lunedì, Dicembre 23, 2024
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Travolti anche inquilini e proprietari, sempre più in difficoltà chi abita in affitto

L’emergenza abitativa è diventata impellente nel corso della crisi sanitaria da Coronavirus che stiamo vivendo: la perdita del lavoro e la riduzione del reddito disponibile, causate dal lockdown, hanno esposto molte famiglie che vivono in affitto al rischio di morosità. Una lettura approfondita del fenomeno mostra che il diritto alla casa continuerà ad essere a rischio anche nella fase successiva. Invitiamo alla lettura di questo articolo, pubblicato su Valigia Blu, in cui Sarah Gainsforth riprende e approfondisce, dati alla mano, le perplessità di varie associazioni degli inquilini rispetto alle misure adottate dal governo e che hanno, di fatto, dimenticato chi abita in affitto. L’autrice invita le istituzioni ad agire sulle cause strutturali del disagio abitativo, per evitare il ripetersi di squilibri come quelli che si sono verificati dopo la crisi economica globale del 2008.

 

di Sarah Gainsforth

 

«Siamo stati subissati di richieste di aiuto da parte di inquilini che non possono pagare l’affitto», dice Laura Grandi del SUNIA Toscana, il sindacato degli inquilini della CGIL. «Gli uffici sono chiusi ma in moltissimi ci stanno scrivendo per sospendere il contratto di locazione e ricontrattare il canone. Oltre alle famiglie, molti sono studenti fuorisede, tanti avevano coinquilini che sono partiti, e molto spesso loro stessi non sanno se riusciranno a restare. Il vero problema è che molti lavoravano in nero facendo lavoretti».

«Dopo aver parlato con la proprietaria di casa, siamo arrivate a un accordo: pagare la metà dell’affitto. La proprietaria, dopo una lunga chiacchierata, mi ha spiegato che ha tre figlie e solo una con un contratto, quindi in cassa integrazione, e quella minima entrata le è utilissima per aiutare le due figlie che lavoravano in nero. Stiamo cercando anche noi di non pagarlo l’affitto, siamo due persone in cassa integrazione e due studenti che lavoravano in nero. Personalmente, non so come comportarmi. Perché se non paghiamo lei sta in difficoltà, se paghiamo il mensile pieno noi stiamo sotto un treno. Siamo giunte ad un accordo di pagare la metà, e poi vedremo. Di certo non possiamo privarci del cibo per pagare l’affitto». Questa è solo una delle tante storie che circolano in questi giorni, durante l’emergenza COVID-19, nei gruppi Facebook di inquilini e proprietari costretti ad arrangiarsi con accordi privati, perché finora le misure del governo hanno dimenticato chi abita in affitto.

Eppure sono quasi 5 milioni le famiglie che abitano in affitto in Italia (11 milioni di individui, secondo i dati ISTAT del 2008, 700mila abitano in un alloggio di edilizia residenziale pubblica) ma sono 650mila le domande inevase per l’accesso. Oltre 4 milioni di famiglie abitano in una casa locata sul mercato privato. Di queste, la metà – 1 milione 708mila famiglie – era in difficoltà con il pagamento dell’affitto già prima dell’emergenza coronavirus. Un quarto pagava l’affitto in ritardo. Questa la fotografia scattata nel 2016 da una ricerca di Nomisma per Federcasa. Il canone preso a parametro, si noti, è di 400-500 euro al mese, ben al di sotto dei prezzi medi nelle grandi città.

Su pressione dei sindacati degli inquilini, nel decreto “Cura Italia”, il governo ha approvato il blocco degli sfratti fino al 30 giugno 2020. Ma questo provvedimento da solo non basta, sostengono i sindacati per la casa. Il SUNIA chiede di rifinanziare il fondo per il sussidio all’affitto, un contributo del 70% del canone da erogare ai proprietari e la possibilità di rinegoziazione del canone con il passaggio al canone concordato. Senza ulteriori misure, il blocco degli sfratti infatti scarica sui proprietari e sugli inquilini ritardi e mancati pagamenti, a fronte di una possibile diminuzione del reddito di entrambi.

