La scuola dopo il Covid
Le nuove tecnologie si sono rivelate, in molti contesti, fondamentali per affrontare le criticità emerse nel corso della pandemia. Per quanto riguarda la scuola, è il caso delle piattaforme di didattica online, ma anche dello sviluppo di nuove metodologie didattiche e nuove modalità di interazione, capaci di agire nella “distanza” mediata dagli schermi dei dispositivi. Allo stesso tempo, per essere efficaci, queste innovazioni devono fare i conti con un elemento di fondo messo in luce dalla pandemia: le diseguaglianze socio-economiche e culturali, evidenti anche nelle classi, ad esempio nelle diverse modalità di accesso alle piattaforme digitali per la didattica. Tiziana Di Iorio e RosarioMurdica, in questo articolo pubblicato su InGenere, riflettono su come vada ripensata la scuola dopo il Covid alla luce di tali esperienze, afffinché l’intero sistema educativo possa essere potenziato in modo da garantire a tutte e tutti il diritto a un’istruzione di qualità.
di Tiziana Di Iorio, Rosario Murdica
Il Covid19 ha mostrato che l’uso delle tecnologie digitali è determinante per il superamento di criticità forti come quelle emerse dalla pandemia. Durante il lockdown, con la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado, sono state sperimentate nuove forme didattiche, attraverso la costruzione di nuove modalità relazionali tra ragazzi e docenti, ma anche tra docenti e famiglie.
Le scuole, pur con tempistiche e modalità molto diverse da un caso all’altro, si sono attivate per permettere la cosiddetta “didattica a distanza”, fornendo, in alcuni casi, i mezzi tecnologici necessari agli insegnanti e alle famiglie che ne erano sprovvisti. Gli insegnanti si sono impegnati ad apprendere nuove metodologie didattiche, sviluppando, probabilmente, nuove competenze e nuove modalità d’interazione anche nel lavoro con i colleghi. E non possiamo non rilevare come l’età media del corpo docente in Itaila sia la più alta d’Europa, con tutti i problemi che ne conseguono per gli insegnanti anziani e per tutti coloro che sono poco avvezzi all’uso della strumentazione digitale.
Gli alunni, dal canto loro, hanno certamente incontrato meno difficoltà nell’utilizzo della tecnologia, visto il massiccio uso che tendenzialmente ne fanno, ma hanno patito la mancanza di contatto fisico e anche la fatica di esser concentrati su uno schermo, con modalità di apprendimento, verifica e interazione completamente diverse da quanto sarebbe accaduto in una normale aula scolastica. Le difficoltà sono state diverse a seconda dell’età, ed è evidente come la didattica online abbia rappresentato un problema maggiore soprattutto per i bambini della scuola primaria e secondaria.
Dobbiamo inoltre riconoscere che, per la stragrande maggioranza degli studenti, l’apprendimento online non possa sostituire l’esperienza dell’andare a scuola. Soprattutto per le ragazze e i ragazzi nella fascia di età compresa tra i 6 e i 14 anni, è evidente come non si possa ipotizzare che la didattica a distanza sostituisca l’esperienza scolastica in presenza e la condivisione con i coetanei in classe.
Ne conseguono alcune riflessioni necessarie nel contesto di una situazione che continua a essere emergenziale.
La prima riguarda l’impatto che l’aumento della povertà avrebbe nell’utilizzo di nuove forme di didattica digitale, lasciando ai margini una parte ancor più numerosa di studenti poveri, con la reale possibilità delle famiglie di poter acquistare strumenti tecnologici e digitali e sostenere a lungo termine le spese che ne derivano, in particolare, di connessione; ma anche di avere le competenze per saperli utilizzare ed essere di supporto ai propri figli.
L’Italia si colloca al ventiquattresimo posto fra i 28 stati membri dell’Ue nell’indice di digitalizzazione dell’economia e della società della Commissione europea relativo al 2019. Il nostro paese è in buona posizione, sebbene ancora al di sotto della media, in materia di connettività e servizi pubblici digitali. Tuttavia, tre persone su dieci non utilizzano ancora internet abitualmente e più della metà della popolazione non possiede competenze digitali di base. Tale carenza nelle competenze digitali si riflette anche in un minore utilizzo dei servizi online, dove si registrano ben pochi progressi.
