I Moniti all’Europa di Thomas Mann
di Andrea Panzavolta
Chiunque, dopo le Considerazioni di un impolitico, leggesse Moniti all’Europa – la raccolta di conferenze, discorsi, lettere e messaggi radiofonici con cui Thomas Mann ha combattuto il nazifascismo e additato alle generazioni future alcune fondamentali linee guida per ricostruire l’idea di Europa sfigurata dalla barbarie hitleriana – con ogni probabilità stenterebbe ad attribuirli al medesimo autore. Così irriducibilmente distanti sembrano i due testi: tanto sono ribollenti, sanguigne, impetuose, reazionarie, politicamente scorrette, inneggianti alla Kultur (il demonico e ancestrale spirito della terra) le Considerazioni, quanto equilibrati, eleganti, sinuosi, ben argomentati, ossequiosi della Zivilisation (la medietà democratica, con i suoi valori “freddi” solo in apparenza, che in realtà garantiscono a tutti di vivere liberamente le proprie passioni) sono i Moniti.
In realtà numerosi sono i passaggi segreti che collegano le due opere. A modo loro, infatti, anche le Considerazioni – concepite e scritte negli anni della prima guerra mondiale, auspicando la vittoria dell’Impero germanico – sono pervase da un certo spirito democratico: pur nella loro, talvolta compiaciuta, ruvidezza, queste pagine offrono ancora oggi, e forse soprattutto oggi, un formidabile antidoto contro le caricature della democrazia e in particolare contro quell’affettato, paternalistico, moralista e per questo politicamente ambiguo atteggiamento di una certa “sinistra”, che non di rado considera se stessa la “parte migliore del paese”. Anche la retorica “progressista” può essere pericolosa e far scivolare in un pantano che, a forza di “riforme” calate dall’alto, di omissioni e di finta tolleranza, diviene il terreno di coltura dei populismi.
Thomas Mann nell’arco della sua lunga vita non ha mai abiurato apertamente le Considerazioni, a conferma di come questo testo sia forse da considerare l’opera nella quale egli si sia più compiaciuto, in cui ha saputo manifestare senza alcuna pudicizia il proprio pensiero, calpestando con piede irato le maschere del decoro borghese dietro le quali si sarebbe poi spesso nascosto. È impossibile non avvertire nella produzione letteraria successiva una forte malinconia e un acuto disincanto, sia pure addomesticati entro l’eburnea politezza e la saettante ironia della prosa. I grandi personaggi dei Buddenbrook, piaccia o no, non torneranno più: certo, nei decenni successivi Mann arricchirà la propria galleria di altre straordinarie dramatis personae, ma la forza demonica che scuote, come una greca manìa, Tony e Thomas, Gerda e Hanno Buddenbook si esaurirà in essi, e a loro Mann guarderà sempre con nostalgica e dolente simpatia.
Se così stanno le cose, le Considerazioni possono essere viste come una sorta di preparazione e laboratorio dei Moniti. Questa chiave di lettura sembra confermata dallo stesso Mann in Della repubblica tedesca, il grande discorso pronunciato nell’ottobre 1922 a Berlino a sostegno della Repubblica di Weimar, tra le contestazioni di studenti nazionalisti presenti in sala. Nel discorso rivolto a un ideale critico che, ricordando le posizioni conservatrici delle Considerazioni pubblicata appena quattro anni prima, lo accusa di apostasia e di diserzione della “causa tedesca”, lo scrittore di Lubecca risponde senza circonlocuzioni: «Io non revoco niente. Non ritratto nulla di essenziale». Spingendosi poi, come se non bastasse, a dare di se stesso questa definizione: «io sono un conservatore […] nel senso espresso con finissima efficacia da Novalis», secondo il quale nei momenti in cui tutto è messo «in fusione» occorre che il cupio dissolvi non sia mai totale e che sopravviva almeno «un perno, un nucleo» attorno al quale possa agglutinarsi il nuovo che avanza. Conservatore, dunque, «ma del futuro», che tiene insieme, in nome della medietà umanistica, il «culto dell’antico» con «l’inebriante sentimento della libertà, […] il piacere delle cose nuove e giovani», una via di mezzo, insomma, tra «romanticismo e illuminismo, fra misticismo e razionalismo»: «e non era questo elemento […] che nel mio libro […] difesi a destra e a sinistra […]: l’elemento della umanità?».
