Né retorica né benessere: l’apprezzamento come valore
di Christian Bermes
La situazione attuale, causata dalla pandemia di Coronavirus, pone la politica e la società, a livello nazionale e internazionale, difronte a grandi sfide. Proprio in questo periodo, il concetto di apprezzamento [Wertschätzung] diventa nuovamente un tema particolare in riferimento a gruppi professionali o inteso come solidarietà reciproca. In tempi di crisi l’apprezzamento si mostra in modo particolarmente evidente: vi si incita, viene richiesto e forse, a volte, viene anche strumentalizzato. Ed è per questo che ci si pone il problema di capire cosa sia esattamente l’apprezzamento e che ruolo giochi nell’azione politica.
Nel momento in cui si discute dell’apprezzamento si pone l’attenzione sulle relazioni tra gli esseri umani e, di conseguenza, sull’ordine sociale. Da una parte la politica, senza alcuna idea di apprezzamento, tende a diventare amministrazione di interessi di gruppo anonimi. D’altra parte l’apprezzamento, senza collegamento con la realtà politica, sottovaluta la predisposizione dell’identità collettiva a essere manipolata. Entrambi questi sviluppi sono oggi fortemente presenti.
Senza dubbio, l’apprezzamento è un fenomeno complesso. Nella storia umanistico-culturale europea si lasciano individuare almeno tre radici che definiscono l’orizzonte di senso del concetto: nell’antichità greca l’apprezzamento è una virtù dei rapporti umani e del vivere comune; nella tradizione giudaico-cristiana l’amore per il prossimo gioca un ruolo fondamentale; nell’illuminismo o, per l’esattezza, nell’idealismo tedesco, prevale il concetto chiave del riconoscimento.
Aristotele, per esempio, descrive una virtù per la quale in greco non esiste una parola corrispondente. Una virtù che individua il giusto mezzo tra la compiacenza da un lato, e la misantropia e la litigiosità dall’altro. “Essa non ha nome, ma somiglia principalmente all’amabilità”. Aristotele precisa che chi possiede questa virtù “non accetta tutto nel modo corretto per amore o per odio, ma perché è fatto così”1.
Nella tradizione cristiana la posizione centrale dell’amore verso il prossimo si esplica nel doppio comandamento dell’amore, cioè nell’amore verso Dio che si interseca con l’amore verso il prossimo: “non c’è comandamento più grande di questo”2.
Le teorie sul riconoscimento nell’idealismo tedesco, ormai divenute classiche, culminano nelle riflessioni di Hegel sul rapporto tra signoria e servitù. È significativo che queste riflessioni inizino affermando: “L’autocoscienza è in sé e per sé allorquando, e per il fatto che, essa è in sé e per sé per un’altra autocoscienza; ciò significa che è solamente come qualcosa di riconosciuto”3. Quale elemento centrale della descrizione e della valutazione dell’integrità sociale, l’apprezzamento è profondamente ancorato nella riflessione culturale.
Sul modo di dire ‘mettersi allo stesso livello’
Tuttavia, si potrebbe pensare che l’apprezzamento abbia a che fare con il ‘mettersi allo stesso livello’. Questo modo di dire è oggi molto amato, ma anche molto vuoto. La possibilità di entrare in dialogo con l’altro sembra dipendere dalla possibilità di dibattere ‘allo stesso livello’ o di ‘stabilire una parità’. Ora, tralasciando il fatto che l’esplicita richiesta di pari livello in un confronto reale non significa altro che perdere fattualmente, non appena lo si pretende, il livello preteso e di sprofondare nel vuoto, questa immagine è distorta, soprattutto se viene associata all’apprezzamento. E infatti, a questo proposito, sorgono chiaramente alcune domande: l’apprezzamento ha qualcosa a che fare con il livellamento delle differenze? Si ha bisogno di apprezzamento nel caso in cui non ci siano più differenze? E non è proprio l’apprezzamento una forma di interazione tra gli esseri umani in cui sono permesse delle differenze, proprio perché in un certo senso – certo, ancora da chiarire – tali differenze non giocano nessun ruolo per l’apprezzamento?
