giovedì, Novembre 21, 2024
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Difensori dei diritti umani e ambiente: una risorsa chiave per un futuro sostenibile

di Verdiana Morreale

Nel 2016 Berta Cáceres, leader della comunità indigena dei Lenca in Honduras, fu assassinata per essersi opposta alla costruzione della diga Agua Zarca, solo un anno dopo aver ricevuto il prestigioso Goldman Environmental Prize. Il complesso idroelettrico Agua Zarca, promosso dalla società honduregna Desarrollo Energéticos (DESA) e dalla cinese di proprietà statale Sinohydro, prevedeva la costruzione di dighe sul fiume Gualcarque, che non solo è considerato un fiume sacro, ma è anche vitale per il sostentamento di oltre seicento famiglie che vivono nelle aree circostanti. 

La morte di Berta Cáceres ha segnato un punto di svolta nella vicenda: ha mostrato chiaramente i rischi che affrontano coloro che si oppongono a progetti commerciali che coinvolgono interessi contrastanti. Mentre le aziende multinazionali sviluppano politiche per affrontare le grandi sfide della sostenibilità, il duro e concreto lavoro di garantire i diritti delle comunità e proteggere l’ambiente viene spesso lasciato ai difensori dei diritti umani, privi di potere economico e che si espongono, con le loro lotte, a gravi rischi. Secondo alcune statistiche elaborate dal Business and Human Rights Resource Center (BHRRC), tra il 2015 e il 2022, a livello mondiale i difensori dei diritti delle comunità hanno subito oltre 4.500 attacchi, tra cui omicidi, torture e intimidazioni. 

Chi sono i difensori dei diritti umani? 

I difensori dei diritti umani sono individui o gruppi che si dedicano alla promozione e alla difesa dei diritti umani. La Dichiarazione sui Difensori dei Diritti Umani, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1998, è un importante strumento volto a proteggere e sostenere tali individui e gruppi. La Dichiarazione riconosce il diritto di ogni persona di promuovere e perseguire i diritti umani e di svolgere il proprio lavoro senza paura di persecuzioni, intimidazioni o violenze. 

La Dichiarazione identifica i difensori dei diritti umani come individui impegnati nella promozione e difesa dei diritti umani. La categoria include lavoratori, sindacalisti, giornalisti e avvocati che denunciano violazioni dei diritti umani (Bennet et al, 2015). Tuttavia, i difensori individuali possono assumere forme “non tradizionali”, nel caso di artisti, poeti, accademici, operatori umanitari, professionisti dello sviluppo o persone coinvolte in operazioni di mantenimento della pace (New Tactics in Human Rights Project, 2013; Nah et al., 2013). Anche le organizzazioni a difesa dei diritti umani e ambientali come Greenpeace o Amnesty International, grazie alla natura delle loro attività, possono essere considerate parte di questa definizione. 

Oggi viene attribuita particolare attenzione al ruolo delle comunità indigene nella difesa dei diritti umani. Esse si impegnano attivamente nella salvaguardia delle loro terre, delle loro acque, del loro habitat, della loro cultura e dei loro stili di vita tradizionali. L’importanza di queste comunità nella difesa dei diritti umani è stata riconosciuta a livello internazionale: le Nazioni Unite hanno evidenziato la loro vulnerabilità, ma hanno anche sottolineato il loro contributo alla sostenibilità e l’importanza di coinvolgerle attivamente nella gestione e nella protezione delle risorse naturali da cui dipende la loro esistenza. Inoltre, nel contesto dei cambiamenti climatici, le comunità indigene sono state riconosciute come difensori dei diritti umani grazie alle loro conoscenze tradizionali e alle pratiche di gestione sostenibile delle risorse, che possono offrire importanti soluzioni per la salvaguardia e la ricostruzione ambientale. 

I difensori svolgono un ruolo essenziale nella promozione, nella protezione e nell’attuazione dei diritti economici, sociali e culturali. Monitorando attentamente le violazioni dei diritti umani, essi sono in grado di fornire assistenza alle vittime di abusi e di contestare le politiche pubbliche e le attività di organizzazioni che persistono nel violare gli standard dei diritti umani (OHCHR, 2004).  

