martedì, Novembre 25, 2025
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Nobel per la pace: origini e storia di un premio controverso

 

di Emma Fanciulli e Arianna Sodani

Il Premio Nobel per la Pace non è solo un diploma da incorniciare o una medaglia dorata da esporre con orgoglio. È anche o soprattutto un atto politico, che dovrebbe servire a promuovere la costruzione di una società mondiale meno violenta e iniqua, se non pacifica e libera dalle guerre.

La consegna del premio, che si tiene a Oslo ogni 10 dicembre nell’anniversario della morte di Alfred Nobel, è da sempre una cerimonia di alto profilo diplomatico ripresa dai media di tutto il mondo. Ricostruire le origini e le vicende di questa prestigiosa onorificenza può aiutare a comprendere perché la sua assegnazione abbia spesso dato luogo a controversie, da ultimo per la decisione di insignire l’attivista venezuelana Maria Corina Machado.

 

Le origini del premio

Secondo il testamento di Alfred Nobel, che ha istituito sia questo premio che gli altri a lui intitolati, il riconoscimento va assegnato “alla persona che avrà compiuto il lavoro più grande o migliore per la fratellanza tra le nazioni, per l’abolizione o la riduzione degli eserciti permanenti e per la formazione e la diffusione di congressi per la pace”. Si tratta di un programma che riflette le visioni pacifiste liberali di fine Ottocento, tragicamente naufragate nella catastrofe della Prima guerra mondiale.

Per comprendere meglio il senso di questo premio, ci si è interrogati a lungo sul paradosso per cui Nobel – inventore della dinamite e figura rilevante nell’industria degli armamenti del suo tempo – abbia deciso di istituire un riconoscimento per i costruttori o le costruttrici di pace.

Una prima spiegazione possibile è quella del desiderio di riabilitazione: una lettura popolare vuole che Nobel sarebbe stato scosso dalla pubblicazione anticipata di un suo necrologio, che lo definiva “il mercante di morte”, e avrebbe voluto tramite questo premio riscattarsi agli occhi dei contemporanei e riabilitare la sua figura presso le future generazioni.

La seconda spiegazione, più sofisticata ma priva di fonti attendibili, è quella di una visione tecnocratica della pace: Nobel sarebbe stato un precursore della deterrenza, da raggiungere attraverso lo sviluppo di armi sempre più potenti, che avrebbero finito per rendere la guerra una scelta irrazionale.

La terza spiegazione, forse la più plausibile, fa risalire la decisione di istituire il premio all’influenza di Bertha von Suttner, la pacifista austriaca autrice di Abbasso le armi! conosciuta da Nobel a Parigi e divenuta poi sua regolare corrispondente epistolare. Nelle 94 lettere che compongono l’epistolario tra i due emergono, in effetti, numerose riflessioni sui modi concreti per ottenere la pace, compresa l’idea di fondare gli “Stati Uniti d’Europa”, ma emerge anche la grande diversità delle loro visioni e dei loro caratteri: impetuosa, appassionata, ispirata dall’ottimismo della volontà von Suttner; pragmatico, realista, incline al pessimismo della ragione Nobel.

 

I meccanismi di assegnazione del premio

Il premio Nobel per la pace si distingue per una procedura di assegnazione peculiare, delineata già nel testamento di Alfred Nobel. Mentre i premi per le scienze e per la letteratura sono stati affidati a istituzioni svedesi, l’individuazione del vincitore per la pace è stata delegata a un Comitato nominato dal Parlamento norvegese. Si tratta di una scelta ben ponderata. La Norvegia, a fine Ottocento in unione personale con la Svezia ma dotata di un parlamento autonomo e di una tradizione diplomatica più neutrale, era percepita come una piccola nazione senza passato o presente imperiale, quindi più credibile e adatta a gestire un premio che doveva incarnare l’ideale della fratellanza e della convivenza tra i popoli.

Il processo di selezione del Nobel per la pace si articola in una fase preliminare di ampie consultazioni. Annualmente, il Comitato norvegese per il Nobel sollecita candidature da un corpus qualificato di soggetti: membri passati e presenti del Comitato stesso e consiglieri dell’Istituto Nobel norvegese; parlamentari e governanti di diversi Stati; giudici della Corte Internazionale di Giustizia; esperti di diritto internazionale; professori universitari di discipline giuridiche, politiche, storiche e filosofiche; precedenti insigniti del premio; direttori di istituti di ricerca strategica o di organizzazioni per la pace. Le nomine pervenute entro il primo febbraio vengono sottoposte a un rigoroso esame con il supporto di consulenti esperti, seguito da una selezione e da una votazione finale.