L’apprezzamento non è solo parte della retorica moderna nella gestione dei dibattiti. La ricerca di apprezzamento interessa anche la cosiddetta letteratura di auto-aiuto che accompagna la vita moderna come un commento psicologico continuo, e che – cosa che può acquisire caratteri patologici – la occupa e a volte si sostituisce a essa. Il campo concettuale è ampio – si spazia dalla ‘stima’ al ‘riconoscimento’ fino al ‘rispetto’. Quando si parla di ‘apprezzamento’ ci si imbatte anche in concetti quali ‘simpatia’, ‘empatia’ e ‘consapevolezza’. Non si fa quindi riferimento solo al riconoscimento autentico di una personalità, ma anche alle qualità relazionali tra gli esseri umani. Ognuna di queste qualità è di fondamentale importanza per la vita umana. Tuttavia, esse compaiono nella moderna letteratura di auto-aiuto fin troppo spesso come un’offerta di benessere per anime stressate mediaticamente o come abbellimento di una vita che, anche senza apprezzamento, ‘funziona’ comunque molto bene.
L’apprezzamento è troppo importante per essere considerato come un ausilio retorico o come un decoro ornamentale per la vita moderna, sovraccarica a livello digitale e comunicativo. L’apprezzamento non è né un peso, né un lusso e, certamente, neanche una cosa qualsiasi. L’apprezzamento è molto più di questo: esso caratterizza una vita al di là del consueto. L’apprezzamento si fa notare, lascia interdetti, e può anche infastidire. L’apprezzamento fa vacillare le consuetudini dell’esistenza. Esso valuta una vita non secondo regole o criteri generali, ma concretamente, a partire dalla vita stessa.
Salvaguardia del ‘punto cieco’
Chiaramente noi conosciamo le regole dell’etichetta, le convenzioni, le abitudini, gli usi e i costumi, che, come un collante, rendono possibile lo scambio sociale assumendo carattere vincolante sotto forma di regolamentazioni legali codificate4. Si potrà forse pensare che, per esempio, l’apprezzamento si esprima nel e attraverso il rispetto di alcune forme di saluto ormai stabilite. Ma proprio qui sorge il problema se in questi casi si possa veramente parlare di apprezzamento. Il significato delle forme di saluto si esprime proprio nel fatto che esse esplicano la propria funzione, indipendentemente dalla persona verso cui sono usate. Per questo vengono rispettate e richieste. Proprio questo sembra costituire una differenza con l’apprezzamento. Infatti, al di là del consueto, nell’apprezzamento si ha a che fare con l’altro in un senso diverso, un senso inconsueto.
Per questo l’apprezzamento è importante anche per la politica e l’azione politica. L’azione politica, normalmente, si interessa delle condizioni che rendono possibile la vita sociale. La politica si occupa delle strutture che organizzano la vita sociale, e una parte non indifferente del lavoro politico consiste nel mantenere l’equilibrio tra interessi contrastanti. Può però succedere che strutture, organizzazioni e identità di gruppo tendano sempre di più a impedire di dirigere lo sguardo verso le singole persone che, in fin dei conti, sono i diretti interessati. L’apprezzamento protegge dal pericolo rappresentato da questo punto cieco dell’azione politica, perché ha la forza di dirigere lo sguardo dalle strutture, in cui gli esseri umani ‘hanno’ la loro vita, verso una vita che gli esseri umani ‘conducono’ e riserva alla loro singola esistenza una particolare considerazione, senza cercare di dirigerla o manipolarla.
La volpe e l’uva
L’apprezzamento si dispiega e opera nei rapporti reciproci. Per capire il significato dell’apprezzamento in casi specifici è opportuno diversificare il suo campo di azione in tre aspetti. Innanzitutto, l’apprezzamento opera in modo correttivo, poiché da un lato si oppone al risentimento quale travisamento dei valori e dall’altro lato si oppone al disprezzo quale svalorizzazione. In secondo luogo, l’apprezzamento ha una funzione delineante in quanto forma la ragione pratica, così da non perdere di vista il concreto. In terzo luogo, esso agisce in modo qualificante: qualifica l’altro non come un caso tra tanti ma come un modello concreto e, quindi, come una individualità esemplare.
