Scuola primaria: spazi da riprogettare e tempo pieno per tutte e tutti
Una delle più grandi sfide che abbiamo davanti? Trasformare l’emergenza in corso in un’opportunità per migliorare sensibilmente la scuola pubblica, a partire dalla primaria. Il nuovo ministro dell’Istruzione ha evocato “una fase costituente per la scuola” ed ha costituito un gruppo di lavoro ad hoc: ne fa parte anche Franco Lorenzoni, di cui ripubblichiamo le interessanti proposte comparse su Giunti a scuola. La scuola primaria, con le sue 14.896 sedi su tutto il territorio nazionale, ha bisogno di cure immediate e investimenti ingenti per mettere in sicurezza ed adeguare i troppi edifici scolastici non adatti a una didattica partecipata e innovativa. Ma non sono solamente le strutture e gli spazi che andranno ripensati: per essere di qualità e inclusiva, la scuola ha bisogno di offrire il tempo pieno a tutte e tutti, di predisporre adeguati servizi mensa, di ridurre il numero di alunni e alunne per classe, di superare la logica delle sezioni e classi ghetto. La scuola della Costituzione è una scuola che guarda al futuro perché è capace di costruire ponti e equità sociale là dove ancora dominano muri e diseguaglianze.
di Franco Lorenzoni
Per ragionare sulle urgenze dell’oggi è necessario progettare il dopodomani. Il nuovo ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, a conclusione del lungo lavoro di inchiesta che lo ha impegnato insieme a 17 esperte ed esperti, ha evocato “una fase costituente per la scuola”.
Costituente e fors’anche ricostituente, perché il corpaccione della scuola pubblica primaria, con le sue 14.896 sedi, ha bisogno di cure immediate e investimenti ingenti per mettere in sicurezza ed adeguare i troppi edifici scolastici non adatti a una didattica partecipata e innovativa.
Il Next generation EU è l’ultima occasione per attuare un vasto piano di ristrutturazione e il nuovo ministro ne è ben consapevole, visto che recentemente ha scritto quanto sia necessario “aprire una nuova stagione in cui la scuola torni ad essere, o forse meglio divenga, il motore di una crescita di un paese che da troppo tempo è bloccato”.
E allora, se siamo d’accordo che l’unico risarcimento per i nostri figli e nipoti sulle cui spalle stiamo caricando un debito pubblico di proporzioni gigantesche, stia nel migliorare la qualità della loro istruzione, facciamo un rapido elenco di alcune priorità su cui intervenire riguardo alla scuola primaria, sottolineando che bisognerà partire subito dai territori dove le povertà educative sono accresciute dalle povertà istituzionali e le carenze culturali hanno drammaticamente accresciuto le discriminazioni in questo tempo di pandemia.
Spazi da ripensare e ristrutturare
Non è tollerabile che ci siano scuole senza palestre e spazi flessibili, adatti al movimento e a una differenziazione di attività che moltiplichi i linguaggi e le esperienze di apprendimento.
Anche riguardo agli ambienti esterni è necessario intervenire piantando alberi e segnando la presenza delle scuole nei quartieri delle nostre città con interventi mirati alla qualità, alla bellezza e al verde. Ovunque, e a maggior ragione dove gli spazi sono più angusti e in alcuni casi fatiscenti, è necessario creare attorno alle scuole isole pedonali perché bambine e bambini possano uscire nella città e far scuola all’aperto più tempo possibile ora, nell’emergenza, e poi per sempre.
Per accedere alle scuole, inoltre, a costi contenuti si potrebbero individuare e segnare percorsi privilegiati per incentivare l’andare a scuola a piedi, possibilmente in gruppi di pari, offrendo esempi concreti di mobilità alternativa che avrebbe il valore aggiunto del costituire una sorta di educazione civica dei genitori, fondata sul ripensare la città a partire dallo sguardo e dal desiderio di libertà e di esplorazione degli spazi urbani dei più piccoli.
Tempo pieno per tutti
A cinquanta anni dall’istituzione del tempo pieno credo sia dovere costituzionale equiparare l’offerta formativa a livello nazionale. Non è tollerabile infatti che solo il 42% di alunni possa godere del tempo pieno alla primaria e che la grande maggioranza delle scuole del sud e delle aree interne abbiano un tempo ridotto che, al termine della primaria, corrisponde a un anno di scuola in meno, vissuto da bambine e bambini in territori dove spesso è grave la povertà educativa e le cifre della dispersione arrivano ai livelli spaventosi del 30 – 35%. Non possiamo permettere che in alcuni territori un terzo delle intelligenze delle giovani generazioni sia privato di strumenti di base e di respiro per costruire il proprio futuro.
Certo, il tempo pieno va rilanciato e insieme ripensato partendo dall’illuminante affermazione di un bambino della periferia di Torino, immigrato dal sud e bocciato due volte, che negli anni Settanta rispose a un’intervista riguardo al tempo pieno affermando: “qui mi trovo bene perché più parlo e più trovo le parole”.