A differenza degli altri premi Nobel, quello per la pace può essere assegnato anche collettivamente a organizzazioni o istituzioni ritenute degne, come la Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari, insignita nel 2017.

Dal 1901 a oggi, il riconoscimento è stato conferito a 112 individui — tra cui 20 donne, una percentuale superiore a quella di qualsiasi altra categoria Nobel — e a 27 organizzazioni. Solo due enti hanno ricevuto il premio più volte: il Comitato Internazionale della Croce Rossa, onorato in tre distinte occasioni (1917, 1944 e 1963), e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, premiato due volte (1954 e 1981). Dalla sua istituzione, il premio non è stato assegnato in diciannove diverse edizioni, un numero superiore a quello registrato in qualsiasi altra categoria del premio Nobel.

 

Le donne premi Nobel per la pace

Le donne insignite del Nobel per la pace appartengono a contesti storici e scenari geopolitici profondamente diversi. La già ricordata Bertha von Suttner, premiata nel 1905 in un clima prebellico, costituisce una delle voci più importanti dell’epoca nella promozione di una cultura di pace sensibile alle questioni di genere.

Jane Addams, sociologa statunitense e co-fondatrice della Women’s International League for Peace and Freedom (WILPF), ha vinto il premio nel 1931 in un periodo segnato dalla crisi economica globale e dall’ascesa del nazismo in Germania. La sua associazione, composta da sole donne, aveva tentato di fermare la prima guerra mondiale attraverso l’arbitrato internazionale, un capitolo di pacifismo femminile ancora poco studiato. A Emily Greene Balch, anch’essa della WILPF, è stato assegnato il premio nel 1946.

Negli anni Settanta, il Nobel per la pace è stato assegnato a Betty Williams e Mairead Corrigan nel 1976, fondatrici della Community of Peace People per la pacifica convivenza in Irlanda del Nord, e nel 1979 a Madre Teresa di Calcutta, che rifiutò il banchetto cerimoniale e devolse i fondi ricevuti a varie organizzazioni di contrasto alla povertà.

Dopo un lungo intervallo negli anni ‘80, il premio è andato nel 1991 a Aung San Suu Kyi, all’epoca icona globale della resistenza nonviolenta contro il regime militare in Birmania/Myanmar. L’anno seguente, invece, è stato assegnato a Rigoberta Menchú premiata per la sua lotta pacifica a favore delle popolazioni indigene in Guatemala. Mentre Jody Williams lo ha ricevuto nel 1997 per la campagna contro le mine antiuomo.

Nel 2002 Shirin Ebadi è stata la prima donna musulmana a vincere il Nobel per la pace, premiata per il suo impegno per la democrazia e i diritti umani in Iran, con particolare riferimento ai diritti delle donne e dei bambini. Wangari Maathai, prima donna africana premiata nel 2004, è stata riconosciuta per il suo impegno a favore dello sviluppo sostenibile e della democrazia.

Nel 2011 il premio è stato assegnato a tre donne: Ellen Johnson Sirleaf e Leymah Gbowee, attiviste in Liberia, e Tawakkol Karman, attivista in Yemen, per la loro battaglia nonviolenta a favore della sicurezza delle donne e del loro diritto alla piena partecipazione ai processi di costruzione della pace. Nel 2014, infine, Malala Yousafzai è stata insignita del Nobel per il suo impegno a favore del diritto all’istruzione soprattutto delle bambine e delle donne, diventando la più giovane vincitrice del premio.

 

Un premio al centro di periodiche controversie

Il premio per la pace è stato, tra i Nobel, quello che ha suscitato le maggiori controversie. In vari casi si è criticato il fatto che l’assegnazione non avesse tenuto adeguatamente conto del passato del vincitore, ossia della sua politica e delle sue azioni in contraddizione con la definizione stessa del premio. Rientrano in questa categorie le nomine di Theodore Roosevelt, Anwar al-Sadat, Menachem Begin, Shimon Peres, Yitzhak Rabin, Yasser Arafat, Lê Đức Thọ, Henry Kissinger o Eisaku Satō.

In altri casi, invece, si è criticata l’assegnazione del Nobel a personalità i cui risultati sono stati giudicati insufficienti: considerazioni di questo tipo hanno accompagnato le nomine dell’ex presidente statunitense Jimmy Carter, dell’ex segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan e dell’ex direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica Muhammad al-Barādeʿī.