Si giunge qui allo snodo principale dei Moniti all’Europa, al suo baricentro concettuale, alla sua grandiosa proposta politica che è anche un poderoso recupero di quel “principio spirituale” che Mann chiama, appunto, Europa. Se non si ama sul serio la democrazia – ecco il nucleo del discorso – con la stessa passione profusa ampiamente nelle Considerazioni contro l’avanzata della democrazia formale, se si riduce l’ordinamento di uno Stato a una inerte raccolta di articoli e commi di legge, se si dimenticano la lotta, la fede e gli ideali che lo hanno forgiato, nulla potrà impedire un giorno ai barbari di espugnare le città.
Nello scritto Misura e valore Mann riassume questo ideale politico nel sintagma «rivoluzione conservatrice». Partendo da due massime del diletto Goethe – «L’artista deve avere un’origine, deve sapere da dove proviene» e «Sottraetevi a tutto ciò che è morto, amiamo ciò che è vivo!» – lo scrittore attribuisce alla cultura (ma potremmo benissimo sostituire a questa la parola ‘democrazia’) una duplice finalità, conservativa e insieme rivoluzionaria. Conservativa, prima di tutto, perché essa si dà cura di conservare, proteggere, tutelare il patrimonio tramandatoci dai nostri predecessori, che è «l’idea di una misura e di un valore al di sopra delle persone, dei partiti, delle nazioni». Ma anche rivoluzionaria, perché si sforza di assumere quelle stesse idee di «misura» e di «valore» quale reagenti per interpretare i segni dei tempi, per aprirsi con generosità all’avvenire e per preparare le vie della pace.
Se questa, dunque, è la democrazia, va da sé che essa non può che essere aristocratica nel «senso spirituale» della parola: democrazia, cioè, come inesausta – e, ancora una volta, appassionata – tensione verso la nobiltà dello spirito, verso quei sentimenti che rendono propriamente e pienamente umani. Conclude Mann: «In una democrazia che non onora la vita superiore dello spirito e non è determinata da esso, la demagogia ha libero gioco e il livello della vita nazionale viene abbassato a quello degli ignoranti e degli incolti, mentre dovrebbe regnare il principio dell’educazione e la tendenza ad elevare alla cultura gli strati inferiori e far sì che il che il livello dei migliori sia quello dominante, generalmente riconosciuto».
Ma a chi erano indirizzati veramente i Moniti? Alla borghesia europea? Ma non è lo stesso Mann ad averne decretato, oltre vent’anni prima, l’irreversibile crepuscolo proprio nei Buddenbrook, il cui sottotitolo recita significativamente «Verfall eine Familie», ‘decadenza di una famiglia’? Alle giovani generazioni disorientate eppure affamate di futuro? Ma le sue conferenze non erano interrotte, con gaglioffa improntitudine, proprio dagli studenti, molti dei quali già infatuati di Hitler? Allora, a chi sono destinati? Certo, i Moniti – e questo deve essere riconosciuto come un merito – entrano a gamba tesa nel crogiolo ribollente dell’epoca, prendono posizione, si schierano, si sporcano le mani nel flusso fangoso della Storia, ma forse la loro grandezza non consiste solo nella loro attualità, ma anche, e soprattutto, nella loro inattualità, tanto che un loro possibile sottotitolo potrebbe suonare proprio ‘considerazioni inattuali’, avverse cioè al ‘moderno’, al senso comune del presente.
«Posterorum negotium ago», «io lavoro per i posteri» scriveva Seneca in una delle sue lettere a Lucilio. Lo stesso assunto risuona anche nei Moniti all’Europa. Riuscirà mai l’Europa ad afferrare se stessa? A essere autenticamente se stessa? A inverare il destino che porta inscritto nel proprio nome? A essere la terra dell’Occaso, dove la philautìa ossia l’egoismo (che risuona in rancidi slogan quali ‘proteggiamo i confini della patria’, ‘prima noi degli altri’, ‘chiudiamo le frontiere e blocchiamo i mari’), tramonta per cedere il posto alla phìlia su cui può nascere una communitas dei distinti-ma-uniti?
I Moniti di Thomas Mann additano ancora alle giovani generazioni e a quelle future una possibile via per non smarrirsi in mezzo a queste angosciose domande.
Andrea Panzavolta è giornalista pubblicista. Collabora alla rubrica “Film in discussione” di Iride. Filosofia e discussione pubblica, e ad alcune riviste di critica cinematografica. Dal 2014 è il direttore artistico della rassegna concertistica forlivese “Passioni in musica”.