Israele/Palestina: Amnesty denuncia odio e forme di censura online
Amnesty International ha espresso preoccupazione per la proliferazione di messaggi d’odio online in relazione all’attuale escalation di violenza nel conflitto israelo-palestinese. A essere presi di mira da discorsi che incitano all’ostilità, alla discriminazione e alla violenza sono sia i palestinesi, accostati indistintamente al terrorismo di matrice religiosa, sia le comunità israeliane ed ebraiche. Si tratta di distinguere con cura i discorsi d’odio, che prendono di mira intere comunità in quanto tali, evocando stereotipi fortemente stigmatizzanti che alimentano l’odio anti-musulmano e anti-ebraico, dai discorsi di critica anche aspra rivolti a specifiche prassi, ideologie o scelte politiche. La guerra in corso si riflette sui social media anche per altre ragioni: Amnesty International ha messo in guardia le grandi piattaforme digitali da pratiche di moderazione potenzialmente discriminatorie, soprattutto nei confronti dei contenuti pubblicati da coloro che, palestinesi o meno, chiedono il cessate il fuoco, la fine dell’assedio di Gaza e dell’occupazione israeliana. Tali pratiche di moderazione sospette sono arrivate, secondo Amnesty, a forme di censura dei profili e dei contenuti etichettati come “pro-palestinesi”, attraverso il cosiddetto shadowbanning: si tratta di una pratica utilizzata da alcune piattaforme di social media in cui un utente non viene esplicitamente bannato o bloccato, ma le sue attività e i suoi contenuti diventano meno visibili agli altri utenti. Vista l’importanza che i social media hanno assunto nella vita quotidiana di centinaia di milioni di persone e il loro ruolo crescente nel campo dell’informazione e della formazione delle opinioni pubbliche, si tratta di questioni che non possono essere sottovalutate: sia per una soluzione nonviolenta del conflitto israelo-palestinese, ma anche per la prevenzione di violenze ai danni delle comunità ebraiche e musulmane nel mondo.
Le società proprietarie di social media devono affrontare con urgenza il dilagare dell’odio e del razzismo online contro le comunità palestinesi ed ebraiche, mentre il conflitto in Israele e nei Territori palestinesi occupati si aggrava ulteriormente.
Amnesty International sta riscontrando un allarmante aumento dei discorsi d’odio che incitano alla violenza, all’ostilità e alla discriminazione sulle piattaforme digitali, discorsi in violazione delle norme internazional sui diritti umani, e di altri contenuti dannosi contro le persone identificate come di origine palestinese ed ebraica. Amnesty ha inoltre documentato che i contenuti pubblicati da palestinesi e/o sostenitori dei diritti dei palestinesi sono soggetti a forme di moderazione potenzialmente discriminatorie da parte di diverse piattaforme di social media.
“In tempi di crisi i social media possono svolgere un ruolo vitale per la comunicazione. Per questo, le principali società di social media devono urgentemente intensificare le proprie azione per proteggere i diritti umani. Le aziende devono garantire che le loro piattaforme non trasmettano messaggi di odio e violenza, rischiando di contribuire a gravi violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale. Ciò include pratiche classificabili come crimini di guerra, che stanno caratterizzando il conflitto in corso causando livelli senza precedenti di vittime civili e una catastrofica crisi umanitaria”, ha dichiarato Rasha Abdul-Rahim Direttrice di Amnesty Tech.
Amnesty International ha riscontrato che un numero significativo di post sui social media glorifica gli attacchi di Israele contro i civili di Gaza, sostiene la distruzione di Gaza e invoca la violenza contro i palestinesi. Molti post utilizzano un linguaggio disumanizzante e razzista nei confronti dei palestinesi, alcuni dei quali si rifanno anche al linguaggio usato dalle autorità israeliane.
L’organizzazione ha anche documentato una serie di post antisemiti, molti dei quali incitano all’odio e alla violenza contro il popolo ebraico. Precedenti ricerche del Center for Countering Digital Hate hanno evidenziato una proliferazione di contenuti antisemiti su X/Twitter negli ultimi mesi.
L’Indicatore di violenza online dell’ONG palestinese 7amleh ha rilevato oltre 493.000 casi (in aumento) di apologia dell’odio contro i palestinesi e contro i sostenitori dei diritti dei palestinesi nei contenuti in lingua ebraica diffusi sulle piattaforme dei social media a partire dal 7 ottobre 2023.
Anche funzionari governativi e militari israeliani hanno usato un linguaggio disumanizzante e un razzismo anti-palestinese. Il 16 ottobre l’account X del Primo Ministro di Israele ha pubblicato un post discriminatorio che utilizzava un linguaggio disumanizzante: “C’è una lotta tra i figli della luce e i figli delle tenebre, tra l’umanità e la legge della giungla”.