L’assegnazione del Nobel per la Pace a Barack Obama nel 2009 è stata, invece, contestata per il suo carattere prematuro, basato più sulle aspettative di un nuovo corso politico che su risultati concreti. I critici hanno sottolineato la stridente contraddizione tra il riconoscimento prestigioso e la successiva escalation delle operazioni militari statunitensi in Afghanistan, l’uso dei droni e il ricorso a esecuzioni extragiudiziali contro presunti terroristi.

Alcuni destinatari del premio sono stati infine criticati dopo averlo ricevuto, per azioni ritenute in contrasto con le motivazioni del Nobel. Aung San Suu Kyi, premiata nel 1991, è stata contestata per la sua inerzia verso il genocidio perpetrato in Myanmar contro la minoranza musulmana dei Rohingya. Il Primo ministro etiope Abiy Ahmed Ali, premiato nel 2019, è ritenuto responsabile del conflitto armato in corso nella regione del Tigray, dove si sono registrati numerosi crimini di guerra.

Anche per rispondere a queste polemiche, nel 2005 il Comitato per il Nobel ha pubblicamente affermato che il premio sarebbe stato assegnato solo a “persone, gruppi o organizzazioni che hanno impegnato la loro esistenza al servizio dei diritti umani, la promozione del modello liberale nonché la difesa della diplomazia”. Ma la scelta di identificare la costruzione della pace con il liberalismo di matrice occidentale, spesso piegato a obiettivi di potenza, ha a sua volta suscitato critiche e perplessità.

 

Le critiche alla nomina di María Corina Machado

L’assegnazione dell’ultimo Nobel per la Pace a María Corina Machado, motivata col suo “incessante impegno in difesa della democrazia e dei diritti civili in Venezuela”, ha subito acceso fortissime controversie.

Se da un lato, la leader dell’opposizione al Presidente venezuelano in carica Nicolás Maduro è vista come un simbolo di resistenza contro un regime autoritario, dall’altro lato molti hanno visto questo riconoscimento come parte di una campagna politica (e militare) promossa dagli Stati Uniti per ottenere un cambio di regime in Venezuela e promuovere la privatizzazione delle ingenti risorse petrolifere del paese.

Anche senza entrare nel merito di queste interpretazioni, è possibile constatare come molte dichiarazioni di Machado non siano in linea con la promozione della pace con mezzi pacifici, che dovrebbe essere al cuore del premio Nobel: i suoi ripetuti appelli a potenze straniere, agli Stati Uniti guidati da Donald Trump in particolare, per liberare il paese da Maduro anche con un’operazione militare, non lasciano molti dubbi.

Nonostante la freddezza con cui Trump ha accolto la nomina di Machado, frutto della delusione per non essere stato insignito lui stesso del premio, personaggi di punta dell’amministrazione statunitense non hanno fatto mai mistero delle proprie simpatie per la leader dell’opposizione venezuelana.

Marco Rubio, Segretario di Stato e Consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, nell’agosto 2024 aveva firmato una lettera al Comitato norvegese per il Nobel, approvando la candidatura di Machado al premio. La lettera era stata firmata da altri sette legislatori repubblicani tra cui Michael Waltz, allora membro del Congresso in rappresentanza della Florida, ora ambasciatore degli Stati Uniti alle Nazioni Unite. “Crediamo fermamente che la leadership coraggiosa e altruistica di María Corina Machado e la sua incrollabile dedizione alla ricerca della pace e degli ideali democratici la rendano la candidata più meritevole per questo prestigioso premio”, si leggeva nella lettera.

La nomina di Machado al Nobel per la pace ha rinfocolato le critiche alla natura politica del premio. In un momento che vede l’esercito degli Stati Uniti dispiegare ingenti forze navali e aeree nel Mar dei Caraibi, nel quadro di una “guerra al narcotraffico” combattuta con uccisioni extragiudiziali, che sembra avere come obiettivo finale un cambio di regime in Venezuela, la scelta del Comitato norvegese appare quanto meno intempestiva.

 

Emma Fanciulli è laureata in Economia Aziendale all’Università di Pisa e svolge la collaborazione part-time presso il Centro Interdisciplinare Scienze per la Pace.

Arianna Soldani è laureata in Economia Aziendale all’Università di Pisa e svolge la collaborazione part-time presso il Centro Interdisciplinare Scienze per la Pace.