Infografiche
Questa pagina raccoglie le infografiche pubblicate periodicamente sulla home.
L’ultimo rapporto dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) stima che, alla fine del 2023, le vittime di sfollamento forzato nel mondo hanno raggiunto il massimo storico di 117,3 milioni. Una persona su 69, vale a dire l’1,5% dell’intera popolazione mondiale, è stata costretta a lasciare la propria usuale residenza: quasi il doppio rispetto a una persona su 125 registrata dieci anni fa.
L’aumento dei migranti forzati è la conseguenza di persecuzioni, di conflitti armati prolungati e di violazioni sistematiche dei diritti umani, ma è anche l’effetto della crisi climatica, che non solo aggrava le esigenze di protezione e i rischi per le persone, ma contribuisce anche a nuovi sfollamenti. Alla fine del 2023, quasi tre quarti delle persone sfollate forzatamente viveva in paesi con un’esposizione alta o estrema ai pericoli del cambiamento climatico. Quasi la metà di tutte le persone sfollate viveva in paesi esposti sia a conflitti armati che alle conseguenze della crisi climatica.
Il 75% delle persone che necessitano di protezione internazionale trova riparo nei paesi a basso e medio reddito, mentre il 69% è ospitato in paesi vicini. A livello globale, i cinque paesi con il numero più elevato di rifugiati sono la Repubblica Islamica dell’Iran (3,8 milioni), la Turchia (3,3 milioni), la Colombia (2,9 milioni), la Germania (2,6 milioni) e il Pakistan (2 milioni).
Fonte: UNHCR.
Il grafico a barre mostra la crescita della spesa militare globale divisa per grandi regioni, tra la fine degli anni ’80 e il 2023. Spiccano le Americhe, l’Europa e l’Asia-Oceania: quest’ultima, in particolare, ha registrato un aumento significativo del proprio peso globale negli ultimi 10 anni, mentre l’Europa, dopo un calo della propria spesa tra gli anni ’90 e gli anni 2010, ha ripreso a crescere negli ultimi anni.
Il grafico a torta illustra la distribuzione della spesa militare globale (in %), evidenziando i 15 paesi con la quota maggiore. Insieme Stati Uniti (37%) e Repubblica Popolare Cinese (12%) contribuiscono alla metà degli investimenti globali in armamenti. Seguono Russia (4,5%), India (3,4%), Arabia Saudita e Regno Unito (entrambe al 3,1%). L’Italia pesa per l’1,5% sulla spesa militare globale.
Il cartogramma mostra le quote di PIL destinate dai diversi paesi alle spese militari nel 2023. Al primo posto l’Ucraina (37%), seguita da Libano (8,9%) e Algeria (8,2%). Tra i paesi dell’Africa del nord solo l’Egitto è sotto l’1%. I paesi europei si collocano complessivamente tra l’1 e il 4%. In Medio Oriente, anche Arabia Saudita, Oman e Israele superano il 5%. Sono solo tre i paesi che non hanno spesa militare: Islanda, Panama e Costa Rica.
Fonte: SIPRI.
Nel corso degli ultimi decenni, l’Europa ha affrontato una crescente intensità e frequenza di eventi meteorologici estremi. In linea con la situazione più generale in Europa, anche l’Italia ha subito un numero considerevole di fenomeni meteorologici estremi.
Il primo grafico evidenzia la distribuzione annuale dei 684 episodi di allagamenti causati da piogge intense, registrati nel periodo compreso tra il 2010 e il 31 ottobre 2023. Il 2021 ha segnato un record nelle precipitazioni: a Rossiglione (GE), ad esempio, sono stati registrati 882,8 mm di pioggia in sole 24 ore.
Il secondo grafico mostra la distribuzione annuale delle 166 esondazioni fluviali registrate dal 2010 al 31 ottobre 2023. La Lombardia risulta essere la regione più colpita in questo periodo, con un totale di 30 eventi. Dal 2013 al 2023, l’Italia ha speso oltre 13,8 miliardi di euro in risorse per far fronte alle emergenze legate a eventi meteorologici e climatici intensi.