I difensori dedicano le loro energie a garantire i diritti delle comunità in cui operano e lavorano attivamente per sostenere una vasta gamma di diritti umani. Tra questi rientrano il diritto alla vita, all’alimentazione, all’acqua, agli standard più elevati di salute, a una casa adeguata, al nome e alla nazionalità, all’istruzione, alla libertà di movimento e alla non discriminazione. Alcuni difensori si concentrano specificamente sui diritti di gruppi sociali particolari, come le donne, i bambini, i popoli indigeni, i rifugiati, le persone sfollate internamente, le persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersex (LGBTQ+), le persone con disabilità e le minoranze linguistiche. Questi difensori operano in tutto il mondo, in contesti che vanno dai paesi in conflitto armato interno alle dittature, fino ai paesi con democrazie più stabili (OHCHR, 2004). 

Quali rischi corrono i difensori dei diritti umani? 

Salvaguardare i diritti umani e ambientali comporta costi altissimi per i difensori, che affrontano numerosi rischi e sono soggetti a una vasta gamma di violazioni, di cui gli omicidi costituiscono solo “la punta dell’iceberg” (Butt et al., 2019). Ci sono prove sempre più evidenti del fatto che i più vulnerabili sono i difensori che denunciano gli abusi perpetrati dalle imprese e dalle grandi multinazionali (Ineichen, 2018).  

Gli abusi contro i difensori includono esecuzioni, torture, percosse, detenzioni arbitrarie, minacce di morte, molestie e diffamazione, nonché restrizioni alla libertà di movimento, espressione, associazione e assemblea (Butt et al., 2019). Le minacce possono essere dirette anche ai familiari e ai colleghi dei difensori e assumere forme sottili e meno brutali come le Strategic Lawsuits Against Public Participation, azioni legali pretestuose e abusive volte a vessare i difensori dei diritti umani per impedire le loro attività e costringerli ad abbandonare le loro lotte.  

Il lavoro dei difensori è esposto anche a diverse minacce non fisiche come il licenziamento dal lavoro, lo sfratto dalle abitazioni, la diffamazione, lo stigma sociale, nonché il trauma e lo stress per essere stati testimoni di abusi e violenze (Dubberly et al., 2015; Knuckey et al., 2018; Nah, 2020; Nah et al., 2013). In altri casi, essi diventano i bersagli specifici di criminalizzazione, attraverso narrazioni che li dipingono come “terroristi” o “criminali” (Glazebrook & Opoku, 2018): come ha affermato Michael Frost, Special Rapporteur delle Nazioni Unite sui difensori ambientali, si tratta di “una strategia chiaramente volta a intimidire e sopprimere la loro difesa dei diritti umani”. Nel caso soprattutto dei difensori provenienti da paesi a basso reddito, la criminalizzazione fa parte di un programma di intimidazione che spesso culmina nel loro assassinio.  

Alcuni studiosi hanno suggerito che le donne impegnate nella difesa dell’ambiente e dei diritti umani siano una categoria particolarmente vulnerabile agli attacchi, ma le considerano anche relativamente più capaci di raggiungere i loro obiettivi di tutela sociale ed ambientale (Tran, 2021). Tuttavia, subiscono minacce specifiche legate al genere, come la violenza sessuale e le molestie, minacce e molestie ai loro figli, la discriminazione sociale per aver sfidato la cultura patriarcale di una comunità e il loro ruolo percepito nella società (Glazebrook & Opoku, 2018). 

Molte organizzazioni non governative internazionali, come Global Witness, Front Line Defenders e il Business and Human Rights Resource Center (BHRRC), hanno segnalato la repressione dei difensori. Il BHRRC monitora gli attacchi legati alle imprese contro i difensori dal 2015: tra il 2015 e il 2022 ha documentato più di 4.500 attacchi ma, poiché molti attacchi e abusi non vengono segnalati, è probabile che si tratti di una sottostima. 

