giovedì, Novembre 21, 2024
DirittiEconomia

Lavorare non garantisce più un’esistenza libera e dignitosa

di Katrina Dal Molin

 

Un aumento nella quota dei ‘working poor’ e un incremento della povertà assoluta in Italia sono due fenomeni tra i più allarmanti messi in evidenza dall’annuale rapporto di Oxfam sulla disuguaglianza globale, pubblicato lo scorso gennaio.

Secondo il rapporto “La disuguaglianza non conosce crisi”, la quota dei working poor, ovvero dei lavoratori che vivono in un nucleo con reddito netto equivalente inferiore al 60% della mediana nazionale, è passata dal 10,3% nel 2006 al 13,2% nel 2017. Gli autori parlano di “un trend allarmante che conferma purtroppo come il lavoro nel nostro paese non basti, per troppi, a garantire per sé e per la propria famiglia l’affrancamento dalla povertà e standard di vita dignitosi”.

Il rapporto evidenzia come il rischio di povertà lavorativa risulti strettamente connesso alla tipologia contrattuale, mostrando che l’incidenza passa da poco più del 12% per chi è impiegato prevalentemente con un contratto di lavoro dipendente a oltre il 17% per i lavoratori autonomi. Sul fenomeno pesa anche l’intensità del lavoro: l’incidenza della povertà lavorativa raggiunge il 19,4% tra i dipendenti che, nel corso dell’anno, lavorano in regime di part-time.

Oltre all’aumento della povertà lavorativa, nel contesto italiano il fenomeno della povertà assoluta ha assunto dimensioni allarmanti, secondo il rapporto. L’espressione ‘povertà assoluta’ fa riferimento alla condizione delle famiglie e degli individui con un livello di spesa insufficiente a garantire l’acquisizione di beni e servizi essenziali per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile.

Nel 2021 la povertà assoluta ha interessato in Italia il 7,5% delle famiglie residenti (1 milione 960 mila) e il 9,4% di individui residenti (5,6 milioni di persone). Dal 2020 al 2021 il rischio di trovarsi in qualche forma di povertà è rimasto sostanzialmente stabile: una persona residente su cinque fronteggiava la prospettiva della povertà. Ma nei sedici anni intercorsi tra il 2005 e il 2021 la quota di famiglie in povertà assoluta è più che raddoppiata. Nello stesso periodo è quasi triplicata l’incidenza degli individui in povertà assoluta, diventando sensibilmente più frequente tra i minori (dal 3,9% del 2005 al 14,2% del 2021) e i giovani tra i diciotto e i trentaquattro anni di età (dal 3,1% all’11,1%). Più colpite sono le famiglie con stranieri, con un’incidenza di quasi cinque volte superiore a quella delle famiglie di soli italiani.

Gli autori del rapporto ritengono che i problemi del mercato del lavoro italiano siano di natura strutturale e abbiano radici profonde e diversificate, tra cui i crescenti divari territoriali e di genere, le diseguaglianze nei livelli di istruzione, il crescente ricorso a forme di lavoro non standard da parte delle imprese, i bassi livelli retributivi.

Così, le attivazioni di nuovi contratti di lavoro nel 2021 hanno interessato maggiormente i giovani tra i venticinque e i trentaquattro anni di età, più spesso impiegati con forme contrattuali atipiche. Inoltre una disparità continua a separare i sessi, con la componente maschile impiegata in numero maggiore rispetto alla componente femminile, col 54% dei nuovi contratti attivati.

A monte, si è verificata una significativa precarizzazione dei tipi di contratti attivati tra il 2009 e il 2021: il lavoro standard si è ridotto dell’8%, mentre quello atipico è aumentato del 34%. Secondo Oxfam, il lavoro atipico – introdotto come strumento volto in teoria a garantire maggiore flessibilità nell’organizzazione del lavoro, sia per le imprese che per i lavoratori – non ha rappresentato un trampolino verso un lavoro stabile, ma si è piuttosto configurato come una vera e propria “trappola della precarietà”.

Una trappola che insiste su un crescente segmento, piuttosto eterogeneo, della forza lavoro esposto a molteplici rischi come una capacità finanziaria limitata, le difficoltà di accesso al credito o ad opportunità formative, l’assenza o livelli inadeguati di protezione sociale”.