Secondo il viceministro dell’Economia Laura Castelli le misure di sostegno al reddito dovrebbero scongiurare questo scenario. Rispondendo alle domande dei lettori de Il Messaggero, Castelli ha detto che «esistono già alcune misure che possono essere attivate da chi ne ha necessità, tra cui è bene ricordare il Fondo Morosità Incolpevole, il Fondo Nazionale Sostegno all’accesso alle Abitazioni in Locazione e il “bonus affitto 2020” per le famiglie a basso reddito». La competenza in materia di abitare è comunque del ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture che in un post su Facebook ha annunciato il trasferimento alle Regioni di 46 milioni «da destinare ai Comuni e agli inquilini che non possono far fronte al pagamento dei canoni di locazione e hanno subito sfratti per morosità incolpevole». Non è chiaro al momento se si tratti di uno stanziamento aggiuntivo al riparto 2019 del Fondo Morosità Incolpevole, del medesimo importo.

Il Segretario di Unione Inquilini Massimo Pasquini ha spiegato a Valigia Blu che «lo stanziamento di 46 milioni di euro annunciato dalla Ministra De Micheli non ha nulla a che vedere con gli interventi straordinari per il COVID-19 ma sono risorse già previste nel 2019 che sono nel decreto del 23 dicembre 2019 pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 7 febbraio 2020».

I sindacati per la casa sono in trattativa con il governo per uno stanziamento straordinario aggiuntivo del contributo affitto da erogare con procedure veloci. Alcune regioni hanno già provveduto allo stanziamento di ulteriori fondi da erogare tramite i Comuni. Per esempio la Regione Lazio, su richiesta della CGIL Roma e Lazio e del SUNIA, ha stanziato ulteriori 22 milioni di euro, che si aggiungono ai 21 già stanziati, per il contributo affitto.

Intanto gli inquilini in difficoltà possono chiedere la riduzione temporanea (specificando la durata della riduzione) o la ricontrattazione del canone di affitto. Qualsiasi accordo tra inquilino e proprietario deve essere messo per iscritto, controfirmato, e spedito per raccomandata da una delle due parti. Se l’inquilino ha un contratto 4+4 a canone libero può chiedere al proprietario la riduzione del canone o il passaggio a un contratto a canone concordato, per cui il proprietario recupera la riduzione dal punto di vista fiscale con la cedolare secca al 10% e l’esenzione dell’imposta di registro. La riduzione si può chiedere anche per le altre tipologie contrattuali (canone concordato, transitorio a canone libero e per studenti universitari). È attiva una procedura semplificata per la registrazione dell’accordo per via telematica, che non si paga, presso l’Agenzia delle Entrate, da farsi entro 30 giorni. Il proprietario pagherà le imposte in base al nuovo canone ridotto. Se il proprietario non accetta ci si può rivolgere a un sindacato degli inquilini. In caso di disdetta bisogna rispettare i tempi di preavviso imposti dal contratto.

Alcuni gruppi di inquilini e organizzazioni in varie parti del mondo hanno lanciato un rent strike, uno sciopero dell’affitto, in contesti dove l’affitto dell’abitazione è la condizione maggioritaria e dove spesso a detenere la proprietà di quote consistenti di case locate sul mercato privato sono grandi gruppi immobiliari e fondi di investimento. Anche in Italia si è iniziato a parlare di un possibile sciopero degli affitti.

L’Italia è un paese di proprietari, ma la proprietà non esclude la povertà

In Italia ci sono più proprietari che affittuari. Dai primi anni Settanta il numero di proprietari di alloggi inizia infatti a superare quello degli affittuari, anche grazie alle politiche pubbliche per l’acquisto della casa. I dati, presentati lo scorso luglio in un’audizione della VI Commissione Finanze della Camera dei Deputati, dal presidente dell’ISTAT Gian Paolo Oneto, mostrano per il 2018 un segmento dell’affitto pari al 18,7% della popolazione; all’interno di questo segmento, 850 mila famiglie sono in povertà e costituiscono la metà di tutte quelle in tale condizione. E, come mostrano sempre i dati ISTAT, se negli anni Settanta la quota di famiglie in affitto era distribuita su tutti i quintili di reddito, dal 2011 la situazione diventa ben diversa: a rimanere in affitto sono state le famiglie più povere.