Nella mappa realizzata dall’Osservatorio città e clima di Legambiente è possibile osservare la distribuzione geografica dei rischi di frane e alluvioni. I cerchi di colore fucsia indicano le zone di allagamenti causati da piogge intense, mentre i cerchi verdi segnalano le aree a rischio di frane, anch’esse dovute a piogge intense. Secondo i dati dell’Ispra, 1,3 milioni di persone vivono in aree ad alto rischio di frane, e oltre 6,8 milioni di persone si trovano in zone a rischio medio o elevato di alluvioni.
Fonte: Legambiente
Il 12 dicembre l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione a favore di un cessate il fuoco umanitario a Gaza. È un atto con valore fortemente simbolico e politico, poiché si tratta di una risoluzione non vincolante, al contrario delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. I voti espressi mostrano chiaramente quale sia la posizione di ciascun membro dell’ONU sul conflitto in corso. La risoluzione è stata approvata con una maggioranza di 153 voti, con 23 astenuti e 10 voti contrari espressi da Austria, Repubblica Ceca, Guatemala, Liberia, Micronesia, Nauru, Paraguay, Papua Nuova Guinea, Stati Uniti e Israele. Tale voto aumenta la pressione internazionale su Israele affinché rispetti il diritto internazionale umanitario nella conduzione della propria controffensiva dopo l’attacco del 7 ottobre.
Non si tratta della prima votazione su questo argomento: già il 27 ottobre era stata votata una risoluzione per un’immediata e sostenuta tregua umanitaria. Tuttavia, in tale risoluzione non si parlava di cessate il fuoco, come in quella recentemente approvata, limitanmdosi a invitare tutte le parti al rispetto delle norme del diritto internazionale e del diritto internazionale umanitario.
Nel 2022 la spesa militare mondiale ha raggiunto i 2.449 miliardi di dollari, crescendo dell’85,6% rispetto al 2000. Nell’ultimo anno gli Stati hanno dedicato, in media, il 2,1% del loro PIL a questo settore.
Gli Stati Uniti continuano a essere i primi al mondo per spesa militare, con un budget di 877 miliardi di dollari nel 2022. La Cina, consolidando la sua posizione di potenza emergente anche sul piano militare, ha speso 292 miliardi. La Federazione Russa, al terzo posto mondiale, ha destinato 86 miliardi di dollari alle forze armate. L’India e l’Arabia Saudita hanno speso rispettivamente 81 e 75 miliardi. I paesi della NATO, esclusi gli Stati Uniti, hanno speso complessivamente 355 miliardi.
Nel corso degli ultimi vent’anni la ripartizione globale della spesa militare ha subito rilevanti cambiamenti, rispecchiando l’emersione di un mondo sempre più multipolare. La quota degli Stati Uniti è diminuita, passando dal 43,3% nel 2000 al 39,0% nel 2022. La NATO, al netto degli Stati Uniti, ha visto la sua quota globale ridursi dal 22,8% nel 2000 al 15,8% nel 2022. La Cina ha invece aumentato in modo rilevante il proprio peso nella spesa militare mondiale, passando dal 3,0% nel 2000 al 13,0% nel 2022. La Russia è passata dall’1,2% al 3,8%, mentre l’India dall’1,9% al 3,6%.
L’ultimo rapporto del Joint Research Centre – il centro studi indipendente cui fa riferimento la Commissione Europea – mostra che la popolazione con redditi più elevati contribuisce di più al cambiamento climatico, in quanto ha stili di vita più energivori e detiene una quota più elevata dei settori che maggiormente contribuiscono alle emissioni: il 10% più ricco della popolazione mondiale è responsabile del 48% delle emissioni di gas serra, mentre il 50% più povero emette solo il 12%.
Il primo grafico mostra la relazione tra la variazione della popolazione nelle singole nazioni (2020-2021), il reddito nazionale lordo pro capite (2021) e le emissioni di gas serra pro capite (2021): emerge un significativo divario tra le emissioni prodotte dalla popolazione nei paesi più poveri (0,1 tonnellate di CO2 pro capite), che tendono a registrare una crescita demografica elevata, e le emissioni prodotte dalla popolazione nei paesi ad alto reddito (32,2 tonnellate di CO2 pro capite), che tendono a registrare una crescita della popolazione inferiore all’1% o negativa.
