e di efficienza ed imparzialità dell’azione amministrativa, a tal fine censurando l’utilizzo degli strumenti di piano per nascondere il perseguimento di una finalità politica discriminatoria. Il secondo, più latamente ‘politico’, focalizza ed evidenzia la necessità di garantire la libertà di espressione e professione religioso-culturale, inserendo la tutela di detto interesse nel novero di quelli meritevoli di particolare attenzione e bilanciamento nell’ambito delle scelte di pianificazione urbanistica.

In ordine al primo spunto di riflessione la pronuncia del TAR censura la recente azione amministrativa del Comune di Pisa in quanto non solo non ha adempiuto al proprio dovere di far uso del territorio in modo tale da prevedere spazi pubblici per le attività di culto (peraltro non solo limitandosi ad impedire la costruzione del luogo di preghiera, ma prevedendo altresì l’esproprio dell’intera area a danno dell’Associazione culturale islamica che ne è proprietaria), ma altresì ha utilizzato la variante urbanistica di riqualificazione dello stadio come pretesto per bloccare il percorso autorizzativo della costruzione della sala di culto ed avviarne addirittura – come si è visto – l’esproprio. A tal proposito giova rammentare che quando la precedente amministrazione comunale, nel 2012, mutando la destinazione urbanistica dell’area, la dedicò ad uso pubblico di culto, lo stadio e la connessa viabilità dell’area erano già presenti nella dimensione attuale e questo evidenzia come le ‘ragioni’ poste a fondamento dell’ultima variante urbanistica e dell’azione di esproprio siano infondate e pretestuose, utilizzate esclusivamente per mascherare dietro un’inesistente necessità la volontà di impedire la realizzazione dell’edificio di preghiera per la comunità islamica. E che tale disinvolto uso dell’azione amministrativa appaia evidente anche al TAR emerge apertis verbis dalla sentenza quando, a pagina 11 sottolinea “come il Comune abbia in precedenza manifestato con atti formali la volontà di impedire la realizzazione della moschea”.

In relazione al secondo spunto del Tribunale regionale, il riferimento ideale e giurisprudenziale va a quella linea interpretativa della Consulta che ha contribuito a ridisegnare il concetto di laicità dello Stato “non come indifferenza di fronte all’esperienza religiosa, bensì come tutela del pluralismo, a sostegno della massima espansione della libertà di tutti” (sentenza 7 aprile 2017, n. 67). Sempre la Consulta si è espressa, di recente, sul diritto di disporre di adeguati spazi per professare il proprio credo religioso (sentenza 5 dicembre 2019, n. 254), dichiarando l’illegittimità della legge regionale lombarda che, di fatto, impediva la realizzazione di moschee sul proprio territorio.

Va altresì ricordato che la stessa Corte costituzionale ha da tempo precisato che l’esercizio pubblico e comunitario del culto deve trovare tutela e garanzia ugualmente per tutte le confessioni religiose, a prescindere dall’avvenuta stipulazione o meno di intese con lo Stato e dalla loro condizione di minoranza; a tal proposito si vedano le sentenze 63/2016, 195/1993 e 59/1958). In ordine a tale aspetto la sentenza del TAR richiama il doveroso impegno dell’amministrazione a prevedere l’esistenza sul proprio territorio di aree con tale destinazione urbanistica e, nello specifico della situazione della Associazione culturale islamica, a non ostacolare il percorso avviato sin dal 2013 con l’acquisizione dell’area, vanificandolo con la variante oggi annullata e costringendola a far ripartire da zero tutta la procedura. Con tali passaggi il TAR toscano riecheggia le parole di numerose pronunce della Corte costituzionale allorquando ribadisce che i precetti della carta fondamentale impongono che le amministrazioni prevedano e mettano a disposizione spazi pubblici per le attività religiose non frapponendo ostacoli ingiustificati all’esercizio del culto in luoghi privati e/o discriminando confessioni religiose nell’accesso agli spazi pubblici (così le sentenze 67/2017, 63/2016, 346/2002 e 195/1993). Nel nostro ordinamento, dunque, la potestà di pianificazione urbanistica trova alla luce della Costituzione un preciso limite e indirizzo nel rispetto dei diritti fondamentali, come la libertà di culto.

 

Conclusioni

Il Comune di Pisa, che aveva chiesto che il ricorso fosse dichiarato improcedibile o rigettato, dovrà ora prendere atto del fatto che tutti gli atti impugnati, a partire dalla variante di destinazione d’uso del terreno di proprietà dell’Associazione e dal diniego di costruire la moschea, sono stati annullati. Quel terreno era e resta destinato ad edifici di culto, così venendo meno la ‘foglia di fico’ del verde pubblico e del parcheggio per il nuovo stadio che in realtà mascherava l’intento discriminatorio di impedire la realizzazione del centro culturale islamico e della sala di preghiera. Con l’ulteriore aspetto relativo al fatto che la variante-stadio potrà tranquillamente procedere il suo iter dal momento che l’area oggetto del ricorso non ne è assolutamente un elemento imprescindibile.

Ed anche la Soprintendenza dovrà ritornare sui propri passi, concludendo un procedimento lasciato immotivatamente ed illegittimamente aperto, motivando il perché della propria marcia indietro del giugno 2019 in modo coerente con le vigenti normative e chiarendo le eventuali prescrizioni che l’Associazione dovrà seguire per la costruzione dell’edificio.

E così, come nell’antico racconto di Fedro, verità ha ripreso il proprio cammino mentre la menzogna è destinata a cadere: mendacium pedes non habet.

 

Andrea Callaioli è avvocato in Pisa e si occupa di tutela dei diritti umani.