Le parole per dirlo
di Barbara Frosini
Una premessa
Tutto è iniziato con il lockdown del 4 marzo scorso e da allora nulla è stato più come prima. I servizi educativi per la prima infanzia, come le scuole di ordini superiori, hanno sospeso le loro attività per contrastare l’onda epidemiologica del Covid-19. Gli educatori e le educatrici hanno messo in campo subito la loro innata creatività, resilienza e generosità garantendo quel filo sottile di continuità educativa da casa. Ma non c’è piattaforma online o Whatsapp che possa farci sentire insieme,come siamo abituati a vivere.
Anche le famiglie improvvisamente si sono trovate a condividere tutto il loro tempo con i propri figli senza pause e discontinuità, senza quel fuori da casa che normalmente allontana l’infanzia dai nostri pensieri e dalle nostre parole. Invece, è proprio adesso che occorre trovare le parole per dirlo: parole adeguate e strategiche, parole di verità e di incoraggiamento, parole per narrare cosa sta accadendo a tutti noi, per raccontare le cose degne di valore.
E le parole non possono che nascere dal nostro sentire, dal nostro percepire la realtà che poi inevitabilmente è anche il nostro pensare. Allora ho scritto una lettera aperta ai genitori e al mondo educativo. Perché, come non mai, questo virus ci sta insegnando quanto i contatti siano al tempo stesso fonte di rischio e di nutrimento, di pericolo ma anche di vita relazionale e di nostalgia. È un pensiero che vuole sostenere chi sostiene l’infanzia e l’adolescenza: per non dimenticarle e per non dimenticare chi da sempre se ne prende cura.
Lettera aperta alle educatrici, agli educatori e alle famiglie
Mi piace il verbo sentire. Sentire il rumore del mare, sentirne l’odore. Sentire il suono della pioggia che ti bagna le labbra. Sentire l’odore di chi ami, sentirne la voce e sentirlo col Cuore. Sentire è il verbo delle emozioni, ci si sdraia sulla schiena del mondo e si sente. Alda Merini |
Apparteniamo ad una cultura che per molto tempo ci ha insegnato che solo logica e pensiero sono mappe concettuali che determinano il nostro vivere, dettando le regole per fronteggiare le avversità, insomma per sopravvivere.
Questo momento storico, che mette così a dura prova ognuno di noi, ci sta dicendo altro. La nostra mente il nostro sistema nervoso centrale e periferico sono connessi al nostro mondo emotivo. È una regola ancestrale, viene da lontano. Agisco quando sento qualcosa che arriva alla mia esperienza viscerale, che attiva un comportamento.
Le emozioni dettano il nostro agire, sono parte integrante del nostro esistere in quanto organismi completi e ben organizzati, connessi da una fitta rete di emotività e sinapsi neuronali.
Connessione è la parola chiave. Sembra che lo sia anche rispetto a questa pandemia, che ha obbligato tutti noi a restare a casa come regola necessaria di contenimento per contrastare la diffusione del coronavirus.
Sono infatti il contatto, la vicinanza a determinare il rischio del contagio, come a ricordarci che nessuno è alla fine un’isola. È un’illusione pensare che sia così. Siamo parti di un sistema più ampio, inscindibile e complesso, composto da una maglia articolata di incontri e scambi.
L’essere umano è un essere sociale, la cui l’intelligenza emotiva è effetto di un fattore inclusivo che nasce e si alimenta all’interno del proprio gruppo di appartenenza dentro il quale fa esperienza.
Essa è frutto delle interconnessioni tra soggetti che appartengono a quell’aggregazione, sia che si parli di un nido, di una scuola o della stessa famiglia, così come di qualsiasi altro organismo.
Per questo l’equilibrio interiore è così importante, ed è importante che gli adulti con ruoli di prossimità relazionale siano consapevoli di essere catalizzatori di emotività.
Le vostre famiglie costrette a convivere giorno e notte, sempre insieme, sperimentano infatti la fatica e la difficoltà nel gestire soprattutto l’emotività che scaturisce da questa nuova convivenza sociale.
Non esistono emozioni giuste o sbagliate, come siamo abituati a valutare, in quanto esse sono la modalità attraverso la quale facciamo esperienza della realtà circostante. Nel caso sono gli atti scomposti, che scaturiscono da emozioni non autoregolate, ad essere errati.
Ad esempio, se sento paura o tensione questa emozione che può turbarci è, in realtà, funzionale all’adattamento, a trovare una soluzione alternativa perché probabilmente la percezione che ho in quel momento è di pericolo.
Se mi metto a rompere le cose magari urlando, perché si alza dentro di me il senso di minaccia e nessuno mi aiuta a comprenderlo, faccio qualcosa di sbagliato nel comportamento, ma non è l’emozione che provo ad essere inaccettabile.
