domenica, Novembre 10, 2024
AmbienteEconomia

Siccità in Sicilia: la crisi idrica minaccia il futuro dell’isola

di Martina Oliveri

La Sicilia, da circa un anno, sta affrontando una crisi idrica senza precedenti: secondo i dati forniti dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), negli ultimi due decenni si è verificata una riduzione delle precipitazioni del 30%. Le statistiche dell’Assessorato Regionale dell’Energia e dei Servizi di Pubblica Utilità mostrano che le riserve idriche negli invasi dell’isola sono diminuite del 50% rispetto alla media dell’anno precedente.

Questo drastico calo è attribuito a vari fattori, tra cui il cambiamento climatico, che ha portato a un aumento delle temperature medie e a una diminuzione delle precipitazioni.

La crisi ha colpito duramente le comunità locali. Le aree interne delle province di Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Palermo sono le più colpite. L’accesso limitato e il razionamento dell’acqua hanno inciso negativamente sulla qualità della vita, obbligando in molti casi gli abitanti ad acquistare autobotti d’acqua da privati, al fine di poter continuare a svolgere le proprie attività quotidiane.

Un impatto, se possibile ancora più grave, è stato riscontrato nelle campagne. Gli agricoltori delle zone più colpite lottano per mantenere in vita le loro colture e il bestiame. È stato segnalato che oltre il 70% delle aziende agricole siciliane ha subito perdite economiche significative a causa della scarsità d’acqua. L’assessore regionale all’Agricoltura ha stimato danni per 2,5 miliardi di euro.

La produzione di colture tradizionali siciliane, come il grano, le olive e gli agrumi, è diminuita drasticamente. Secondo Coldiretti, una delle principali associazioni che rappresentano in Italia il mondo agricolo, la produzione di grano nell’isola è scesa del 40% negli ultimi cinque anni, mentre quella di olive del 35%. Ciò ha portato a un aumento dei prezzi e a una diminuzione delle esportazioni, incidendo sulla situazione economica di molti territori della regione.

La siccità ha avuto gravi ripercussioni anche sull’ambiente. La diminuzione dei livelli d’acqua ha portato alla desertificazione di alcune aree, con una perdita di numerosi habitat naturali e una riduzione complessiva della biodiversità. L’ISPRA ha evidenziato che il 20% del territorio siciliano è a rischio desertificazione: una situazione che peggiora di anno in anno, con l’aumento delle temperature e la riduzione delle precipitazioni.

Christian Mulder, professore di Ecologia ed emergenza climatica dell’Università di Catania, ha affermato che entro il 2030 un terzo della Sicilia rischia di trasformarsi in un deserto, paragonabile alle terre interne della Tunisia e della Libia.

Per questi motivi, la Regione ha deliberato lo stato di emergenza fino al 31 dicembre 2024. Molti comuni hanno adottato ordinanze per il risparmio idrico potabile (Cartina 1), accompagnato dal razionamento generale delle forniture in un’ampia parte del territorio regionale (Cartina 2), con l’eccezione della Sicilia orientale.

Cartina 1 – Comuni siciliani che hanno emanato ordinanze per il risparmio idrico potabile (al 7 agosto 2024)

Cartina 2 – Comuni siciliani soggetti a riduzione delle forniture idriche

Una crisi dalle molteplici cause

L’attuale crisi idrica in Sicilia non è un fenomeno nuovo. Già negli anni ‘60 e ‘70, la regione aveva affrontato periodi di siccità, ma l’intensità e la frequenza sono aumentate nel corso degli anni.

Le cause del fenomeno possono essere ricondotte essenzialmente a tre. In primo luogo il cambiamento climatico, che porta a estati più calde e inverni più secchi; in secondo luogo una gestione delle risorse idriche assai deficitaria, caratterizzata dalla mancanza di infrastrutture adeguate alla conservazione e alla distribuzione dell’acqua; in terzo luogo la deforestazione e il consumo di suolo, dal momento che la conversione di aree boschive in terreni agricoli e urbani ha ridotto la capacità del terreno di trattenere l’acqua piovana e di alimentare le sorgenti.

L’aumento delle temperature e la scarsità di precipitazioni hanno portato questa estate al prosciugamento di alcuni bacini idrici importanti, tra cui il lago di Pergusa in provincia di Enna, i laghi Ogliastro e Pozzillo in Catania, e il lago Fanaco a Castronuovo di Sicilia in provincia di Palermo. Il lago Rubino compreso, tra i Comuni di Vita, Calatafimi e Salemi in provincia di Trapani, registra un dimezzamento della sua portata idrica rispetto allo scorso anno, passando dai 4,86 milioni di metri cubi (Mmc) di giugno 2023 agli attuali 2,75 Mmc.

La situazione è aggravata dalle carenze infrastrutturali. Varie dighe, tra cui quelle di Cimia, Comunelli e Disueri situate tra le province di Agrigento e Caltanissetta, non riescono a immagazzinare tutta l’acqua che potrebbero (circa 41 milioni di metri cubi), a causa di mancati interventi di ammodernamento e di collaudo: la loro capacità è ridotta al 20%.