Il secondo grafico mostra invece come nell’Unione Europea l’età, unita al livello medio di reddito e di consumi, impatti sulle emissioni (i dati si riferiscono al 2015). In particolare, le emissioni mediane raggiungono il picco all’età di 40-44 anni e iniziano a diminuire dopo i 50-54. La differenza tra i gruppi di età è sostanziale e corrisponde a quasi 5 t di CO2 in più per persone di 40-44 anni rispetto alle persone di 20-24 anni e oltre i 75 anni.
Fonte: Joint Research Centre
A un anno dall’invasione russa del 24 febbraio 2022 sono 169.837 i profughi in fuga dall’Ucraina presenti in Italia, che hanno ricevuto protezione temporanea dall’Unione Europea. Di questi 61.782 sono minori e più della metà sono donne (121.398 contro 48.439 maschi). Secondo le stime delle associazioni italo-ucraine, circa 50mila persone sono già rientrate nel paese.
Per l’accoglienza di questi profughi l’Italia ha impegnato 754 milioni di euro, a fronte di uno stanziamento iniziale di 844 milioni. Tuttavia il protrarsi della guerra richiede ulteriori risorse: con l’attuale andamento, di circa duemila arrivi al mese, il prossimo anno potrebbe richiedere una spesa di 600 milioni di euro.
I fondi sono serviti per rispondere a una varietà di esigenze, tra cui l’accoglienza negli alberghi (130 milioni), i servizi sociali dei Comuni e l’assistenza ai minori non accompagnati (98,6 milioni), l’assistenza sanitaria (179 milioni) e l’accoglienza diffusa (134 milioni).
Fonte: Il Sole 24 Ore
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan punta sui droni armati per espandere l’influenza di Ankara nel continente africano, dove Stati Uniti e Cina hanno finora controllato la maggior parte del mercato di queste armi autonome. Il 21 dicembre 2022 Mopti, in Mali, è diventata la quarta base dell’Africa occidentale a dotarsi del micidiale TB-2. Da quando i droni turchi sono stati testati in Libia, nel 2019, il governo Erdogan ha individuato in questo settore un asse strategico per promuovere la sua visione “neo-ottomana”, a rischio di entrare in conflitto con Pechino, Washington e Tel Aviv, suoi principali concorrenti in questo mercato della guerra automatizzata. Quali stati africani hanno droni? Da chi li acquistano? Quali sono i droni che equipaggiano gli eserciti africani? Un recente articolo pubblicato da Jeune Afrique risponde a queste e altre domande, anche attraverso alcune infografiche che riproponiamo qui.
Le responsabilità del Presidente Jair Bolsonaro rispetto alla deforestazione amazzonica in Brasile sono evidenti. Nel biennio 2019-20 quasi il 98% delle segnalazioni di pratiche illegali di abbattimento non hanno avuto seguito a causa dell’inerzia dell’Istituto governativo per l’Ambiente. Dall’inizio dell’anno circa 3700 km² di foresta Amazzonica sono andati perduti, anche a causa di numerosi incendi, con conseguenze globali sulla crisi climatica.
Ma il disastro ambientale in Amazzonia va avanti da decenni e le responsabilità sono condivise, seppure in modo diverso, dai governi precedenti. Uno dei record nei tassi di deforestazione è stato raggiunto sotto il primo governo “Lula”, per effetto di politiche adottate in passato e non tempestivamente revocate. Il disboscamento è poi fortemente diminuito negli anni successivi, per arrivare al minimo nei primi anni della presidenza di Dilma Rousseff, per poi riprendere a crescere fino ai nuovi record attuali. Il problema è che, in forme diverse, i governi brasiliani di tutti gli schieramenti hanno posto al centro della loro azione la crescita economica del paese, anche a costo di minare l’equilibrio ambientale.
Fonte: ISPI; Re Soil Foundation.
Da molti anni il dibattito pubblico italiano ed europeo in tema di migrazioni è condizionato dalla narrazione secondo cui esisterebbe un “limite” ai nuovi arrivi e che tale limite sarebbe stato superato o sarebbe prossimo a esserlo. Si tratta di una narrazione tossica molto lontana dalla realtà, utile a giustificare politiche di selezione e chiusura, in contrasto con gli obblighi degli stati in materia di asilo.
Secondo i dati del Ministero dell’Interno aggiornati al 30 giugno, sono presenti 423 persone negli hotspot, 59.946 nei centri straordinari prefettizi (CAS) e 29.528 nel Sistema di accoglienza e integrazione (SAI, ex SPRAR). Nel 2017 gli accolti erano più del doppio, 183.681. Tra il 1. gennaio 2018 e il 5 luglio 2022 sono state sbarcate in Italia 165.404 persone, meno che in tutto il 2016.
