Quando il carcere diventa tortura: l’ultimo rapporto Antigone
a cura di Katrina Dal Molin
La crescita della popolazione detenuta nel corso dell’ultimo anno acuisce il cronico problema del sovraffollamento delle carceri italiane: è questo uno dei punti centrali del XIX rapporto di Antigone sulle condizioni detentive, intitolato significativamente È proibita la tortura, presentato a Roma lo scorso 29 maggio.
Nel 2022 gli attivisti dell’Associazione Antigone hanno visitato 97 istituti penitenziari. Nel 35% degli istituti penitenziari erano presenti celle in cui non erano garantiti 3 metri quadrati calpestabili per ogni persona detenuta. Mentre il tasso di sovraffollamento, al 30 aprile 2023, era pari al 119%, con circa 9.000 persone in più rispetto ai posti effettivamente disponibili.
Il rapporto rivela che il sovraffollamento, un problema ormai endemico del sistema penitenziario italiano, è stato certificato anche dai tribunali di sorveglianza che, solo nel 2022, hanno accolto 4.514 ricorsi di altrettante persone detenute (o ex detenute), che durante la loro detenzione hanno subito trattamenti inumani e degradanti, legate soprattutto alla mancanza di spazi. Il sovraffollamento, oltre a limitare gli spazi vitali, riduce anche per le persone detenute le possibilità di lavorare, di studiare o di svolgere altre attività finalizzate al reinserimento nella società.
I numeri del carcere in Italia continuano lentamente, ma inesorabilmente, a crescere. A fronte di una capienza ufficiale di 51.249 posti, al 30 aprile erano presenti nelle carceri italiani 56.674 persone. Le donne (2.480) rappresentavano il 4,4% delle presenze, mentre gli stranieri (17.723) costituivano il 31,3%. I detenuti sono cresciuti circa cinque volte di più rispetto alla crescita dei posti: dal 30 aprile 2022 la capienza ufficiale è aumentata dello 0,8%, mentre le presenze sono aumentate del 3,8%. È cresciuto soprattutto il numero delle donne (+ 9%), mentre l’aumento degli stranieri, del 3,6%, è più o meno in linea con quello della popolazione detenuta complessiva.
Il 2022 è stato anche l’anno più drammatico per i suicidi, come rivela il rapporto. Sono state 85 le persone che si sono tolte la vita all’interno di un istituto penitenziario nel corso dell’anno, il numero più alto da quando viene effettuato il monitoraggio. L’età media dei suicidi era di 40 anni, la persona più giovane era un ragazzo di 20 anni, mentre la più anziana era un uomo di 71 anni. La maggior parte di queste persone (50, ossia quasi il 60%) si sono tolte la vita nei primi sei mesi di detenzione.
Sono già 23 i suicidi in questi primi mesi del 2023. Nel totale silenzio dei media, il 25 aprile e il 9 maggio 2023 due detenuti sono morti per sciopero della fame nel carcere di Augusta, in provincia di Siracusa, dopo 41 e 60 giorni di digiuno. Ogni giorno sono circa 30 i detenuti in sciopero della fame, in assoluto la più utilizzata tra le forme di protesta in carcere, cui talvolta si aggiunge anche lo sciopero delle terapie mediche.
È cresciuto anche il disagio psichico, nelle donne ancora di più che negli uomini. Nel 2022 le diagnosi psichiatriche gravi ogni 100 detenuti erano 9,2 (quasi il 10%), sebbene il 20% dei detenuti assumesse stabilizzanti dell’umore, antipsicotici o antidepressivi. Inoltre, l’autolesionismo riguarda un terzo delle donne e un sesto degli uomini. Nelle carceri visitate da Antigone gli episodi di autolesionismo sono stati una media di 19 ogni 100 detenuti.
In alcune carceri l’isolamento disciplinare, pericoloso per la salute delle persone, è usato molto spesso. Secondo i dati raccolti, le sezioni per l’isolamento disciplinare sono 102 (di cui 13 femminili) e il numero degli isolamenti disciplinari eseguiti nel corso dell’anno 2021 è stato in media di 15 ogni 100 persone detenute.
L’ultimo rapporto di Antigone include anche alcuni preziosi approfondimenti e alcuni focus analitici su casi particolarmente gravi di violenza avvenuti in carcere ai danni dei detenuti.
