Come può l’Azerbaigian ospitare la COP29 sul clima e parlare di pace?
Greta Thunberg, promotrice degli scioperi per il clima che hanno dato vita al movimento mondiale del Fridays For Future, è intervenuta su The Guardian per far riflettere su quanto sia problematica la scelta di svolgere il vertice mondiale per il clima in Azerbaigian: un paese che fonda la propria economia sull’estrazione e la vendita di combustibili fossili, che reprime il dissenso, che è accusato di crimini di guerra e di atti di pulizia etnica ai danni degli armeni, che vende il proprio petrolio a Israele, alimentando la macchina del genocidio in corso a Gaza. Già in passato Greta Thunberg ha denunciato come i vertici dei paesi aderenti alla Convenzione delle Nazioni Unite contro il cambiamento climatico fossero del tutto incapaci di prendere decisioni, drastiche ma necessarie, per contenere l’aumento delle temperature medie sotto gli 1,5° C. Così come ha denunciato più volte il rischio che questi eventi venissero trasformati in uno strumento di greenwashing, attraverso cui i governi potevano far credere ai propri cittadini e alle proprie cittadine di agire contro la crisi climatica e di volerne mitigare gli effetti. Questo intervento, breve ma puntuale, merita di essere meditato anche per il legame essenziale che stabilisce tra la giustizia climatica e ogni altra forma di giustizia, invitando a far convergere le rivendicazioni e le lotte per una società emancipata da ogni forma di dominio: “Genocidi, ecocidi, carestie, guerre, colonialismo, aumento delle disuguaglianze e un crescente collasso climatico sono tutte crisi interconnesse, che si rafforzano a vicenda e portano a sofferenze inimmaginabili”.
di Greta Thunberg
In un periodo di rapida escalation delle crisi climatiche e umanitarie, un altro petrostato autoritario e che non rispetta i diritti umani ospita la COP29, l’ultimo vertice annuale delle Nazioni Unite sul clima che si tiene dall’11 al 22 novembre, il primo dopo la rielezione di un presidente degli Stati Uniti negazionista del cambiamento climatico.
Le riunioni della COP [Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, ndr] si sono rivelate conferenze di greenwashing che legittimano i fallimenti dei paesi nel garantire un mondo e un futuro vivibili, e che hanno anche permesso a regimi autoritari come l’Azerbaigian e i due precedenti ospiti – gli Emirati Arabi Uniti e l’Egitto – di continuare a violare i diritti umani.
Genocidi, ecocidi, carestie, guerre, colonialismo, aumento delle disuguaglianze e un crescente collasso climatico sono tutte crisi interconnesse che si rafforzano a vicenda e portano a sofferenze inimmaginabili.
Mentre si susseguono le crisi umanitarie in Palestina, Yemen, Afghanistan, Sudan, Congo, Kurdistan, Libano, Baluchistan, Ucraina, Nagorno-Karabakh/Artsakh e in molti altri luoghi, l’umanità sta anche superando il limite di 1,5°C nell’innalzamento delle temperature medie a causa delle emissioni di gas serra, senza che si intraveda alcuna riduzione reale. L’anno scorso, infatti, le emissioni globali hanno raggiunto il loro massimo storico.
I record di calore sono stati infranti e quest’anno è “praticamente certo” che sarà l’anno più caldo mai registrato, con eventi meteorologici estremi senza precedenti che stanno spingendo il pianeta in un territorio inesplorato. La destabilizzazione della biosfera e degli ecosistemi naturali, da cui dipendiamo per la nostra sopravvivenza, sta portando a indicibili sofferenze umane, accelerando ulteriormente l’estinzione di massa di flora e fauna.
L’intera economia dell’Azerbaigian si basa sui combustibili fossili. Le esportazioni di petrolio e gas della compagnia petrolifera statale Socar rappresentano quasi il 90% delle esportazioni del paese. Nonostante quanto possa affermare, l’Azerbaigian non ha alcuna reale intenzione di intraprendere azioni per il clima. Sta pianificando l’espansione della produzione di combustibili fossili, cosa del tutto incompatibile con il limite di 1,5°C [superato il quale la maggioranza degli scienziati ritiene che verifichino alterazioni irreversibili del clima sulla Terra, ndr] e con gli obiettivi dell’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici.