Fonte: L’Italia senza casa: bisogni emergenti e politiche per l’abitare, AA.VV.

La proprietà delle abitazioni locate in Italia è diffusa e prevalentemente i proprietari sono famiglie: 32,5 milioni di abitazioni, oltre il 92% dello stock abitativo totale, sono di proprietà delle persone fisiche. Il 60% di questo stock è costituito dalle abitazioni principali, mentre le abitazioni locate pesano per il 10% e sono poco più di 3 milioni. Ci sono poi le abitazioni dichiarate “a disposizione”, le seconde case, che sono il 17%. Secondo un’elaborazione di Nomisma e di Solo Affitti, la composizione dei proprietari delle abitazioni in affitto si divide tra un 57% di persone fisiche proprietarie di un solo immobile, 33,6% di persone fisiche proprietarie di più immobili, e un 9% di società.

Secondo l’Agenzia delle Entrate oltre la metà dei proprietari di abitazioni in Italia (25 milioni di famiglie proprietarie) appartiene alle fasce di reddito imponibile medio-basse: 6 milioni di proprietari hanno un reddito fino a 10mila euro l’anno, 11 milioni hanno un reddito compreso tra 10mila e 26mila euro l’anno. Le persone non fisiche proprietarie di abitazioni (totale 2 milioni 300mila società o enti) hanno un reddito medio di 84mila euro l’anno. Non si tratta dunque di grandi società.

A Roma il sorpasso dei proprietari sugli inquilini è avvenuto soltanto nel 1981. Nel 2001 l’ufficio statistiche del Comune di Roma ha condotto un’analisi sulla struttura della proprietà e quella degli affitti. Ne è emerso che le case in affitto erano 287mila. Di queste quasi un terzo (110.231 case) era di persone fisiche e il resto prevalentemente di enti pubblici: quasi 23mila erano le case ERP del Comune, quasi 56 mila le case degli enti previdenziali (passati oggi a 6mila dopo i piani di dismissione), 51mila erano case IACP (diventata ATER, l’ente ERP regionale). Solo 28mila case erano di imprese. Nel 2011, dieci anni dopo, una ricerca commissionata dal Comune di Roma al CRESME rilevava che le famiglie in affitto da privati, sul totale delle famiglie in affitto, erano il 53,2%.

L’ultima ricerca dell’ISTAT sul tema dell’affitto a livello nazionale risale al 2008. La penuria di dati sul mercato degli affitti in Italia riflette la scarsa attenzione per questo segmento rispetto a quello delle compravendite, oltre che la mancata istituzione di un Osservatorio sulla condizione abitativa, previsto dalla Legge 431/98.

Possedere, piuttosto che affittare un’abitazione, è un vantaggio non trascurabile se è vero che, come scrivono gli autori del libro Casa Dolce Casa. Un paese di proprietari, l’affitto implicito, “ovvero la misura del costo opportunità di possedere invece che affittare un’abitazione, è una componente non trascurabile del reddito delle famiglie proprietarie” che incide per circa il 20%. È però altrettanto vero che, come notano gli autori, una percentuale simile, tra il 18% e il 20%, riguarda gli individui poveri che tra il 2006 e il 2016 vivevano in un’abitazione in proprietà. Ovvero, la proprietà non esclude la povertà. Di più, notano gli autori, “la differenza fondamentale tra affittuari e proprietari è che i primi possono accedere ad aiuti pubblici”. Il problema è che questi aiuti in Italia non sempre funzionano.

