domenica, Dicembre 22, 2024
Conflitti

Considerazioni sul No First Use of Nuclear Weapons

di Francesco Lenci

 

Un Paese nucleare che adottasse una Politica di Non Primo Uso (No First Use Policy, NFU Policy) delle armi nucleari si impegnerebbe a non usar per primo le proprie armi nucleari in nessuna circostanza, contro nessun Paese, in possesso di armi nucleari o no. Una scelta di questo genere sarebbe di grande importanza perché escluderebbe categoricamente la possibilità di un primo colpo disabilitante, confermerebbe l’impegno del Paese che la adotta a rafforzare il regime di non proliferazione nucleare, ridurrebbe gli incentivi di Paesi non nucleari ad acquisire armi nucleari, diminuirebbe i rischi di guerra nucleare per errore o per calcoli sbagliati e renderebbe non necessari i continui ammodernamenti dei sistemi d’arma oggi perseguiti da tutti i Paesi nucleari.

La Cina ha adottato nel 1964, e riconfermato anche nel 2019, la sua NFU Policy. Secondo diversi osservatori questa NFU Policy della Cina è meramente dichiaratoria, ma il fatto che nell’arsenale cinese le testate vengano tenute separate dai missili (cosa che non accade negli arsenali russo e americano) rafforza la credibilità di una scelta che esclude un attacco di sorpresa e un primo colpo disabilitante. I missili intercontinentali (ICBM) cinesi, infatti, non sono “in stato di allerta” e i tempi necessari per “armare” i sistemi di lancio con le testate non solo non permetterebbero un attacco di sorpresa ma escluderebbero anche la possibilità di scatenare una immediata rappresaglia devastante a seguito di un possibilmente falso allarme (lancio su allarme). È bene ricordare che l’opzione “lancio su allarme”, rispetto a quella “lancio su attacco” è diffusamente considerata possibile causa di una guerra nucleare per errore.

L’Amministrazione Obama si impegnò molto nel tentare di ridurre il ruolo delle armi nucleari nella strategia di difesa degli Sati Uniti, in particolare nella Nuclear Posture Review (il documento nel quale il Presidente degli Stati Uniti delinea la propria politica/strategia nucleare e di difesa del Paese e dei suoi alleati) del 2010. In quel documento veniva esclusa la possibilità di usare armi nucleari se non in circostanze estreme che mettessero in pericolo il Paese o se attaccati con armi nucleari, riaffermando che lo scopo principale dell’arsenale nucleare americano era quello di dissuadere. Non va dimenticato che Obama nel suo discorso a Praga nel 2009 auspicava un mondo libero da armi nucleari. Obama, non riuscì, comunque, a far adottare agli Stati Uniti una NFU Policy.

Nella Nuclear Posture Review dell’Amministrazione Trump del 2018, invece, veniva testualmente stabilito: “Gli Stati Uniti considererebbero l’impiego di armi nucleari solo in circostanze estreme per difendere gli interessi vitali degli Stati Uniti, dei suoi alleati e partner. Estreme circostanze potrebbero includere significativi attacchi strategici non nucleari. Significativi attacchi strategici non-nucleari includono, ma non esauriscono, attacchi contro popolazione civile o infrastrutture degli USA, alleati o partner, e attacchi a forze nucleari statunitensi o alleate, e loro strutture di comando e controllo, ovvero di preavviso e di valutazione degli attacchi ”. Non solo si esclude qualunque forma di NFU Policy, ma si precisa che le armi nucleari americane devono essere “flessibili” e flessibilità significa avere la gamma appropriata e il mix di capacità nucleari e di altro tipo richieste per adattare le strategie di deterrenza ora e in futuro e per soddisfare gli altri ruoli delle armi nucleari per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. La flessibilità deve affrontare uno spettro di avversari e minacce e consentire modifiche nel tempo”. E questo significa contemplare l’uso di armi nucleari sul campo di battaglia, e, a questo fine, sviluppare nuovi tipi di armi nucleari, non escludendo la possibilità di effettuare nuovi test, rendendo così ancora più difficile e lontana l’entrata in vigore del Trattato che bandisce tutti i test nucleari (Comprehensive Test Ban Treaty, CTBT). Altro che la consapevolezza della impossibilità di vincere una guerra nucleare e la determinazione a non combattere mai una guerra nucleare dei colloqui di Reagan e Gorbachev del 1986 o i già citati auspici di Barack Obama nel 2009 di arrivare a un mondo libero da armi nucleari.

Con l’avvento dell’Amministrazione Biden la situazione è decisamente cambiata. Già nel 2017, l’allora Vice Presidente Joe Biden dichiarò “difficile da immaginare un plausibile scenario nel quale il primo uso di armi nucleari da parte degli Stati Uniti sia necessario o abbia alcun senso”.

Il 15 Aprile scorso la Senatrice Elizabeth Warren e il Chairman dell’ House Armed Services Committee Adam Smith hanno reintrodotto il “No First Use Act” che, se diventasse legge, ridurrebbe in maniera decisa il rischio di conflitto nucleare obbligando gli Stati Uniti a non usare mai per primi le armi nucleari in caso di conflitto o di crisi (Chairman Smith, Senator Warren Introduce “No First UseBill for Nuclear Weapons – Press Releases – Congressman Adam Smith).

Può l’adozione di una NFU Policy da parte degli Stati Uniti indurre l’altra unica superpotenza, la Russia, a fare altrettanto e costituire così un primo passo verso il mondo libero da armi nucleari?

Era il sogno di Joseph Rotblat, oggi è l’obiettivo del Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari (Teaty on Prohibition of Nuclear Weapon, TPNW) entrato in vigore lo scorso 22 Gennaio e un “imperativo morale e umanitario” secondo Papa Francesco (Paragrafo 262, Enciclica Fratelli tutti).

 

Francesco Lenci è Senior Fellow del Centro Interdisciplinare Scienze per la Pace dell’Università di Pisa, membro del Council of Pugwash Conferences, già Direttore dell’Istituto di Biofisica del CNR e Segretario Generale dell’Unione Scienziati per il Disarmo (USPID), per cui attualmente è parte del Consiglio Scientifico.