Molti partecipanti alla COP di quest’anno hanno paura di criticare il governo dell’Azerbaigian. Human Rights Watch ha recentemente pubblicato una dichiarazione in cui spiega che non si può essere certi che i diritti dei partecipanti a protestare pacificamente saranno garantiti. Inoltre, le frontiere terrestri e marittime dell’Azerbaigian rimarranno chiuse durante la COP29, rendendo possibile l’ingresso e l’uscita dal paese solo per via aerea, un mezzo che causa inquinamento e che molti cittadini azeri non possono permettersi. La ragione addotta per la chiusura delle frontiere in tutte le COP, dall’inizio della pandemia di Covid, è quella di mantenere la “sicurezza nazionale”, ma ho sentito molti azeri descrivere la situazione come se fossero “tenuti in prigione”.
Il regime dell’Azerbaigian è colpevole di pulizia etnica, blocchi degli aiuti umanitari e crimini di guerra, oltre a reprimere la propria popolazione e la società civile del paese. L’osservatorio indipendente Freedom House classifica il paese come lo Stato meno democratico d’Europa, con il regime che prende attivamente di mira giornalisti, media indipendenti, attivisti politici e civici, difensori dei diritti umani. L’Azerbaigian, inoltre, rappresenta circa il 40% delle importazioni annuali di petrolio di Israele, alimentando così la macchina da guerra israeliana e rendendosi complice del genocidio in Palestina e dei crimini di guerra di Israele in Libano. I legami tra Azerbaigian e Israele sono reciprocamente vantaggiosi, poiché la maggior parte delle armi utilizzate dall’Azerbaigian durante la seconda guerra del Nagorno-Karabakh e probabilmente quelle utilizzate nell’operazione militare del settembre 2023 nella regione del Karabakh, sono state importate proprio da Israele.
La “COP of peace” è uno dei temi scelti per la conferenza sul clima di quest’anno dal padrone di casa, che vuole incoraggiare gli Stati a osservare una sorta di “tregua”. È a dir poco straziante parlare di pace globale dopo le terribili violazioni dei diritti umani commesse dal regime azero di Aliyev contro la popolazione armena che vive nella regione del Nagorno-Karabakh/Artsakh. Inoltre, l’Azerbaigian sta progettando di rendere “ecologici” i suoi crimini contro gli armeni, costruendo una “Zona energetica verde” nei territori dove la popolazione è stata allontanata con metodi di “pulizia etnica”.
Come è arrivato questo paese ad ospitare il summit mondiale sul clima? Sarebbe stato il turno dell’Europa dell’Est. Ma la Russia ha posto un veto sugli Stati membri dell’Unione Europea, per cui le opzioni erano soltanto l’Armenia o l’Azerbaigian. L’Armenia ha tolto il veto all’Azerbaigian e ha appoggiato la sua candidatura in cambio di un rilascio di prigionieri, sebbene un gran numero di prigionieri politici armeni sia ancora detenuto. L’anno scorso, il critico del regime Gubad Ibadoghlu è stato imprigionato dopo aver criticato l’industria dei combustibili fossili dell’Azerbaigian. Tra gli altri prigionieri politici figurano l’attivista per la pace Bahruz Samadov, il ricercatore in materia di minoranze etniche Iqbal Abilov, gli attivisti politici Akif Gurbanov e Ruslan Izzatli e alcuni giornalisti.
Nel frattempo, l’UE continua ad acquistare combustibili fossili dall’Azerbaigian e prevede di raddoppiare le importazioni di gas fossile dal paese entro il 2027.
La crisi climatica riguarda tanto la tutela dei diritti umani quanto la protezione del clima e della biodiversità. Non si può affermare di avere a cuore la giustizia climatica se si ignorano le sofferenze dei popoli oppressi e colonizzati di oggi. Non possiamo scegliere di chi occuparci, tra le vittime di violazioni dei diritti umani, e chi invece lasciare indietro. Giustizia climatica significa giustizia, sicurezza e libertà per tutte e tutti.
Durante la COP29 l’immagine dell’Azerbaigian riportata dai media sarà una versione ripulita, colorata dal “verde” che il regime cerca disperatamente di rappresentare. Ma non illudetevi: si tratta di uno Stato repressivo, accusato di pulizia etnica. Abbiamo bisogno di sanzioni immediate contro il regime di Baku e di bloccare l’importazione di combustibili fossili azeri. Occorre inoltre esercitare pressioni diplomatiche sul regime affinché rilasci gli ostaggi armeni e tutti i prigionieri politici, e garantisca agli armeni il diritto a un ritorno sicuro.
[traduzione di Saverio Solimani].
Fonte: The Guardian, 11 novembre 2024.