Assumendo uno sguardo di medio periodo, Oxfam nota come in Italia nel periodo 1990-2017 ci sia stato un forte aumento dei lavoratori a bassa retribuzione, la cui incidenza è passata dal 25,9% nel 1990 al 32,2% del 2017. L’elevata e crescente incidenza dei lavoratori con bassi salari è riconducibile a più fattori. Da un lato, l’evoluzione della struttura occupazionale e la crescita di posti di lavoro in settori a bassa produttività e salari orari più bassi (come il settore alberghiero). Dall’altro lato, le strategie di compressione dei costi del lavoro da parte delle imprese, anche attraverso il ricorso a una moltitudine di contratti atipici che incidono sulla continuità lavorativa e sul numero di ore lavorate.

Le disuguaglianze non sono casuali, né le marcate divergenze nelle traiettorie di benessere dei cittadini, lungo le sue molteplici dimensioni, sono ineluttabili. Sono piuttosto il risultato di precise scelte di politica pubblica che hanno prodotto negli ultimi decenni profondi mutamenti nella distribuzione di risorse e potere, dotazioni ed opportunità,” spiegano gli autori.

Il rapporto di Oxfam affronta anche un altro fenomeno che ha conosciuto un aumento allarmante: la diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza nazionale. Alla fine del 2021 il 20% più ricco degli italiani hanno detenuto oltre due terzi della ricchezza nazionale, lasciando al 60% più povero dei cittadini appena il 14% della ricchezza nazionale. Il top-10% possedeva oltre sei volte la ricchezza della metà più povera della popolazione italiana. La posizione patrimoniale netta dell’1% più ricco valeva oltre quaranta volte la ricchezza detenuta complessivamente dal 20% più povero della popolazione.

Secondo il rapporto, dal 2000 al 2021 c’è stato un andamento divergente nella distribuzione delle quote di ricchezza: la quota detenuta dal top-10% è cresciuta di 3,8 punti percentuali, mentre quella della metà più povera degli italiani ha mostrato un trend decrescente, riducendosi di 4,1 punti percentuali.

Nel 2020, rispetto al 2019, le maggiori perdite reddituali hanno interessato famiglie numerose con almeno cinque componenti e famiglie con almeno un componente straniero. A conferma della stratificazione delle disuguaglianze reddituali nel paese, che vede le famiglie con figli a carico, i giovani, i meno istruiti e gli stranieri in posizione di relativo svantaggio.

A partire dall’analisi dei dati presentati nel rapporto, Oxfam raccomanda al governo italiano di intervenire su vari fronti.

Servono, innanzitutto, misure per contrastare il lavoro povero e promuovere un lavoro dignitoso per tutti: per esempio, va introdotto un salario minimo legale, affidando il compito di stabilirne i parametri e le modalità di erogazione, il monitoraggio e l’adeguamento periodico a un organo consultivo con una forte rappresentanza sindacale.

Servono, in secondo luogo, misure contro il caro-vita a sostegno di famiglie e lavoratori in condizione di maggior bisogno: per esempio, si dovrebbero stimolare nuovi accordi tra le parti sociali volti a ridefinire sistemi più efficaci di indicizzazione dei salari ai prezzi.

Per contrastare la povertà servono misure di carattere universale: il reddito di cittadinanza, per esempio, andrebbe reso più equo e più efficiente. Le recenti modifiche del governo rispetto a questo strumento di welfare, con l’introduzione del MIA (Misura di inclusione attiva), sembrano andare in un’altra direzione.

Servono, infine, misure in materia fiscale orientate a garantire l’equità del sistema impositivo: oltre a una riforma delle aliquote in senso più marcatamente progressivo, il governo potrebbe potenziare e rendere più efficace il contributo temporaneo di solidarietà per il 2023 (la cosiddetta “tassa sugli extraprofitti”) a carico degli operatori del comparto energetico fossile.

 

Katrina Dal Molin frequenta il Corso di laurea in Scienze per la Pace presso l’Università di Pisa. Attualmente svolge il proprio tirocinio presso il Centro Interdisciplinare “Scienze per la Pace”.