 

L’insufficienza del fondo per il sussidio all’affitto e la morosità incolpevole

Il “bonus affitto 2020”, citato dal viceministro dell’Economia Laura Castelli, altro non è che lo stanziamento annuale del fondo per il sostegno all’affitto, che ha una dotazione di 50 milioni di euro per il 2020 e per i due anni successivi. Una dotazione giudicata insufficiente dal SUNIA per «colmare il divario tra redditi delle famiglie in affitto e canoni del mercato privato» già prima dell’allerta coronavirus. «Se pensiamo che solo Roma disponeva di 30 milioni di euro nei primi anni Duemila, si capisce quanto l’attuale stanziamento sia insufficiente», dice a Valigia Blu Enrico Puccini di Osservatorio Casa Roma.

Il fondo per il sussidio all’affitto (Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione) è stato istituito nel 1998 contestualmente all’abrogazione dell’equo canone. La fine dell’impegno pubblico, come intervento diretto nel settore della casa, ha aperto una nuova stagione di intervento indiretti mirati a calmierare il mercato privato degli affitti attraverso sussidi e facilitazioni. Ma, come vedremo, l’assenza di un orientamento chiaro e la frammentazione di competenze e misure, che anziché integrarsi si sovrappongono, oltre al loro progressivo de-finanziamento, sono tra le cause del fallimento di questa strategia.

Il sussidio all’affitto è una misura di sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione attraverso la concessione di contributi integrativi (si tratta di circa 400 euro al mese) per il pagamento dei canoni, per evitare situazioni di morosità. Spetta ai comuni stabilire l’entità e le modalità di erogazione dei contributi attraverso un bando. La legge ha previsto una dotazione iniziale di 600 miliardi di lire per il triennio 1999-2001. Di fatto la dotazione annuale è diminuita costantemente dall’istituzione del fondo, passando da 380 milioni di euro (equivalenti) nel 1999 a 9 milioni nel 2011 e a zero in tutti gli anni successivi, ad eccezione di uno stanziamento di 100 milioni nel 2015. Il fondo ha avuto una dotazione di appena 3 milioni di euro nel 2019, 50 quelli per l’anno in corso.

Fondo per il contributo all’affitto, elaborazione Osservatorio Casa Roma, dati Gazzette Ufficiali

Insomma il fondo è stato azzerato proprio quando serviva di più, in corrispondenza con l’aumento delle richieste di esecuzione di sfratto, che hanno toccato due picchi, nel 2012 e nel 2016.

Sfratti 2001-2017, fonte Ministero Interni

«A Roma ci sono tra le 7mila e 10mila domande l’anno per il contributo all’affitto», prosegue Puccini. Secondo il SUNIA, a fine 2018, erano 7.778 le richieste pendenti di sfratto nel Lazio. «Il problema però non è solo quello della dotazione insufficiente: i tempi di erogazione sono lunghissimi. Siccome i fondi non bastano a coprire tutte le richieste, il Comune fa un bando, ancora più restrittivo rispetto alla legge, poi fa una commissione, poi fa una graduatoria provvisoria, poi ne fa una definitiva… così l’erogazione di una misura urgente per prevenire situazioni di morosità slitta di un anno se non di più. In Germania il tempo di erogazione del sussidio per l’affitto, che avviene per via telematica, è di una settimana. Di più, in Germania l’assegnazione del sussidio è a esaurimento fondi, ovvero copre tutti i richiedenti», nota ancora Puccini.

Il Fondo Morosità Incolpevole, la prima misura citata, ha una dotazione di soli 46,2 milioni per il 2020 e tempi di erogazione inadeguati per fronteggiare situazioni di emergenza abitativa. Tanto che la metà delle risorse stanziate per l’ultimo quinquennio non sono state spese. Eppure nel 2018 ci sono state 11.823 richieste di esecuzione di sfratto presentate, 30.127 sfratti eseguiti, 56.140 provvedimenti emessi. Anche qui, qualcosa non ha funzionato.