Un altro punto su cui riflettere riguarda non solo la situazione di emergenza attuale, ma la condizione generale in cui versa la scuola italiana con una digitalizzazione non ancora estesa a tutte le scuole: molte non possiedono ancora una lavagna interattiva multimediale, né strumenti informatici e questi, quando ci sono, spesso non sono funzionanti. Esiste, quindi, un divario digitale che impatta sul sistema scolastico a livello nazionale, locale e regionale e, nonostante il potenziamento della disponibilità strumentale da parte di molti istituti, persistono casi in cui il rischio della scarsa qualità didattica non è imputabile solo al possesso o meno degli strumenti, ma anche all’assenza di spazi idonei e al supporto di esperti qualificati.
Vi sono scuole nelle quali le aule sono attrezzate, altre che hanno solo laboratori informatici (spesso inutilizzati) e attrezzature non sufficienti per il numero di allievi, ma ancora molte che sono prive di qualunque strumentazione tecnologica – si pensi alle zone più periferiche del paese caratterizzate da piccoli centri.
Una ricerca svolta nei mesi scorsi da Save The Children, condotta su 300 famiglie Italiane (beneficiarie dei progetti dell’associazione) rileva come “moltissime famiglie hanno visto improvvisamente cambiare la propria disponibilità economica (77,6%), un 73,8% di rispondenti ha perso il lavoro o ridotto drasticamente il suo impegno retribuito. Solo il 17,6% è andato in cassa integrazione, prevalentemente nel Nord Italia, dove la percentuale sale al 42,9%, contro il 13,1% e il 14,2% rispettivamente di Centro Italia, Sud e Isole. In alcuni casi anche chi percepiva un reddito di cittadinanza, ha visto modificata la sua situazione economica, riscontrando delle difficoltà nell’erogazione del sussidio”.
Sul piano dell’accesso alla didattica l’indagine di Save The Children registra che “Sei famiglie su dieci (57,2%) non hanno una connessione internet casalinga, mentre la quasi totalità degli intervistati ha a disposizione almeno una rete mobile (95,5%). Sono le famiglie del Sud Italia ad avere più problemi con la connessione a casa, di cui dispone solo 1 famiglia su 3 (33,1%), contro una su due al Centro Italia (51,7%) e quasi una su due al Nord Italia (45,5%). La maggior parte delle famiglie ha a disposizione 2 o 3 dispositivi (59,7%). La percentuale scende all’aumentare del numero di dispositivi: 4 (14,5%), 5 (6,9%), 6 (2,1), 7 (2,4), 8 (0,8). Più di una famiglia su dieci ha a disposizione un solo device (13,2%) e lo 0,3% neanche quello. Il possesso di un buon numero di dispositivi in famiglie, come abbiamo visto perlopiù numerose, non deve trarre in inganno. Si tratta infatti quasi sempre di smartphone, a disposizione del 98,9% delle famiglie, ma meno di pc, presenti in una famiglia su 3 (30,9%) e rare volte di tablet, a disposizione solo di una famiglia su dieci (12%). Ad aggravare la situazione, quasi 1 famiglia su 5 dispone di meno di 30 giga al mese (19,8%). Di questi, l’8,3% dispone di meno di 5 giga al mese”.
Queste considerazioni evidenziano quanto la scuola sia uno specchio dei mutamenti economici, culturali e sociali che colpiscono il paese.
La pandemia ha inevitabilmente rivoluzionato il sistema scuola e il suo modo di operare imponendo mutamenti inevitabili e velocissimi che hanno coinvolto non solo la relazione didattica, ma interi processi amministrativi, relazionali e trasversali di tutte le componenti del sistema scuola. I temi più urgenti da affrontare sono dunque, non solo l’eventuale potenziamento e miglioramento della didattica a distanza (che, comunque, non può diventare la soluzione definitiva), ma soprattutto il ripensamento di una scuola meglio strutturata, che sia in grado di prestare un’attenzione maggiore agli studenti più fragili, come quelli con disabilità.
Una ricostruzione che deve fare i conti, inevitabilmente, con le famiglie vulnerabili, quelle con redditi minimi e un livello socio-culturale più basso, che spesso hanno scarse competenze tecnologiche o che sono prive della strumentazione adeguata e di connessione, e che, ancora più di altre famiglie, non possono sopperire del tutto al ruolo della scuola quale soggetto pubblico inclusivo, con il forte rischio per i loro figli di uno scarso livello di apprendimento, oltre che di dispersione scolastica.
Fonte: InGenere, 15 Ottobre 2020.
Riferimenti
Oltre le distanze. Idee e azioni per una scuola più inclusiva, Fondazione Agnelli, 2020.
Mantegazza R., La scuola dopo il coronavirus, Castelvecchi, 2020.
Non da Soli. Cosa dicono le famiglie, Save the Children, 2020.