Uno degli approfondimenti è dedicato al caso di Alfredo Cospito, protagonista di un lungo sciopero della fame intrapreso contro il regime detentivo speciale previsto dall’art. 41-bis dell’Ordinamento penitenziario. Il contributo ricostruisce criticamente la complessa vicenda giudiziaria del militante anarchico, sullo sfondo delle modifiche introdotte dalla legge ex-Cirielli al Codice Penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354 in materia di attenuanti generiche, recidiva e giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, richiamando ampi stralci della sentenza della Corte costituzionale n. 94 del 2023.
La stessa associazione ha depositato, il 13 febbraio 2023, una propria opinione scritta indirizzata alla Corte costituzionale in veste di amicus curiae. In tale documento la sentenza con cui la Corte di cassazione ha qualificato la condotta di Cospito come “strage politica”, ai sensi dell’art. 285 del Codice Penale, è criticata per la sua estrema severità: “essa ha valutato il reato dal punto di vista del movente dell’autore (certamente violento e riprovevole) ma non sulla effettiva lesione del bene protetto dalla norma incriminatrice, essendo dubbio che un attentato, certamente grave ma rimasto senza vittime, ad una caserma dell’Arma o a cassonetti della spazzatura possa costituire un serio attentato alla sicurezza stessa dello Stato”.
La conclusione di Antigone è chiara: il legislatore è invitato ad applicare quanto più volte indicato dalla Corte costituzionale, “mettendo mano, a settantacinque anni dalla entrata in vigore del Codice penale, a quella revisione dei reati aventi carattere più marcatamente politico ed alla definitiva abrogazione della legge cd ex Cirielli, ormai più e più volte dichiarata costituzionalmente illegittima”.
Il rapporto contiene anche un interessante focus sul dibattimento in corso alla Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere, definito come “uno dei processi per imputazioni di tortura più grandi e importanti della storia della nostra Repubblica”. Sul banco degli imputati ci sono dirigenti dell’amministrazione penitenziaria e agenti che nell’aprile 2020 avrebbero pianificato e messo in atto condotte ferocemente violente ai danni di alcuni detenuti che avevano protestato nel carcere campano.
I pubblici ministeri hanno esercitato, a oggi, l’azione penale per 107 imputati. Tra questi importanti figure istituzionali e vertici di polizia, come l’allora provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, il commissario coordinatore della polizia penitenziaria di Santa Maria Capua Vetere e il comandante del nucleo traduzioni e piantonamenti del centro penitenziario di Secondigliano.
Le ricostruzioni dei fatti mostrano la pianificazione e l’attuazione di una vera rappresaglia ai danni dei detenuti che avevano protestato: “un’esplosione brutale e incontrollata di violenza su uomini inermi che avevano manifestato inquietudini e paure, e perplessità rispetto alla discutibile gestione della pandemia all’interno del carcere, della quale avevano peraltro pochissime informazioni”.
Gli agenti, in particolar modo, sono accusati di avere, in concorso con altri, percosso, pestato e provocato lesioni ai detenuti con colpi di manganello, calci, schiaffi, pugni e ginocchiate; di averli costretti a inginocchiamento e prostrazione o a restare in piedi per un tempo prolungato con la faccia rivolta verso il muro, o ancora inginocchiati, imponendo condotte umilianti, come la rasatura forzata di barba e capelli.
Quelle violenze sono state rese note a livello internazionale dalla diffusione delle immagini del circuito di video sorveglianza, e sono state seguite da una lunga sequela di calunnie, tentativi di falsi ideologici, applicazioni immotivate di sanzioni disciplinari nei confronti dei detenuti, redazione di atti postumi e depistanti, come la refertazione di lesioni inesistenti agli agenti penitenziari.
Il processo si è aperto il 7 novembre 2022 e l’istruttoria è iniziata l’8 marzo 2023, non senza alcune obiezioni sollevate dai difensori. In uno scenario così complesso il processo continuerà nei prossimi mesi. Chiara, anche in questo caso, la conclusione di Antigone: “Non potrà bastare una ritinteggiata per cancellare quanto successo, né servirà a far dimenticare, soprattutto a chi le ha subite, le feroci violenze di quel giorno. Tocca, allora, a tutti gli altri, lavorare collettivamente sul processo per preservare la memoria di quanto accaduto”.
Katrina Dal Molin frequenta il Corso di laurea in Scienze per la Pace presso l’Università di Pisa. Attualmente svolge il proprio tirocinio presso il Centro Interdisciplinare “Scienze per la Pace”.