In base ai dati diffusi a marzo dall’ISTAT, la perdita d’acqua immessa nelle reti idriche siciliane ammonta al 51,6%. L’isola è tra le regioni italiane con le perdite totali più alte, insieme a Basilicata, Sardegna, Molise e Abbruzzo.

Tra i problemi infrastrutturali, anche quello dei dissalatori: a causa degli elevati consumi energetici, i costi di gestione sono troppo elevati e in molti casi i Comuni che ne dispongono hanno smesso di utilizzarli. Uno dei più importanti è quello di Porto Empedocle, nell’agrigentino, chiuso da 12 anni, a cui si aggiungono quelli di Gela e di Trapani, entrambi in stato di abbandono.

Le misure adottate contro la crisi idrica

Per far fronte alla crisi idrica, per altro prevedibile e da tempo annunciata, il governo regionale ha ricevuto dalla Protezione Civile 20 milioni di euro, per la rifunzionalizzazione di pozzi e sorgenti, l’acquisto e la sistemazione di autobotti e la riparazione di alcune reti di interconnessione. Anche la Regione ha stanziato altri 20 milioni di euro, per l’acquisto di foraggio per gli animali e per l’idropotabile.

A questi interventi si aggiunge lo stanziamento, da parte del governo nazionale, di circa 90 milioni di euro prelevati dal Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (FSC). Tra gli obiettivi, quello di riattivare i tre dissalatori di Trapani, Gela e Porto Empedocle. Il piano approvato per l’uso del fondo prevede 138 interventi per favorire l’approvvigionamento idrico dei territori: costruzione di nuovi pozzi, revamping e ripristino di pozzi già esistenti, costruzione di bypass e condotte di collegamento, potenziamento dei sistemi di sollevamento e pompaggio. La maggior parte dei lavori sono stati affidati alle società d’ambito ed ai Comuni.

Inoltre, poco più di due milioni di euro, co-finanziati da Stato (37,5%) e Regione (62,5%), sono stati destinati all’acquisto di otto nuove autobotti e alla riparazione di altre 78 di Comuni e Città metropolitane. 

Si tratta, tuttavia, di interventi che richiedono del tempo per poter andare a regime e che, dunque, hanno affrontato solo in parte l’emergenza di questa estate.

La cittadinanza si è mobilitata per chiedere risposte

Fin dalla fine della primavera, le aree più colpite dalla crisi hanno visto numerose proteste organizzate da agricoltori, associazioni ambientaliste e cittadini preoccupati per la situazione d’emergenza e per il loro futuro. Manifestazioni per l’acqua si sono svolte in numerosi territori lungo tutta l’estate.

A Palermo, su iniziativa di Coldiretti, già a fine maggio erano scesi in piazza più di 20.000 agricoltori per chiedere al governo di prendere misure urgenti ed efficaci per affrontare la siccità. In numerosi altri centri, come Castelvetrano, Caltanissetta, Canicattì, le proteste sono nate dal basso, unendo agricoltori e abitanti locali.

Ad Agrigento, città rimasta senza acqua per più di 20 giorni, dopo ripetute manifestazioni il 2 agosto più di 3.000 cittadini sono nuovamente scesi in piazza per prendere parte a una manifestazione organizzata dal comitato “#Vogliamo l’acqua”, a cui hanno aderito numerose associazioni del territorio, i sindacati, e alcuni esponenti politici.

A Messina, l’11 agosto in migliaia hanno sfilato per protestare contro i razionamenti e chiedere di destinare i fondi pubblici a opere ritenute più urgenti: “Vogliamo l’acqua dal rubinetto, non il ponte sullo Stretto”.

Le associazioni ambientaliste, come Legambiente, chiedono un piano di gestione dell’acqua più sostenibile che includa la protezione delle risorse idriche naturali. Tra le richieste principali: investimenti pubblici per la riparazione e la manutenzione delle infrastrutture idriche, attraverso il miglioramento dei sistemi di conservazione e distribuzione dell’acqua, la promozione di pratiche agricole sostenibili e il rafforzamento delle leggi ambientali vigenti, al fine di fermare il consumo e l’impermeabilizzazione del suolo, e proteggere le risorse idriche esistenti, specie nelle aree a rischio di desertificazione.

Affrontare la crisi idrica e frenare il cambiamento climatico

Nei prossimi mesi sarà possibile valutare quante delle risorse stanziate dalla regione e dal governo nazionale sono state effettivamente impiegate per rispondere alle esigenze di una terra stretta nella morsa della siccità. D’altra parte, se la crisi è legata anche al cambiamento climatico, è sul fronte della riduzione delle emissioni e della dipendenza dal fossile che occorre lavorare, a livello nazionale, europeo e mondiale.

Solo attraverso azioni coordinate, capaci di incidere sulle molteplici cause del problema, sarà possibile affrontare la crisi e attrezzare i territori più esposti al rischio di desertificazione: quello che accade in Sicilia e in tante parti del pianeta è lo specchio di una classe dirigente che, ancora, non ha preso piena consapevolezza della portata epocale dei cambiamenti che stiamo vivendo.

Martina Oliveri è laureata in Economia Aziendale e svolge attualmente il Servizio Civile Universale presso il Centro Interdisciplinare “Scienze per la Pace” dell’Università di Pisa.