Le bambine e i bambini hanno bisogno di sentire i genitori loro alleati, soprattutto quando vivono situazioni che possono generare confusione, allarmanti e poco chiare. Hanno bisogno che si spieghi loro cosa sta succedendo, aiutandoli a regolare le forze emotive in atto.
Hanno bisogno, ad esempio, che non venga negata l’evidenza di questo momento emergenziale e nel contempo hanno bisogno di essere incoraggiati, sostenuti ad avere fiducia che medici, ricercatori, tutte e tutti insieme troveremo la soluzione per tornare alla normalità.
Il compito genitoriale dunque, come di qualsiasi altro adulto significativo, è quello di modulare le emozioni che si muovano dentro i piccoli per comprenderle e bilanciarle; per dare loro legittimità.
Il primo passo è stare accanto e spiegare con semplici parole perché ci sentiamo così nervosi o arrabbiati o impauriti; qui l’ascolto empatico può aiutare ad abbassare i toni di una dinamica conflittuale che potrebbe arrivare a picchi molto alti.
L’adulto accogliente e comprensivo vede nel bambino l’ambivalenza delle sue emozioni, si avvicina e tenta di capire insieme cosa sta succedendo, perché ci si può sentire agitati e subito dopo contenti ad avere per così tanto tempo i genitori a casa.
Queste forze antagoniste che albergano dentro di noi – smarrimento, noia, costrizione, preoccupazione, pesantezza, rilassamento, tenerezza, gioia, stupore, … – sono tutte vere, tutte esperibili.
Di fatto, la condizione di stare a casa offre molto più tempo da dedicare alla relazione genitoriale. Tante sono in questo momento le proposte da parte dei servizi educativi di attività ludiche da remoto: canti, filastrocche, esperienze da fare insieme con gli oggetti domestici.
Come genitori si segue con entusiasmo e gratitudine tutto ciò, ma è pure possibile che ci si senta anche “ostaggi” di un tempo eterno che non ha pause, non spezza il ritmo della cura.
L’isolamento necessario e obbligatorio modifica in modo radicale e veloce i nostri vissuti, costringendoci a ricostruire la forma di stare nel mondo e delle relazioni familiari.
Insomma, non ci sono soste e quindi insieme alla gioia di stare più tempo con i propri figli alberga anche la spossatezza di conviverci tutto il giorno.
E questo è un elemento reale, a dimostrazione che anche i padri e le madri devono autoregolarsi ed accettare questa tensione interna di spinte contrapposte. Comprenderle e bilanciarle: è questo il compito più arduo dell’accompagnare nella crescita.
Anche perché ciò comporta aiutare i propri figli e le proprie figlie a farlo. A trovare un momento per giocare insieme e un momento invece destinato alla solitudine, allo stare da soli o, in alternativa, con l’altro genitore nonostante la convivenza domestica.
L’iper-controllo di alcuni genitori deve lasciare spazio per un accordo tra le parti, soprattutto per i figli più grandi, preadolescenti o adolescenti, che devono imparare l’autoregolazione delle emozioni. I genitori, infatti, non bastano più come modello di contenimento. I ragazzi hanno bisogno di farlo da soli, ma sempre con un adulto vicino.
Insomma, questo tempo inedito e sospeso può essere un tempo anche per re-imparare a stare insieme, con maggiore consapevolezza e stupore.
Un tempo da usare anche per prestare attenzione alla realtà esterna che continua la sua stagione, alle piante che germogliano, alle giornate che si allungano e alle stelle pulite, come non mai nel cielo sgombro dallo smog.
Un tempo per ascoltare i silenzi della sera, così amplificati dalla mancanza di vetture o schiamazzi.
Guardare insieme le cose del mondo, insieme davanti a domande senza risposte. Così un tempo destinato, non un tempo perso.
Barbara Frosini è coordinatrice pedagogica e counsellor professionista.
[La prima versione di questa lettera aperta è stata pubblicata su Consorzio Infanzia Pisa, nell’ambito di un progetto di educazione a distanza]
Consigli di lettura
Mortari L. (2013), Avere cura della mente, Roma, Editore Carocci.
Pietropolli Charmet G. (2007), Se non è degli umani rendere felici i propri figli, in “Animazione Sociale”, 8/9 agosto-settembre, pp. 3-9.
Rogers C. R. (1983), Un modo di essere, Firenze, Edizione Martinelli (ed. or. A Way of Being 1980 Boston, Houghton Mifflin Company).
Silva C., E. Freschi, N. Sharmahd (a cura di) (2015), Enzo Catarsi, un pedagogista al plurale. Scritti in suo ricordo, Firenze, Firenze University Press.