lunedì, Dicembre 23, 2024
Conflitti

La guerra russo-ucraina e la fallacia di uno scambio nucleare limitato

Dalla fine della Guerra Fredda le grandi potenze mondiali hanno continuato a possedere e sviluppare armi nucleari, giustificandosi con l’alibi della deterrenza: lo scopo di tali armamenti sarebbe stato quello di far desistere un potenziale avversario dall’idea di attaccare. Per chi vede, invece, il disarmo e in particolare la messa al bando delle armi nucleari come l’unica via possibile per contrastare la guerra e la possibile autodistruzione umana, la presenza di armi “tattiche” negli arsenali nucleari aumenta solo la probabilità che queste possano essere usate. La guerra tra Ucraina e Russia, con la retorica della minaccia nucleare che la accompagna, ha riportato nel dibattito pubblico il tema del disarmo: in un clima di escalation militare è concreta la paura di un possibile attacco nucleare, sferrato anche solo per errore. Questo articolo, tradotto dall’autorevole Bulletin of the Atomic Scientists, mostra in particolare la fallacia di un uso meramente tattico delle armi nucleari, come terzo e separato spazio di conflitto tra la guerra convenzionale e la guerra nucleare totale. 

 

di John Gower e Andrew Weber 

Dalla fine della Guerra Fredda, Russia, Stati Uniti, Francia e Cina hanno continuato a possedere e sviluppare armi nucleari al di sotto del livello strategico dei missili balistici intercontinentali a portata terrestre e lanciati da sottomarini. La motivazione a lungo propagandata di ciò era semplice: le armi nucleari non strategiche (o tattiche) sono necessarie per offrire al decisore più opzioni e fornire una risposta di deterrenza proporzionata e credibile all’uso di armi simili da parte di un avversario.

Il fondamento logico continua con la motivazione che tale uso di armi nucleari occuperebbe un terzo e separato spazio di conflitto strategico tra la guerra convenzionale e lo scambio nucleare strategico totale. È necessario, è stato affermato, occupare quello spazio per esercitare una deterrenza a tutti i livelli.

L’implicazione profonda di questa linea di ragionamento è che questo spazio di “scambio nucleare limitato” è distinto e separato sia dalla guerra convenzionale, che si pone a un livello sottostante, sia dall’Armageddon nucleare, situato al livello superiore, e che le transizioni tra gli spazi possono essere controllate. Questa è nella migliore delle ipotesi una congettura non dimostrata.

Per molti anni, gli oppositori alla presenza di tali armi tattiche negli arsenali nucleari – inclusi gli autori del presente articolo – hanno sostenuto il contrario. Piuttosto che essere controllate, queste transizioni sono simultaneamente abilitate, aumentate di probabilità e accelerate dall’esistenza stessa di tali armi.

L’invasione russa dell’Ucraina, condotta dal presidente russo Vladimir Putin con la minaccia quasi continua della sua sciabola nucleare, ha riportato questo argomento, precedentemente limitato a dibattiti accademici, uffici politici e giochi di guerra, alla sua cruda realtà.

Le sue prime minacce, mentre la guerra si svolgeva, furono in gran parte – e giustamente – ignorate dalle nazioni occidentali dotate di armi nucleari: il Presidente degli Stati Uniti non voleva “nuclearizzare” quello che è ancora un conflitto convenzionale. A sei mesi dall’inizio della guerra, e di fronte alle perdite e alle ritirate convenzionali russe, Putin ha raddoppiato i propri sforzi e ha fatto minacce più specifiche.

Mentre alcuni commentatori interpretano le osservazioni di Putin alla stregua di una semplice minaccia, tale lettura non sembra coerente con le altre sue mosse: mancanza di elezioni nelle regioni occupate, sabotaggio dell’oleodotto del Mare del Nord, maggiore uso di attacchi indiscriminati con droni, nomina di un uomo duro al comando e una mobilitazione di massa. Anche se questa visione tranquillizzante si rivelasse corretta, comprendere correttamente in senso della retorica in corso è essenziale per prevenire una pericolosa escalation.

L’unica buona notizia è che Putin non sembra ancora aver fatto passi concreti per trasformare la sua retorica bellicosa in preparativi per l’uso di armi nucleari, come iniziare a estrarre le testate dai depositi e accoppiarle con i loro sistemi di consegna.

Secondo le attuali dottrine nucleari degli Stati Uniti e dei paesi della NATO, la risposta alla retorica di Putin avrebbe dovuto essere una retorica proporzionale e accuratamente calibrata: avrebbe dovuto ricordare a Putin che una transizione della Russia dallo spazio convenzionale allo “spazio nucleare meno-che-strategico” avrebbe incontrato una serie di opzioni che includono una risposta nucleare proporzionata. In fondo, la logica di coloro che mantengono armi nucleari tattiche è stata a lungo che le minacce di una massiccia rappresaglia semplicemente non sono credibili. Ma non è quello che è successo.

Il presidente Putin opera in gran parte in uno spazio di potere incontrastato detenuto da un solo uomo, che l’agenzia di intelligence delle comunicazioni del Regno Unito GCHQ ritiene essere una concausa dei fallimenti strategici della Russia, nonché nella mancanza di moderazione nella sua retorica. Al contrario, qualsiasi retorica nucleare degli Stati Uniti e di altre potenze nucleari della NATO è stata accuratamente calibrata. Pertanto, qualsiasi variazione rispetto alla “dottrina dichiarativa” non è casuale e merita un attento esame.