Di fronte a classi sempre più disomogenee, al crescere di sofferenze, fragilità, povertà educative, avere più tempo, differenziare proposte e attività e sperimentare i più diversi linguaggi apre la strada a una reale inclusione che non si limiti alle buone intenzioni.
Le mense
Godere di un pasto comune a scuola, che dovrebbe essere totalmente gratuito per i meno abbienti, è particolarmente necessario oggi perché viene incontro alle esigenze delle centinaia di migliaia di minori che, sempre più numerosi, si trovano a vivere in condizioni di povertà assoluta.
Le mense, che sono a pieno titolo momento formativo, nel divenire obbligatorie ed estendersi a tutte le classi dovrebbero essere ripensate alla radice. Creano occupazione e potrebbero sostenere il passaggio a un’economia maggiormente sostenibile fondata sulla prossimità, incentivando un’alimentazione capace di valorizzare i prodotti locali e abituando i più piccoli a una maggiore differenziazione alimentare e a una qualità di relazione con il cibo particolarmente necessaria in un paese in cui sempre più adolescenti si dibattono tra anoressia e obesità.
Oltre alle mense, dovranno essere moltiplicate le risorse per assicurare dotazioni essenziali, compresa la fornitura di device e una buona connettività a scuola e a casa perché l’accesso alla rete è un diritto irrinunciabile per tutte le famiglie.
Venti alunni per classe
Perché il dialogo diventi architrave dell’azione didattica e di relazioni educative aperte e reciproche è importante che in ogni momento la scuola sia organizzata come laboratorio capace di costruire cultura giovandosi delle più diverse memorie, esperienze e radici culturali che la abitano. Ma per realizzare tutto ciò c’è bisogno di tempo, tanto tempo, e di classi che non superino i 20 alunni. Ecco come nell’affrontare i problemi del distanziamento di oggi costruiamo la scuola del futuro.
Proteggere le piccole scuole nelle aree interne
L’impressionante curva della denatalità rischia di portare alla chiusura migliaia di scuole, contribuendo alla desertificazione di molte aree interne del nostro paese. Va sostenuto l’impegno portato avanti da anni dall’Indire che promuove collegamenti e ricerche, sostenendo la salvaguardia e il valore educativo delle piccole scuole e delle pluriclassi.
Nell’isola siciliana di Marettimo qualche anno fa il mantenimento della pluriclasse frequentata da sua figlia, permise per tre anni all’unico panettiere dell’isola di non emigrare in terraferma, mantenendo aperto il suo forno nei mesi invernali. Come la grande letteratura, la realtà ci offre talvolta le metafore più belle: le scuole vanno tenute aperte ovunque a ogni costo, perché i territori più isolati ne hanno bisogno come il pane.
Farla finita con le classi ghetto
Statistiche dell’Invalsi documentano che in più di un terzo delle scuole del nostro paese le classi delle diverse sezioni vengono composte sulla base della provenienza sociale dei ragazzi, aggravata negli ultimi decenni da criteri etnici. Questo vuol dire che nella sezione A c’è una maggioranza di bambine e bambini privilegiati, spesso capaci di migliori prestazioni scolastiche perché provenienti da famiglie più ricche, più colte o capaci di fare pressione sulla scuola, mentre nelle ultime sezioni vengono segregati gli allievi più fragili, a volte scolasticamente “difficili” e comunque non garantiti. Si arriva a casi limite in cui, nelle sezioni degli ultimi, si ammassino insieme disabili e figli di immigrati, mascherando talvolta questa palese ingiustizia col pretesto che è bene mettere insieme i ragazzi più “deboli”, perché hanno bisogno di particolari attenzioni.
Anche se a livello legislativo non si è ancora arrivati alla necessaria legge sullo ius soli e ius culturae, dobbiamo pretendere che nelle nostre scuole a tutte le bambine e bambini sia garantita pari dignità non ci sia alcuna discriminazione.
Al nuovo ministro è giusto chiedere con determinazione una presa di posizione e indicazioni chiare da dare alle scuole per porre termine allo scandalo delle sezioni ghetto in un tempo in cui crescono diffidenze e discriminazioni nella società, che la scuola deve contrastare con ogni mezzo.
La formazione comune negli istituti comprensivi
C’è infine il grande bisogno di ripensare a fondo una formazione in servizio negli Istituti comprensivi, capace di creare ponti, cooperazione e progettazione comune tra insegnanti della scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado. Questo argomento merita una riflessione approfondita, da accompagnare con coraggio a proposte di revisione dello stato giuridico che permetta un tempo di programmazione alle e agli insegnanti di ogni livello di scuola.
Fonte: Giunti a scuola, 18 febbraio 2021.