L’istituzione del fondo nel 2013 è stata dettata da una scelta politica mirata a calmierare il mercato privato per rispondere agli effetti della crisi del 2008, in assenza di nuovi alloggi di edilizia residenziale pubblica. Il contributo, che dovrebbe sanare la morosità incolpevole, mira a coprire i canoni arretrati ed eventuali spese e canoni di un nuovo contratto a canone concordato fino al massimo del contributo concesso, ovvero 12 mila euro per richiedente.

Su 184,3 milioni di euro stanziati per il quinquennio 2014-2018, le Regioni, a cui il fondo viene ripartito, hanno speso la metà: 88 milioni di euro non sono stati spesi. Il dettaglio della spesa per regione e il funzionamento dello strumento sono illustrati in dettaglio in due articoli, pubblicati su Edilizia e Territorio del Sole 24 Ore, il 10 giugno 2019, a firma di Massimo Frontera e Paolo Rosa, Dirigente nella Direzione generale per la condizione abitativa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Soltanto quattro regioni (Valle d’Aosta, Liguria, Piemonte e Lombardia) hanno speso tra l’80% e il 100% della dotazione. Sardegna, Veneto ed Emilia Romagna hanno speso più della metà della dotazione, Lazio, Toscana, Friuli Venezia Giulia e Molise tra il 30% e il 52%. Umbria, Basilicata, Abruzzo, Marche e Puglia hanno speso tra il 30 e il 10% mentre Calabria, Campania e Sicilia hanno speso meno del 10% dei fondi a disposizione, che variano di Regione in Regione.

Di nuovo, a rendere inefficace una misura che dovrebbe essere emergenziale, è la sua modalità di erogazione: tra bandi, graduatorie provvisorie e definitive, l’erogazione del contributo arriva troppo tardi.

Solo il Comune di Bologna è riuscito a erogare il contributo alla convalida dello sfratto, riuscendo così a spendere tutta la dotazione, grazie a un accordo tra tutti gli enti locali e i soggetti coinvolti. Bologna era anche tra le poche città italiane ad avere un’agenzia per l’affitto, la cui funzione (prevista dalla già citata Legge 431/98) è quella di far incontrare domanda e offerta di alloggi in affitto a canone concordato, tramite un bando, fornendo a tutela dei proprietari un fondo di garanzia per coprire eventuali morosità per un periodo di sei mesi. Ma a Bologna, l’Agenzia Metropolitana per l’Affitto ha avuto vita breve: la scarsa fiducia dei proprietari e la scarsa collaborazione delle associazioni di proprietari hanno inciso sulla disponibilità di alloggi disponibili; una serie di nodi dal lato dell’amministrazione, come la stipula del contratto tra privati e non con l’Agenzia stessa, hanno disincentivato la sua funzione. A volte poi manca la volontà politica, come nel caso di Torino, dove l’agenzia per gli affitti è stata smantellata dall’attuale giunta. È andata molto meglio a Modena e Reggio Emilia, dove i contratti di locazione sono stati intestati direttamente alle agenzie per l’affitto.

I fondi per la morosità non spesi, intanto, sono stati dirottati sul fondo per il sussidio all’affitto. Nel Lazio, ricostruisce SUNIA, si tratta di 20 milioni di euro. Secondo Puccini, «l’incapacità dei comuni di erogare il fondo per la morosità è dovuta anche, probabilmente, alla difficoltà degli inquilini di dimostrare la morosità in situazioni di economia sommersa, ovvero con un lavoro e una casa in nero. Insomma, proprio dove ce n’è più bisogno lo Stato non riesce ad arrivare». Il Ministro per il Sud Giuseppe Provenzano ha auspicato l’introduzione di «misure universalistiche per raggiungere anche le fasce sociali più vulnerabili: le famiglie numerose, oltre a chi lavorava in nero». Al sud il tema degli affitti potrebbe diventare esplosivo mentre emergono con la crisi attuale le profonde disuguaglianze che caratterizzano la distribuzione della ricchezza in Italia.