Nel 2021 i richiedenti asilo nell’Unione Europea sono stati 535.000: il 27,7% in Germania, il 19,4% in Francia, l’11,6% in Spagna, l’8,2% in Italia: le 43.900 domande attualmente pendenti in Italia corrispondono a meno di 1,5 richiedenti asilo ogni 1.000 abitanti.
Fonte: Altreconomia.
Il 25 maggio 2022 sono stati assassinati 19 bambini e due adulti in una sparatoria in una scuola elementare di Uvalde, nel Texas. Anche l’omicida, un diciottenne che frequentava una scuola superiore locale, è morto nella sparatoria. Si tratta del secondo peggior massacro di sempre avvenuto in una scuola degli Stati Uniti, dopo quello di Sandy Hook del 2012.
Il massacro riporta in primo piano il dibattito sulla regolamentazione del possesso di armi nel paese, finora resa impossibile a livello federale a causa delle forti pressioni delle lobby delle armi e di una interpretazione letterale del 2° emendamento della Costituzione. Dal 2010, il Giffords Law Center si occupa di monitorare le leggi che regolamentano il possesso di armi nei 50 stati dell’Unione, mettendole in relazione con il numero di morti provocate dalle armi da fuoco. I risultati, rappresentati nelle due cartine, sono molto chiari: più le leggi sul possesso sono restrittive, più la percentuale di morti da arma da fuoco è bassa.
Nella classifica stilata da Giffords, il Texas si attesta alla 36esima posizione per le garanzie relative al possesso di armi, e conta 14,2 morti per sparatorie ogni 100.000. Secondo il Gun Violence Archive, nel 2022 sono già avvenute 212 sparatorie che hanno coinvolto almeno quattro persone, di cui 27 in strutture scolastiche.
Fonte: ISPI.
Il 17 Maggio si celebra la giornata contro contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia (IDAHOBIT), in occasione della decisione da parte dell’OMS del 17 maggio 1990 di rimuovere l’omosessualità dal manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM).
L’obiettivo è quello di sensibilizzare e promuovere la prevenzione per contrastare ogni tipo di violenza fisica, morale e ogni discriminazione contro l’orientamento sessuale. Nel mondo, oltre 2 miliardi le persone vivono in paesi in cui l’omosessualità è considerata illegale, con sanzioni che arrivano persino alla pena di morte.
La mappa “Rainbow Europe” mostra il posizionamento dei paesi europei in base alle rispettive pratiche legali e politiche per le persone LGBTQ+, da 0% a 100%, in base agli ultimi dati pubblicati da ILGA-Europe.
Tra i paesi europei, Malta risulta al primo posto in classifica con un punteggio del 92%. Al secondo posto troviamo la Danimarca che si è conquistata un balzo in avanti di 7 posizioni rispetto al 2021. Il paese sta infatti assumendo un ruolo guida nel colmare lacune antidiscriminatorie nella legislazione attuale. Si confermano agli ultimi posti Turchia (4%) e Azerbaijan (2%). L’Italia si guadagna invece 3 punti in percentuale rispetto al 2021, salendo al 25%.
Fonte: ISPI
Il Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Ghebreyesus, lo ha ricordato di recente: ”Anche se i casi segnalati e i decessi da Covid-19 stanno diminuendo a livello globale, e diversi paesi hanno eliminato le restrizioni, la pandemia è ben lontana dall’essere finita – e non sarà finita da nessuna parte finché non sarà finita ovunque”.
C’è un continente dove queste preoccupazioni si rivelano particolarmente reali: l’Africa. A oggi, solo il 15% circa degli africani è stato completamente vaccinato. Secondo i dati dell’Africa Centre for Disease Control and Prevention, il continente africano ha ricevuto finora circa 750 milioni di dosi di vaccino, di cui ne sono state somministrate circa 490 milioni.
Al tempo stesso, come ha sottolineato il direttore del Centro, John Nkengasong, “non possiamo esaurire le risorse solo per arrivare al 70% di vaccinazione anti-Covid e poi trascurare HIV, TBC e malaria. Dovremmo affrontare tutte queste malattie. Queste sono le sfide del nostro tempo“.
