L’invasione di terra a Gaza: cosa prevede e perché fallirà
L’esercito israeliano ha avviato in questi giorni un’operazione di terra, penetrando con i propri tanks nel Nord di Gaza. Si tratta della prima tappa di un piano in tre fasi, elaborato per distruggere Hamas e tutti i suoi centri operativi, e finalizzato alla realizzazione di una estesa “zona cuscinetto” intorno all’attuale Striscia, con il conseguente concentramento della popolazione in un’area di territorio ancora più piccola della attuale. Già prima dello scoppio della guerra la densità a Gaza era una delle più elevate del Medio Oriente, con circa 6.500 abitanti per chilometro quadrato (per avere un termine di paragone, Milano ha una densità di 7.500 abitanti per chilometro quadrato). Si tratta di una strategia che, senza contare gli elevatissimi costi umani ed economici, può avere successo dal punto di vista di Israele e della sua sicurezza? Paul Rogers, professore emerito di Peace studies alla Bradford University, risponde negativamente a questa domanda in un intervento pubblicato da The Guardian, che riproponiamo qui in versione italiana. Per colpire la “città sotterranea” costruita da Hamas, l’esercito israeliano dovrà fare ricorso ad armi a forte impatto, che distruggeranno interi quartieri e faranno aumentare ulteriormente il numero dei morti civili, mettendo a repentaglio uno degli obiettivi ufficiali del governo Netanyahu, ovvero il salvataggio degli ostaggi in mano ad Hamas. La distruzione di Gaza potrebbe portare a un’ulteriore radicalizzazione dei giovani palestinesi e preparare il terreno per lo sviluppo di un movimento neo-Hamas dopo l’eventuale distruzione di quella attuale: non solo a Gaza, ma soprattutto in Cisgiordania, dove la politica degli insediamenti sempre più aggressiva e l’attuale pressione esercitata dai coloni sui palestinesi affinché lascino le loro case, alimentano il conflitto. In conclusione, il giudizio di Paul Rogers sull’approccio del governo Netanyahu è severo, così come severa è la valutazione delle posizioni assunte dagli Stati Uniti, dal Regno Unito e dall’Unione Europea, che non si stanno impegnando per un cessate il fuoco ma, al contrario, sostengono l’iniziativa militare di Israele.
di Paul Rogers
Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) sono pronte a iniziare le operazioni di terra nel Nord di Gaza. Il loro obiettivo è chiaro: l’eliminazione di Hamas. Ma l’esperienza precedente suggerisce che, nonostante la superiorità militare di Israele, queste operazioni falliranno.
Israele sta pianificando un’operazione in “tre fasi”. La prima fase è iniziata con un intenso bombardamento aereo e proseguirà con operazioni di terra mirate a “neutralizzare i terroristi e distruggere le infrastrutture di Hamas“, secondo le parole del ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant.
La seconda fase prevede la distruzione di ogni resistenza residua e sarà seguita dalla fase finale, con la creazione di una consistente “zona cuscinetto” intorno a Gaza. Una volta sconfitto Hamas, la Striscia sarà separata da Israele e presumibilmente diventerà responsabilità della comunità internazionale, forse anche per quanto riguarda la fornitura di energia elettrica, acqua, cibo e altre necessità.
Questa guerra è la quinta tra Hamas e Israele dal 2008. Le quattro guerre precedenti e le relative violenze sono costate 5.365 vite palestinesi e 308 vite israeliane. Nella guerra in corso, il 7 ottobre sono stati uccisi almeno 1.400 israeliani, tra cui 279 soldati, e altri 3.400 sono stati feriti. Finora, nella vasta risposta dell’IDF, sono stati uccisi quasi 6.000 palestinesi, tra cui più di 2.000 bambini, e più di 16.000 persone sono state ferite. Anche 29 operatori umanitari delle Nazioni Unite sono stati uccisi [i dati sulle vittime della guerra sono in continuo aggiornamento, soprattutto per quanto riguarda i civili palestinesi, ndr].
Solo in una delle guerre precedenti, nel luglio 2014, l’IDF ha effettuato una vasta incursione di terra e la sua “Brigata del Golan” [una brigata d’elite dell’IDF, ndr] ha subito gravi perdite. Questo dato, unito alla presunta migliore preparazione di Hamas, rendono quasi certo che, questa volta, l’IDF utilizzerà una massiccia potenza aerea prima di qualsiasi assalto di terra. La “counter-city destruction” (la devastazione di un’area urbana prima di coinvolgere le truppe di terra) è una caratteristica frequente delle guerre contemporanee, che si tratti della Russia in Cecenia e in Ucraina o della coalizione [anti-ISIS, ndr] guidata dagli Stati Uniti in Iraq, in particolare con la distruzione della città vecchia di Mosul appena sei anni fa.