«A Palermo la situazione era già drammatica prima di questa emergenza. Nel centro storico i prezzi delle case sono aumentati negli ultimi anni insieme agli Airbnb, qui i quartieri stanno cambiando fisionomia», racconta a Valigia Blu Gabriele Rizzo, un membro di Potere al Popolo, che segue alcune famiglie in emergenza abitativa. Erano circa 5mila le case in affitto a turisti, a prezzi molto bassi, fino a febbraio. «Ci sono 10mila nuclei nella graduatoria ERP regionale, e altri 1.700 in quella per l’emergenza abitativa di Palermo; ogni anno ci sono circa 100 nuove richieste, a fronte di una dozzina di assegnazioni. In assenza di alternative, molti occupano le case in periferia. Solo l’anno scorso abbiamo seguito 200 famiglie, e solo 20 erano in centro». Nel 2018 Palermo ha registrato un +23% di sfratti, quasi tutti per necessità del locatore, proprio nell’anno in cui la città è stata Capitale della Cultura. Ma è difficile quantificare la vera entità del disagio abitativo a Palermo perché gli sfratti difficilmente avvengono per vie ufficiali.

 

Cosa accadrà alla fine del lockdown?

Adesso gli sfratti sono bloccati, così come il mercato della casa. Nomisma stima una perdita di fatturato nel settore tra i 54,5 e i 113 miliardi nei prossimi anni. Molto probabilmente i canoni di locazione scenderanno. Ma non basterà il calo dei canoni per migliorare la situazione per le famiglie in disagio abitativo, aumentate dal 16% al 35% tra il 1992 e il 2014 secondo l’Istat. «È uno scenario che abbiamo già visto», commenta Puccini. «Dopo il 2008 i canoni di locazione e i valori immobiliari sono scesi molto. Eppure proprio negli anni post-crisi l’emergenza abitativa non solo non si è affievolita ma è addirittura aumentata. Come mai?».

«Dopo la crisi il mercato immobiliare è cambiato: oggi il mercato si basa sui flussi», spiega a Valigia Blu Vincenzo De Tommaso, responsabile dell’ufficio studi di Idealista. L’unica città ad aver agganciato la ripresa dei valori immobiliari iniziata in Europa nel 2013 è stata Milano, dove nel 2018 gli sfratti sono esplosi con un +594%. «Il mercato milanese è stato sostenuto da un eccesso di domanda, ma si è trattato di un’eccezione nel trend nazionale caratterizzato da valori in calo – spiega De Tommaso –. Questo in parte è dovuto dal fatto che il mercato italiano è polarizzato e segmentato in diversi mercati: quello del Nord-Est, il più dinamico, quello del centro Italia, che si stava faticosamente riprendendo, e quello del Sud che ad eccezione di Napoli non conosce novità e grandi investimenti rispetto agli anni Sessanta, ed è caratterizzato da proprietari che vivono di rendita. Poi ci sono il mercato delle aree provinciali, in calo, e quello delle aree interne appenniniche, fermo».

Non esiste un’elaborazione completa dei dati sui canoni di locazione a livello nazionale da parte dell’Agenzia delle Entrate. Secondo l’ISTAT, “rispetto alla media del 2010, nel 2019 i prezzi delle abitazioni sono diminuiti del 16,6%”. Uno studio sul caso romano, condotto da Osservatorio Casa Roma su dieci quartieri per ognuna delle quattro principali aree della città, su dati dell’Agenzia delle Entrate, ha rilevato un calo medio del 27% dei canoni e del 19% dei valori immobiliari tra il 2008 e il 2018. Secondo Puccini «le perdite maggiori sugli affitti si rilevano al centro storico, -34%, con valori di picco che toccano il -45% per la zona di Via Veneto».

Se da una parte il calo dei canoni ha favorito un ritorno in città di famiglie dalle zone più periferiche di Roma, questo non ha però inciso positivamente sulla condizione delle famiglie in emergenza abitativa. Il divario tra canoni e redditi, a causa della contrazione complessiva dei redditi e della capacità di risparmio delle famiglie dopo il 2008, per loro è rimasto troppo alto. Dal 2007, prima della crisi economica, il reddito familiare è diminuito in termini reali dell’8,8% in media secondo i dati ISTAT. A calare più di tutti, i redditi da lavoro autonomo, crollati del 20%.