La fiaba La volpe e l’uva, ascritta a Esopo, può illustrare la funzione correttiva dell’apprezzamento: una volpe vede una vite e desidera l’uva dolce che pende splendida dai rami. I suoi tentativi di coglierla sono però vani; essa non trova nessun modo di raggiungerla. Così la volpe abbandona l’impresa, si volta e dice a se stessa: “L’uva non è matura. Non voglio mica mangiare dell’uva acerba”.
La fiaba non descrive un fallimento quotidiano, uno di quei fallimenti che gli esseri umani conoscono molto bene. La capacità di affrontare il fallimento in modo produttivo è una capacità naturale dell’essere umano. Ma la volpe non affronta la situazione in modo produttivo. Piuttosto, di fronte alla sua incapacità, distorce la situazione e la sua percezione del mondo: l’uva si trasforma da dolce in acerba per giustificare alla meno peggio la propria incapacità.
Se una tale impotenza domina la vita umana come esperienza fondamentale, e il mondo e gli altri vengono costantemente vissuti dalla prospettiva di questa impotenza, allora si ha a che fare proprio con ciò che si può definire risentimento, e con ciò che Max Scheler nel suo lavoro del 1912 Il risentimento nella edificazione delle morali – ancora oggi di grandissimo rilievo – definisce come “auto-avvelenamento dell’anima”. Si tratta di “un atteggiamento psichico costante, che sorge dalla repressione sistematica dello sfogo di certi moti e affetti dell’anima, in sé normali e appartenenti alla struttura fondamentale della natura umana, e che ha per effetto certi atteggiamenti costanti di travisamento di determinati valori e dei giudizi di valore corrispondenti”5. Nel risentimento, il travisamento dei valori come atteggiamento costante prende il sopravvento. E anche oggi si trovano molti esempi, anche in campo politico, che mostrano come si tragga facilmente vantaggio da un tale travisamento dei valori. L’impotenza viene strumentalizzata e inscenata, consolidata e resa permanente; il travisamento dei valori non viene per niente negato, ma viene acclamato e diffuso come l’unica vera visione del mondo.
L’apprezzamento si oppone al risentimento, perché permette che gli altri e il mondo mantengano il proprio significato. L’uva apprezzata rimane dolce senza che venga posseduta. Chiaramente non si deve gioire perché non si è riusciti a coglierla, ma non la si deve neppure definire acerba perché non si è riusciti ad ottenerla. L’apprezzamento tutela proprio da quest’ultimo atteggiamento.
(Traduzione di Giovanna Caruso)
[Fine della prima parte. La seconda parte dell’articolo sarà pubblicata la prossima settimana]
Christian Bermes è professore ordinario di Filosofia presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Koblenz-Landau, nonché editore della Zeitschrift für Kulturphilosophie e dell’Archiv für Begriffsgeschichte.
Fonte: Die Politische Meinung, n. 562/2020
Note
1 Aristotele, Etica Nicomachea, Laterza, Roma-Bari 2018, p. 157.
2 Vangelo di Marco, 12, 31.
3 Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Phänomenologie des Geistes, 1807 (trad. it. La fenomenologia dello spirito, Einaudi, Torino 2008), p.128.
4 Cfr. Christian Bermes, “Verbindlichkeit. Stärken einer schwachen Normativität”, in M. Bauks, C. Bermes, T. Schimmer, J. Schneider, M. Steinicke (a cura di), Verbindlichkeit. Stärken einer schwachen Normativität, Transcript Verlag, Bielefeld 2019, pp. 13-28.
5 Max Scheler, Das Ressentiment im Aufbau der Moralen, 1912 (trad. it. ll risentimento nella edificazione delle morali, Vita e pensiero, Milano 1975), p. 42.