lunedì, Dicembre 23, 2024
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Perché genere e clima sono connessi

La disuguaglianza di genere e le politiche per una reale parità sono argomenti di sempre maggiore interesse pubblico, grazie anche a interventi come quello di Katharine Wilkinson al TedWoman del 2018. Co-autrice del libro Project Drawdown, Wilkinson ha investigato a fondo le possibili soluzioni per combattere il riscaldamento globale: tra queste inserisce anche, tra le più importanti, l’emancipazione delle donne e delle ragazze. Elsa Pili spiega, sulla rivista InGenere, le motivazioni profonde del libro e il perché genere e clima siano fattori fortemente interconnessi. Dall’accesso alle risorse naturali alla presenza femminile nelle istituzioni, passando dalle politiche dell’Unione europea a favore della parità di genere, a partire dai settori economici fondamentali come agricoltura e imprenditoria: una gestione femminile ha effetti positivi sui circuiti produttivi ed economici, come dimostrano i dati. Mai come oggi, dunque, la lotta al cambiamento climatico si fonde con l’emancipazione di genere.

 

di Elsa Pili

 

Le donne sono più vulnerabili a disastri ambientali e conseguenze dei cambiamenti climatici, e affrontare la disuguaglianza nell’agricoltura potrebbe prevenire due miliardi di tonnellate di emissioni da qui al 2050. Perché genere e clima sono fattori fortemente connessi.

Uno degli elementi più rivoluzionari del gender mainstreaming è il presupposto su cui si basa: che qualsiasi politica pubblica ha degli impatti sulle relazioni e sulle disuguaglianze di genere. Implementare un programma di governo, a qualunque livello, attento alla parità di genere non è un processo che si esaurisce nella progettazione di politiche specifiche (ad esempio, l’inserimento di quote di genere negli organismi decisionali delle aziende o in quelli rappresentativi nelle istituzioni), per sperare di essere efficace deve necessariamente prendere in considerazione l’impatto di genere di tutte le azioni che pone in essere.

Se in passato era quasi esclusivamente riservata agli addetti ai lavori, negli ultimi anni la questione sta sempre più interessando il dibattito pubblico, anche grazie a interventi come quello di Katharine Wilkinson alla TEDWomen del 2018.

In pieno stile TED, l’intervento di Wilkinson è di sicuro fonte di ispirazione e grilletto per una riflessione importante su quanto e come la piena inclusione delle donne nelle nostre economie e società cambierebbe lo scenario rispetto alle grandi sfide globali che stiamo affrontando. A partire dalla tutela dell’ambiente e dalla lotta al cambiamento climatico.

Wilkinson è una delle autrici di Project Drawdown, un libro che investiga a fondo le possibili soluzioni per combattere il riscaldamento globale e che mette tra le principali, l’emancipazione delle donne e delle ragazze.

Nel suo intervento a TEDWomen Wilkinson spiega che il legame tra parità di genere e lotta contro il cambiamento climatico si evidenzia in tre aree in particolare, “tre aree in cui possiamo garantire i diritti delle donne e delle ragazze, rafforzare la capacità di resilienza ed evitare le emissioni allo stesso tempo”.

La prima è l’accesso alle risorse – dal credito alla formazione, dagli strumenti di lavoro ai diritti sulla terra. Le donne, argomenta Wilkinson, coltivano un minor quantitativo di prodotti rispetto agli uomini, a parità di grandezza del terreno, perché dispongono di risorse sensibilmente inferiori. Eppure, tra il 60 e l’80 per cento del cibo nei paesi a basso reddito è prodotto dalle donne: questo significa che, se si colmasse la disuguaglianza di genere nell’accesso alle risorse, lo stesso terreno produrrebbe tra il 20 e il 30 per cento in più. Un aumento della produzione nei terreni già adibiti alla coltivazione renderebbe possibile evitare la deforestazione di altre aree. Secondo le stime di Project Drawdown, affrontare la disuguaglianza nell’agricoltura potrebbe prevenire due miliardi di tonnellate di emissioni da qui al 2050.

La seconda e la terza area sono, in realtà, due facce della stessa medaglia, almeno nella prospettiva illustrata da Wilkinson: la scrittrice, infatti, sostiene che una diminuzione della crescita della popolazione mondiale sarebbe un grande aiuto per l’ambiente (pensando all’impatto che avrebbe sulla domanda di cibo, trasporti, elettricità, costruzione di nuovi edifici, produzione di ogni genere di beni). Agire sull’istruzione delle giovani ragazze, da una parte, e sulla disponibilità di strumenti di controllo delle nascite, dall’altra, avrebbe quindi il doppio effetto positivo di rafforzare la capacità decisionale delle donne su loro stesse, sul loro corpo e sul proprio futuro e di ridurre le emissioni a livello globale.