Secondo Laura Grandi (SUNIA Toscana), la capacità reddituale delle famiglie in questi anni è stata ampiamente sovrastimata: «A Firenze e a Sesto Fiorentino c’è stato un bando per alloggi nuovi di social-housing; è andato praticamente deserto perché il tetto minimo di reddito per accedere, 16mila euro l’anno, si è rivelato troppo alto; abbiamo dovuto creare una lista parallela di famiglie interessate alle case nell’eventualità di un abbassamento del limite di reddito di accesso».

Questo dato, coniugato con l’inefficienza del sistema di tutele di proprietari e inquilini del mercato degli affitti privati proprio durante gli anni di maggiore crisi, spiegherebbe anche perché molti proprietari hanno riconvertito gli alloggi da locazioni ordinarie a locazioni brevi turistiche. In assenza di un intervento pubblico efficace, la soluzione è arrivata dal mercato privato, con l’esplosione degli affitti brevi turistici che hanno stravolto i centri urbani di molte città a partire dal 2016. Il boom di affitti brevi turistici è avvenuto in Italia proprio mentre i canoni scendevano perché il mercato turistico è stato usato da molti proprietari (ma anche da quanti hanno preso case in affitto per sub-affittarle su Airbnb) per tamponare gli effetti della recessione economica, oltre che per fare profitti. Tra le motivazioni più citate da molti host di Airbnb, il rischio di morosità di inquilini a lungo termine.

Canoni in locazione vs Airbnb a Roma, elaborazione Osservatorio Casa Roma, dati: Agenzia delle Entrate e Tom Slee

Gli affitti brevi turistici, tollerati dalle istituzioni proprio perché visti come una forma di integrazione del reddito, hanno contribuito a peggiorare la situazione di quanti abitano in affitto, e la qualità dell’abitare in generale. Dopo il 2016 l’offerta di case in affitto si è ridotta e i canoni sono aumentati. Secondo Nomisma, l’offerta sul mercato ordinario è notevolmente diminuita dal 2015, fino a raggiungere una previsione negativa per l’anno in corso, a fronte di un incremento costante della domanda dal 2011, e di un aumento dei canoni, non sostenuto dalla capacità reddituali delle famiglie.

Offerta e domanda di locazione di abitazioni, fonte Primo rapporto Nomisma sul Mercato Immobiliare.

Il rischio di spazi urbani ancora più vuoti

Questo trend potrebbe in parte invertirsi. «Vedremo un aumento dell’offerta di case in affitto, sia per il ritorno delle case vacanze sul mercato ordinario che per l’immissione di case finora tenute vuote, rimesse sul mercato per sopperire alla diminuzione del reddito dei proprietari. Ed è molto probabile che i prezzi scenderanno. Ci sono già molte richieste di abbassare i canoni, da parte di inquilini in cassa integrazione e di titolari di attività commerciali», sostiene Vincenzo De Tommaso di Idealista.

«A Bologna moltissimi host di Airbnb si stanno riconvertendo su contratti di medio-lungo periodo, contratti transitori per personale sanitario ma anche per studenti», dice a Valigia Blu Fabio D’Alfonso di “Pensare Urbano”, un coordinamento di Bologna che lavora sul tema del diritto all’abitare. «Nei gruppi Facebook di chi cerca casa, soprattutto studenti, c’è un sentimento di rivalsa, dopo che negli ultimi tempi sembrava impossibile trovare casa. Adesso anche le condizioni per l’affitto, come la richiesta di un contratto a tempo indeterminato o una fidejussione bancaria, vengono meno in molti casi». L’Istituto Cattaneo stimava una domanda insoddisfatta di casa a Bologna per circa 6mila famiglie, costrette ad abitare fuori dalla città.