A Gaza saranno distrutti molti altri quartieri e i “tunnel di infiltrazione” [tunnel sotterranei utilizzati da Hamas per vari scopi, tra cui il passaggio di armi, attrezzature e combattenti, ndr] saranno colpiti ripetutamente, molti dei quali con la bomba “distruggi bunker” GBU-28 di fabbricazione statunitense. Israele ne ha già un centinaio e potrebbe ora disporre della più avanzata GBU-72.
Data l’assoluta determinazione del governo di Benjamin Netanyahu a distruggere Hamas, molte altre migliaia di palestinesi saranno uccisi e altre decine di migliaia feriti. Se la guerra prima o poi finirà, i palestinesi di Gaza saranno probabilmente contenuti in un’area molto più piccola e soggetti a un’intensa sorveglianza.
Questa situazione comporta pericoli strategici per Israele. Invece di estinguere Hamas, la guerra in corso porterà altre decine di migliaia di giovani palestinesi arrabbiati a unirsi all’organizzazione di Hamas ovvero a organizzazioni simili che le succederanno.
Se si crede che ciò possa essere mitigato dalla pesante sorveglianza di 2 milioni di palestinesi stipati in una Gaza di dimensioni ridotte, si ignora ciò che sta accadendo in Cisgiordania. Là più di 3 milioni di palestinesi vivono sotto un’occupazione che non ha fatto altro che peggiorare sotto i governi integralisti di Netanyahu.
La Cisgiordania è molto diversa da Gaza sotto due aspetti cruciali. Il primo è la rapida espansione degli insediamenti israeliani, che presentano una potente combinazione di ultranazionalismo e fondamentalismo religioso tra i coloni. Questa dinamica è fortemente sostenuta dai partiti di matrice religiosa presenti nel governo Netanyahu, alcuni con una visione dei palestinesi che si ispira a quella di Kahane [leader del movimento più estremista dei coloni israeliani, morto nel 2000, figlio del rabbino Meir Kahane che ha dato il nome al Kahanismo, ndr].
Il secondo è che gli insediamenti sono così diffusi in tutto il territorio e molti coloni sono così determinati a esercitarvi il controllo, che le tensioni con la popolazione palestinese maggioritaria sono molto alte. Il recente accaparramento di terra a Ein Rashash è solo un esempio del ripetuto esproprio di terreni palestinesi ed è stato accompagnato da ripetuti atti di violenza in tutti i Territori occupati. Dall’inizio dell’anno fino a metà settembre, 189 palestinesi erano stati uccisi e più di 8.000 feriti in Cisgiordania.
Le atrocità del 7 ottobre aumenteranno la determinazione dei coloni a consolidare il loro controllo su un territorio più vasto, ma l’IDF è riluttante a farsi coinvolgere direttamente in quella che potrebbe essere una vera e propria “guerra urbana”. C’è appena stato uno dei rari attacchi aerei nell’area, su un sito sospetto di Hamas/Jihad islamica palestinese (PIJ) a Jenin, ma il contributo dell’IDF in Cisgiordania si è manifestato soprattutto sotto forma di intensi pattugliamenti di terra.
Tuttavia, queste operazioni sono state contrastate. In un incidente avvenuto a inizio anno, uno dei più moderni veicoli corazzati dell’IDF adibito al trasporto di personale e progettato specificamente per l’uso in Cisgiordania, è stato attaccato e messo fuori uso in un attacco vicino a Jenin. La risposta dell’IDF è stata l’uso massiccio della forza in una incursione militare diretta al vicino campo profughi di Jenin. Ci si aspettava che questa operazione limitasse le attività paramilitari, ma l’attacco aereo del fine settimana indica che quell’obiettivo non era stato raggiunto.
In sostanza, l’ampia distruzione di Gaza potrebbe finire per spostare il luogo del conflitto in Cisgiordania, anziché porvi fine. In gran parte del Sud globale e soprattutto in Medio Oriente sta crescendo uno sentimento anti-Israele radicalmente diverso dal sostegno offerto il 7 ottobre e immediatamente dopo. Hamas gode già di sostegno in Cisgiordania, mentre l’incompetenza e la corruzione dell’Autorità Nazionale Palestinese stanno rendendo irrilevante tale organismo. Ora che l’attenzione internazionale è inevitabilmente rivolta a Gaza, si sta perdendo di vista l’importanza della Cisgiordania e il suo ruolo potenziale come sede di un movimento neo-Hamas.
L’approccio generale del governo Netanyahu sta aggravando un problema già difficile. Un cessate il fuoco di tipo umanitario è ancora possibile, ma non avverrà a meno che Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Europea non lo richiedano espressamente. Se non lo faranno, si assumeranno parte della responsabilità di ciò che accadrà in seguito.
Fonte: The Guardian, 25 ottobre 2023.