Quest’ultimo percorso concettuale sembra, forse, più avventuroso e spregiudicato del precedente. Vero è, che ci aiuta a riflettere su come ogni azione, qualsiasi sia il livello decisionale al quale viene presa, porta con sé una serie di effetti non intenzionali che potrebbero aiutare ma anche completamente annullare l’effetto dell’azione stessa, oppure creare squilibri, problemi o inefficienze in altri settori.

La connessione tra la tutela dell’ambiente e la lotta al riscaldamento globale, da una parte, e la valorizzazione delle donne nella società e del lavoro femminile, dall’altra, comunque, è un nesso tutt’altro che nuovo all’interno delle istituzioni internazionali. La Convenzione quadro sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (Unfccc), il più importante soggetto mondiale in materia, originariamente non menzionava la questione della disuguaglianza di genere. Grazie, però, al lavoro di molti gruppi di pressione e lobby di donne che hanno lavorato costantemente su questo negli ultimi 15 anni, la situazione è cambiata: nel 2012, il legame tra genere e clima è diventato un punto fermo all’ordine del giorno della Conferenza annuale delle parti (Cop), l’organo di governo del processo dei negoziati internazionali sul clima. È stato formato un gruppo di lavoro dedicato a questo tema all’interno del segretariato dell’Unfccc e ai governi è stato chiesto di nominare dei gender focal point, chiamati a rappresentare il punto di riferimento all’interno delle loro organizzazioni e a riferire sui progressi nella parità di genere e nel grado di considerazione dell’impatto di genere nella politica climatica del proprio paese.

Anche le istituzioni europee si sono interrogate sul legame tra cambiamento climatico e parità di genere: particolarmente rilevante è la relazione del Parlamento europeo del 2018 in cui l’aula di Strasburgo ha avanzato alcune richieste specifiche alla Commissione e a tutta la comunità internazionale. Tra queste, il testo propone che i tre meccanismi finanziari nell’ambito della Unfccc (il Fondo verde per il clima, il Fondo mondiale per l’ambiente e il Fondo di adattamento) sblocchino finanziamenti aggiuntivi per una politica di investimento a favore del clima maggiormente capace di rispondere alle problematiche di genere. Il documento richiede che gli aiuti allo sviluppo erogati dall’Unione europea siano subordinati all’inclusione di criteri fondati sui diritti umani e invita la Commissione a prendere l’iniziativa di elaborare una comunicazione esaustiva dal titolo “Parità di genere e cambiamenti climatici – rafforzare la resilienza e promuovere la giustizia climatica nelle strategie di mitigazione e di adattamento”. La Commissione europea, peraltro, nel 2017 ha pubblicato una call for proposals che metteva a disposizione 20 milioni di euro per progetti volti a promuovere l’imprenditorialità femminile nel settore dell’energia sostenibile nei paesi in via di sviluppo.

Attive su questo fronte anche UN Women (molto completo il fact sheet sulla parità di genere e il cambiamento climatico) e la Banca Mondiale, che aveva pubblicato al riguardo un report divulgativo già nel 2011. Anche qui, peraltro, venivano già delineati con chiarezza i tre principali elementi che sarebbero poi stati ripresi e in certi casi ampliati da diversi soggetti internazionali: in primo luogo, che le donne sono vulnerabili in maniera sproporzionata rispetto agli effetti dei disastri naturali e del cambiamento climatico nei contesti in cui i loro diritti e il loro status socio-economico non sono uguali a quelli degli uomini; in secondo luogo, che rimediare a questa disuguaglianza e, dunque, investire sull’emancipazione delle donne è un contributo fondamentale per la costruzione della resilienza climatica; infine, che i percorsi di riduzione delle emissioni possono essere molto più efficaci ed equi se, nella loro progettazione, viene utilizzato un approccio che integra una prospettiva di genere – il che significa anche che un numero maggiore di donne deve essere presente negli organi nazionali e globali deputati a prendere decisioni su questo tema.

Insomma, il legame tra ambiente e parità di genere è tutt’altro che nuovo. Ma le istituzioni europee e internazionali non potranno mai competere con la potenza comunicativa di una TED Conference, ed è un fatto positivo che questo argomento abbia sfondato i confini del tecnico e sia arrivato al grande pubblico, perché la consapevolezza diffusa è sempre uno dei primi ingredienti dei cambiamenti di grande portata.

 

Fonte: InGenere, 18 febbraio 2019.