Fonte: World Health Organisation
Fonte: EUROSTAT
Fonte: Ministero Transizione Ecologica
Fonte: Gestore Servizi Energetici (GSE)
La crisi in corso tra Russia, Ucraina e NATO ha riportato al centro del dibattito la questione energetica, mettendo in evidenza la dipendenza dell’Unione Europea e dell’Italia in particolare dalle importazioni di gas russo. A partire dai più recenti dati disponibili, è possibile chiarire almeno tre aspetti della questione. La Russia è nettamente il primo paese da cui l’UE importa gas dall’esterno. Per l’Italia, in particolare, la Russia rappresenta di gran lunga il primo fornitore di gas. La composizione delle fonti utilizzate in Italia per la produzione di energia elettrica mostra un peso ancora considerevole del gas (42,28%) rispetto alle fonti rinnovabili (45,04%). La transizione ecologica, dunque, oltre che per contrastare il cambiamento climatico, è essenziale per mettere l’Italia al riparo dalle fluttuazioni nelle importazioni e nei prezzi del gas, così come di altre fonti fossili.
Fonti: EUROSTAT, Ministero Transizione Ecologica, Gestore Servizi Energetici
Il grafico, creato sulla base dei dati di “Henley & Partners”, mostra il “potere” dei passaporti a livello internazionale, ossia la possibilità di entrare in un paese straniero senza bisogno del visto. Il potere dei passaporti è fortemente diseguale. I cittadini dei primi paesi della classifica (Giappone, Singapore, Germania, Italia) riescono a viaggiare liberamente in gran parte del mondo. I cittadini dei paesi ultimi in classifica (Siria, Pakistan, Iraq, Afghanistan) vivono invece una situazione di segregazione di fatto: possono visitare, senza visto, una media di appena 28 altri paesi (tra cui non figurano quelli occidentali).
Fonte: Henley Passport Index
L’Indice FAO dei prezzi alimentari raggiunge nel 2021 il massimo da 10 anni a questa parte, nonostante un piccolo calo nello scorso mese di dicembre. Le ragioni degli aumenti sono molteplici, e variano da prodotto a prodotto. In generale, si registra una maggiore domanda globale di beni alimentari a fronte di una difficoltà di risposta immediata dal lato dell’offerta. Negli aumenti del 2020 e 2021 ha certamente influito il calo della produzione connesso alla pandemia.
Fonte: FAO
I grafici qui pubblicati mostrano l’impatto della pandemia da Covid sull’area MENA, l’acronimo che indica il Medio Oriente e il Nord Africa. Attraverso i dati è possibile analizzare l’andamento delle vaccinazioni e la differenza nei decessi tra i paesi in questione e l’Unione Europea.
Fonte: OWID
In un articolo pubblicato di recente sul British Medical Journal, la giornalista scientifica Jane Feinmann analizza le diverse concause che determinano il numero insufficiente di dosi di vaccini anti-Covid19. Questa infografica mostra la relazione tra la presenza di infrastrutture produttive a livello nazionale e la copertura vaccinale della popolazione. L’autrice conclude che, per raggiungere l’obiettivo dell’equità vaccinale, è necessario investire in infrastrutture e trasferimento tecnologico nei paesi a basso e medio reddito, in particolare in Africa e in Sud-Est asiatico.
L’11 Ottobre è stata la “Giornata Mondiale delle Bambine e delle Ragazze“, istituita dalle Nazioni Unite per focalizzare l’attenzione mondiale sui diritti e sull’emancipazione delle più piccole. Per questa ricorrenza ripubblichiamo una mappa realizzata da ISPI sui paesi del mondo in cui è generalmente preferibile nascere donna. La mappa si basa sugli indicatori economici, politici e sociali contenuti nel Global Gender Gap Report 2021 del World Economic Forum. L’Islanda si classifica al 1° posto, l’ultimo è l’Afghanistan. L’Italia si posiziona al 63° posto, tra gli ultimi in Europa.
Fonte: ISPI
Nel 2021 ricorre il ventesimo anniversario dell’attentato dell’11 settembre alle Torri Gemelle. L’ISPI, ovvero l’Istituto per gli studi di politica internazionale, ha pubblicato il grafico riguardante i costi, sia a livello di vite umane che meramente economici, sostenuti durante i vent’anni di conflitto.