Diversi studi analizzano le circostanze in cui i difensori sono esposti a maggiori rischi e concludono che gli omicidi dei difensori sono più comuni nei paesi a medio reddito con regimi semi-autoritari, alti livelli di corruzione, uno stato di diritto debole e una storia recente di conflitti armati o conflitti legati allo sfruttamento delle risorse (Butt et al., 2019; Le Billon & Lujala, 2020). Tali attacchi sono agevolati da un clima di impunità che circonda i responsabili, dalla mancanza di meccanismi efficaci di protezione – come un sistema giudiziario efficiente – e da collusioni politiche, economiche e militari (Middeldorp & Le Billon, 2019).  

Secondo il BHRRC, la metà di questi attacchi si verificano in paesi come Honduras, Filippine, Colombia, Messico e Guatemala. I settori maggiormente colpiti sono quelli estrattivi e quelli correlati alle energie rinnovabili. Il 70% dei difensori colpiti proviene da paesi con libertà democratiche limitate o restrittive (CIVICUS Monitor). 

Imprese e difensori dei diritti umani: quale futuro sostenibile? 

In un momento in cui il nostro pianeta e i suoi abitanti si trovano di fronte alla sfida più critica e complessa della propria storia, ossia il cambiamento climatico, i difensori dei diritti umani e ambientali si trovano in prima linea nella protezione degli habitat naturali e nell’affrontare la crisi del clima. In particolare, le popolazioni indigene sono tra i primi gruppi a sperimentare le conseguenze dirette del cambiamento climatico, nonostante abbiano contribuito molto poco alle sue cause. Tali conseguenze esasperano le sfide che le comunità indigene si trovano da tempo ad affrontare, tra cui la marginalizzazione politica ed economica, la perdita dei mezzi di sussistenza, l’insicurezza alimentare, lo sfollamento, la discriminazione, la disoccupazione e la minaccia alle proprie pratiche culturali e alla coesione sociale. 

Oggi ci troviamo in una situazione per certi aspetti paradossale, in cui gli obiettivi di sostenibilità aziendale e il perseguimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite dipendono dall’adozione di una serie di attività globali basate su principi (van Zander & van Tulder, 2018). Al contempo, la vera e concreta difesa dei territori è affidata a individui e comunità che, sebbene privi di potere economico, sono in grado di acquisire un notevole potere sociale e di ottenere un ampio consenso e supporto. 

La crisi climatica che stiamo affrontando richiede un’azione urgente e coraggiosa da parte di tutte le componenti della società. In questo contesto, i difensori dei diritti umani e ambientali giocano un ruolo fondamentale nel proteggere le comunità e gli ecosistemi vulnerabili. La letteratura su imprese e i diritti umani ha fornito preziose informazioni sulle reazioni delle aziende agli abusi dei diritti umani, ma ha trascurato l’analisi delle azioni e delle emozioni dei loro leader: gli amministratori delegati. È essenziale concentrarsi sugli individui che stanno “dietro” le decisioni aziendali e sulle loro reazioni di fronte ai conflitti sociali e ambientali. Solo considerando l’aspetto umano, possiamo comprendere appieno l’impatto delle scelte degli amministratori delegati e il potenziale di cambiamento che possiedono. 

In conclusione, è fondamentale considerare attentamente le azioni dei dirigenti aziendali e l’impatto delle loro decisioni sulle comunità indigene e sull’ambiente quando si discute delle attività delle imprese. Il caso di Berta Cáceres, difensore indigena dei diritti umani che ha sacrificato la sua vita nella lotta per la protezione delle comunità indigene e dell’ambiente, ci ricorda quanto sia importante dare voce a coloro che sono direttamente colpiti dalle attività delle imprese. Dobbiamo promuovere una maggiore consapevolezza e responsabilità rispetto a tali questioni, riconoscendo e sostenendo il coraggio dei difensori dei diritti umani e ambientali, affinché possano continuare il loro lavoro per un futuro sostenibile e giusto. Solo attraverso una collaborazione autentica e un impegno condiviso saremo in grado di affrontare con successo la crisi climatica e garantire un mondo vivibile per le generazioni presenti e future. 

Verdiana Morreale è dottoranda in Sustainable Development and Climate Change allo IUSS di Pavia e membro del Responsible Management Research Centre dell’Università di Pisa.