La difficile valutazione sull’effettivo utilizzo delle armi nucleari tattiche da parte della Russia, in Ucraina, ha chiaramente infranto la teoria dello “scambio limitato” attorno al tavolo del Consiglio di sicurezza nazionale del Presidente degli Stati Uniti. Il consigliere per la sicurezza nazionale, Jake Sullivan, non ha usato un linguaggio proporzionato né, dopo di lui, il Presidente Biden lo ha fatto.

Il 25 settembre Sullivan ha dichiarato: “Abbiamo comunicato direttamente, privatamente e ad altissimi livelli al Cremlino che qualsiasi uso di armi nucleari avrà conseguenze catastrofiche per la Russia, che gli Stati Uniti e i nostri alleati risponderanno in modo decisivo e abbiamo una visione chiara e specifica di ciò che questo comporterà”. Il 6 ottobre, durante una raccolta fondi a New York, il presidente Biden ha dichiarato: “Era dai tempi di Kennedy e della crisi dei missili cubani che non ci confrontavamo con la prospettiva dell’Armageddon”.

Parole come “Armageddon” e “catastrofico” sono drammatiche, non proporzionate, e certamente sono state scelte con cura. Con tale scelta retorica, il Consiglio di sicurezza nazionale sembra aver accettato che la transizione verso l’uso delle armi nucleari nel XXI secolo è qualcosa di mai sperimentato e che il controllo dell’escalation, tutt’altro che assicurato, è nebuloso e probabilmente utopico come James Acton, analista di il Carnegie Endowment for International Peace ha spiegato in una serie di tweet dopo il riferimento di Biden all’“Armageddon”.

Tali dichiarazioni dimostrano come, ai più alti livelli dell’amministrazione, vi sia la consapevolezza di dover scoraggiare qualsiasi impiego di armi nucleari attraverso la minaccia di una risposta catastrofica. Forse, rendendosi conto della vacuità di un siffatto scambio, hanno iniziato a diffondersi alcune voci, secondo le quali i paesi occidentali (o la NATO, in senso meno determinato) potrebbero rispondere al primo uso di un’arma nucleare in guerra dal 1945, attraverso una risposta convenzionale “devastante”. Questa novità avrebbe lo scopo di evitare l’escalation nucleare che già le teorie sullo “scambio limitato” avrebbero dovuto controllare. Si tratta, però, di una fantasia altrettanto pericolosa.

Una risposta convenzionale all’uso nucleare russo dovrebbe essere così devastante da provocare probabilmente un’ulteriore risposta nucleare. Ciò sarebbe particolarmente vero se questa risposta implicasse, come ha suggerito il generale Petraeus, “[gli Stati Uniti] alla guida di una NATO, uno sforzo collettivo, che eliminerebbe ogni forza convenzionale russa che possiamo vedere e identificare sul campo di battaglia in Ucraina e anche in Crimea e ogni nave nel Mar Nero”. Un simile contrattacco nucleare sarebbe probabilmente rivolto a coloro che avrebbero distrutto le forze convenzionali russe, ovvero alla NATO, piuttosto che essere confinato in Ucraina.

In effetti, se non ci fosse una risposta nucleare, la “deterrenza” potrebbe svelarsi pericolosamente come un semplice costrutto agli occhi del mondo intero. Questo dilemma – come rispondere a un uso nucleare limitato – ha perseguitato ogni wargame segreto dall’inizio del millennio. Ha consentito il possesso continuato di armi nucleari tattiche e la persistenza della relativa visione mentale ben oltre la fine della Guerra Fredda. Tale narrazione ha inventato un uso “più accettabile” delle armi nucleari come una breve escursione nucleare in una guerra convenzionale. Questa visione ha prodotto una generazione di ufficiali e funzionari che hanno accettato questa nozione e hanno integrato l’uso nucleare limitato e le “rampe di uscita” nella loro retorica e nei loro piani di guerra.

Ma il dilemma relativo alla risposta ad armi nucleari tattiche si basa su false premesse. Il modo per scoraggiare la transizione verso una probabile escalation nucleare incontrollata è mettere in chiaro che una “risposta catastrofica” deriverebbe da qualsiasi impiego di armi nucleari. Un confine netto deve essere ristabilito e mantenuto tra il conflitto convenzionale e qualsiasi attacco con armi nucleari.

Il consigliere per la sicurezza nazionale del Presidente degli Stati Uniti ora lo capisce chiaramente, così come il Presidente stesso. Speriamo solo che anche il presidente Putin, nonostante la sua retorica, lo capisca. La speranza da sola non è una strategia. Dobbiamo rafforzare la speranza con un’azione urgente per rimuovere queste armi non strategiche, la cui esistenza ci ha portato in questo scenario febbrile e che si è rivelata illusoria e pericolosamente destabilizzante.

 

[traduzione a cura di Chiara Magneschi]

 

Fonte: Bulletin of the Atomic Scientists, 21 ottobre 2022.