Se da una parte le case stanno tornando sul mercato, dall’altra l’incapacità di pagare gli affitti rischia di consegnarci, dopo l’emergenza, spazi urbani ancora più vuoti di quanto non lo siano oggi. Adesso che il turismo è completamente fermo, i centri di molte città sono vuoti. «A me mancano i vicini di casa, le luci accese nei palazzi, le voci della finestra accanto che non ci sono più perché Firenze, in centro, è stata trasformata in B&B. E quindi ora è vuota. Una tomba», ha scritto in un tweet la giornalista della Fondazione don Lorenzo Milani, Sandra Gesualdi, residente a Firenze. Il giorno successivo, in un’intervista a La Nazione, il sindaco di Firenze Dario Nardella ha detto: «Il centro è diventato fragile. Occorre ripopolarlo, riequilibrare i numeri fra turisti e residenti, e saranno le prime politiche che metterò in campo non appena l’emergenza finirà».

A Bologna, Roma, Milano e Napoli gli affittuari abitano soprattutto nelle zone centrali, dove circa il 25% delle abitazioni è locato sul mercato privato. «Il Comune di Firenze spendeva già quasi 2 milioni di euro l’anno per il contributo all’affitto. Certo, ora la situazione economica del Comune è nera – racconta Laura Grandi – ma sembra che la Regione Toscana istituirà un “Fondo Covid” per erogare in tempi rapidi un sussidio all’affitto per tre mesi». Se alcune regioni si stanno muovendo autonomamente, secondo Massimo Pasquini di Unione Inquilini, occorre però una misura nazionale straordinaria. «Il governo deve istituire un contributo straordinario per l’affitto con il coinvolgimento delle regioni, ma la regia dev’essere nazionale. La modalità di erogazione deve essere inedita: la domanda andrebbe fatta per via telematica e il contributo dovrebbe arrivare entro 20 giorni direttamente ai proprietari». Il modello insomma sarebbe simile a quello che funziona, ordinariamente, in Germania. Unione Inquilini sta tentando di costruire un fronte ampio, che comprenda anche la Lega delle Cooperative e Confedilizia, per far approvare la misura proposta.

«Una semplice sospensione del pagamento dei canoni d’affitto comporterebbe solo uno spostamento in avanti del problema per le famiglie che non riescono a pagare, mentre la crisi economica che stiamo affrontando si prospetta molto lunga. Inoltre è necessario evitare sia che gli inquilini vadano in morosità, sia che ai proprietari venga meno un reddito che per alcuni è importante e rappresenta in questo momento una delle poche fonti di guadagno». Questo il testo di un appello lanciato da “Pensare Urbano” e dalla rete studentesca Link, insieme a Unione Inquilini, per chiedere una misura immediata di sostegno all’affitto.

«Il tema della casa oggi è un tema puramente reddituale: a differenza di 50 anni fa, le case ci sono, è pieno di case vuote: l’ISTAT stima 7 milioni di alloggi non occupati da residenti. Ma ci vuole un intervento pubblico immediato per contrastare il ripetersi degli squilibri che abbiamo visto dopo il 2008. In vista dello scenario di crisi che si prospetta affittuari e proprietari, che in Italia per la maggior parte sono famiglie, vanno tutelati, e il mercato degli affitti brevi andrà regolamentato», osserva Puccini.

Se oggi i proprietari di case potranno beneficiare della sospensione delle rate del mutuo, gli affittuari sono stati dimenticati nei recenti decreti del governo. Ma il tema degli affitti, anche superata l’emergenza coronavirus, sarà sempre più centrale, con la progressiva scomparsa della capacità di acquisto di una casa delle nuove generazioni, sempre più povere. Per questo c’è bisogno di una prospettiva di lungo periodo sul tema degli affitti oltre che di misure pubbliche urgenti per chi non riesce oggi pagare l’affitto. Gioire per l’abbassamento dei canoni e la scomparsa dei turisti, ma lasciare al mercato o alle iniziative individuali la soluzione di un disagio abitativo che rischia soltanto di acuirsi, non ha funzionato in passato e non funzionerà in futuro, né per gli inquilini e né per i proprietari. E neanche per le città.

 

Fonte: Valigia Blu, 3 aprile 2020.