Le implicazioni pratiche di questa prospettiva emergono dalle dichiarazioni del Ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, rilasciate il 17 ottobre 2023: “Finché Hamas non rilascerà gli ostaggi nelle sue mani – l’unica cosa che deve entrare a Gaza sono centinaia di tonnellate di esplosivi dell’aviazione, non un grammo di aiuti umanitari”.
Amnesty International ha anche ricevuto rapporti preoccupanti che indicano una censura eccessiva dei contenuti degli account palestinesi e dei sostenitori dei diritti dei palestinesi su diverse piattaforme di social media.
I palestinesi della Striscia di Gaza occupata sono intrappolati in un crescente blackout comunicativo che limita la loro capacità di cercare, ricevere e diffondere informazioni. L’iniqua moderazione dei contenuti da parte delle piattaforme di social media rischia di compromettere ulteriormente la capacità dei palestinesi, dentro e fuori Gaza, di esercitare i loro diritti alla libertà di espressione, di associazione e di riunione pacifica.
“Mentre Israele intensifica il suo bombardamento senza precedenti su Gaza, che ha ucciso finora più di 7.000 persone [dato del 27 ottobre, ndr], la maggior parte delle quali civili, siamo estremamente preoccupati per le notizie di blocchi, oscuramenti e rimozioni parziali, noti come “shadowbanning”, di contenuti pubblicati da sostenitori dei diritti dei palestinesi”, ha dichiarato ancora Rasha Abdul-Rahim.
“La moderazione dei contenuti deve essere condotta in modo da garantire il rispetto del diritto alla libertà di espressione, affrontando al tempo stesso la dilagante propaganda dell’odio. Le società di social media devono investire risorse adeguate nella supervisione umana dei sistemi di moderazione dei contenuti guidati dall’intelligenza artificiale, per garantire che tutti gli utenti, compresi i palestinesi, possano esercitare i loro diritti online in modo equo, indipendentemente dalla lingua e dalle opinioni politiche. Diverse piattaforme hanno minato la loro capacità di farlo licenziando il personale responsabile della conformità dei contenuti al rispetto dei diritti umani”.
Diverse ricerche hanno mostrato che i sistemi di intelligenza artificiale spesso riproducono pregiudizi sociali preesistenti sotto un velo di apparente neutralità. Recentemente, il 19 ottobre 2023, Meta [la società proprietaria di Facebook, Instagram e Whatsapp, ndr] si è scusata per aver inserito la parola “terrorista” nelle traduzioni dei profili Instagram contenenti le parole “palestinese” e “Alhamdullilah” (che significa “Lode a Dio”) e l’emoji della bandiera palestinese. L’azienda ha inoltre ridotto dall’80% al 25% la soglia di certezza richiesta per “nascondere” i contenuti ostili rispetto a quelli provenienti da vaste aree del Medio Oriente. Si tratta di un tentativo di arginare il flusso di discorsi d’odio, ma potrebbe portare a restrizioni troppo ampie sui contenuti.
Nel maggio 2021 un rapporto pubblicato da Business for Social Responsibility ha rivelato che i contenuti in lingua araba hanno subito una applicazione delle “regole di condotta” più severa sulle piattaforme di Meta rispetto alle altre lingue, compreso l’ebraico. Le segnalazioni erronee hanno contribuito a ridurre la visibilità e il coinvolgimento dei post in arabo.
Anche prima dell’attuale crisi, le ricerche di Amnesty International hanno rilevato che il sistema di oppressione e dominio esercitato da Israele sui palestinesi può essere equiparato al crimine contro l’umanità dell’apartheid. Gli studi di Amnesty International hanno anche dimostrato che gli algoritmi dei social media sono progettati per massimizzare il coinvolgimento degli utenti, con il risultato di amplificare in modo spesso sproporzionato i contenuti dannosi e infiammatori, tra cui la difesa dell’odio che incita alla violenza, all’ostilità e alla discriminazione.
In questo contesto, è necessario che le aziende Big Tech riflettano sull’impatto, reale e potenziale, delle loro politiche di moderazione in termini di diritti umani, per garantire che queste politiche non causino o non contribuiscano a violazioni dei diritti umani, o permettano all’odio, al razzismo e alla disinformazione di proliferare.
Amnesty International continuerà a monitorare i casi di blocco o rimozione ingiustificata di post sui social media e di shadowbanning di account nel contesto dell’attuale conflitto. Se tu o qualcuno che conosci ha vissuto una situazione del genere, può condividere link e/o lo screenshot del contenuto che è stato segnalato o rimosso, così come screenshot del contenuto originale, inviando un’email a hello@amnesty.tech.
Fonte: Amnesty International, 27 ottobre 2023.