Breve storia del popolo Guaraní e della sua resistenza
di Fabio Macchioni
Prima della Conquista la grande famiglia Tupi-Guaraní occupava un vasto territorio, che comprendeva gran parte della Bolivia e numerosi territori del Brasile, del Paraguay e dell’Argentina. Nello stesso territorio vivevano molti altri popoli: sembra comunque certo che i Guaraní siano arrivati a esercitare, col tempo, un certo predominio su di loro. Scoperte archeologiche attestano l’esistenza di questo gruppo a partire dal V secolo d.C., con caratteristiche che lo distinguono chiaramente da altri gruppi della stessa linea linguistica.
Sbarcati nel 1492 in America Centrale, tra il 1519 e il 1521 gli spagnoli sconfissero gli Aztechi e conquistarono buona parte dell’attuale Messico con un piccolo esercito comandato da Hernán Cortés. La Cordigliera delle Ande, però, non fu conosciuta dagli europei almeno fino al 1520, quando ne iniziò l’esplorazione e la graduale conquista. Dopo diversi tentativi infruttuosi, nel 1531 Francisco Pizarro avviò da Panama una spedizione verso le coste sudamericane del Pacifico che avrebbe portato, nel giro di pochi anni, alla sottomissione dell’Impero Inca, approfittando della guerra in corso per la successione al trono e della disponibilità spagnola di cavalli e armi d’acciaio, ignote alle popolazioni indigene, e alla diffusione di malattie ignote nel continente.
Dopo la vittoria sugli Inca, gli spagnoli intendevano proseguire con la conquista di altri popoli da mettere al servizio del re di Spagna, il che significava per le popolazioni locali non solo pagare tributi, ma anche lavorare in condizioni di semi-schiavitù nelle miniere e negli opifici. Dopo una prima fase, in cui i Guaranì cercarono di convivere con i nuovi vicini spagnoli, le intenzioni di dominio dei conquistatori divennero evidenti, puntando all’assoggettamento di tutti i popoli della Cordigliera e all’appropriazione dei loro territori, secondo molte leggende ricchi di oro e di altri metalli preziosi.
Col passar del tempo in particolare i Chiriguanos (nome con cui ci si riferisce agli antenati degli abitanti della Cordigliera) tentarono di evitare relazioni che li facessero dipendere dagli spagnoli. Questi tentarono di tutto – regali, inviti, atti di riguardo, minacce – per indurli a pagare il tributo dovuto al re di Spagna in metalli preziosi o in altri beni, e a sottomettersi al sistema della encomienda, l’istituzione giuridica e socio-economica mediante la quale i conquistatori governavano e sfruttavano i territori colonizzati. All’interno di ogni encomienda gli indigeni, ridotti a sudditi della Corona, avrebbero dovuto lavorare al servizio di un proprietario spagnolo, per ricevere in cambio un’istruzione religiosa e il minimo vitale per sopravvivere.
Gli spagnoli, non potendo costruire presidi militari o città sulla Cordigliera boliviana, costruirono i propri insediamenti lungo la frontiera in modo da accerchiare i Chiriguano. Se è vero che la maggior parte dei capi chiriguani non intendevano sottomettersi, non tutti nella popolazione condividevano questa posizione: per questo motivo, in molti casi, le risposte alle pretese e alle mire coloniali spagnole furono varie e contraddittorie tra loro. Alcuni si vendettero agli spagnoli per denaro, altri preferirono abbandonare i propri territori senza lottare. C’erano poi i Mokoirova che in alcune circostanze si alleavano con gli spagnoli, e in altre invece con la propria gente: questi cambi di fronte, però, potevano risultare molto pericolosi.
Una parte importante della popolazione scelse comunque la resistenza agli spagnoli per amore della libertà e operarò con fedeltà e coerenza a favore delle proprie comunità. Così si arrivò allo scontro aperto, visto che i Chiriguano intendevano difendere i loro diritti con le armi. Una delle forme di guerra, chiamata in spagnolo correrías, era combattuta dai singoli gruppi locali. Per i kerimba (guerrieri) guaranì las correrias erano un modo per dimostrare il proprio valore e la propria superiorità. Un altro modo di lottare contro i colonialisti, detto in spagnolo guerras generales, erano il risultato di varie alleanze con altri gruppi della Cordigliera, finalizzate all’unità del popolo chiriguano. Le motivazioni della resistenza erano umane e politiche, ma erano anche profondamente religiose. Gli attacchi erano preceduti da grandi assemblee e rituali guidati dagli ipaje, gli sciamani.
Le guerre di resistenza durarono molti anni, durante i quali gli spagnoli realizzarono ripetute spedizioni per tentare di conquistare la Cordigliera. Tra il 1616 e il 1620 si insediò nell’area il generale spagnolo D. Ruy Diaz de Guzmán, che si fece nominare governatore del territorio chiriguano: alla fine, però, anche Guzmán fu scacciato dagli indigeni. Di fatto il conflitto proseguì fino al 1735 quando, dopo che i chiriguano inflissero svariati attacchi alle tenute spagnole lungo la frontiera di Tarija Tomina e Santa Cruz, i due popoli non giunsero a una tregua.
La storia della penetrazione coloniale e della resistenza dei Guaranì si è intrecciata con l’opera dei missionari cattolici nella zona della Cordigliera, i primi dei quali arrivarono alla fine del XVI secolo. Nel corso del secolo successivo le attività dei missionari si rafforzarono, anche dopo la morte di alcuni francescani e gesuiti, fino a che venne fondata una Casa centrale di missionari a Tarija nel 1690. Un’ulteriore fase della penetrazione missionaria nella regione può essere collocata tra il 1762 e il 1767, quando i francescani fondarono varie altre missioni nella parte di Chuquisaca, Tarija, Avapo, Masavi-Saipuru e Gran Parapetí.
Lo scopo dei missionari era quello di convertire gli indigeni alla fede cristiana senza ricorrere alla violenza: a questo scopo ritenevano utile concentrarli in villaggi chiamati riduzioni, dove insegnavano loro il catechismo e i doveri religiosi, ma anche l’aritmetica, e promuovevano lo sviluppo dell’agricoltura e l’allevamento del bestiame.
In molte occasioni gli indigeni rifiutavano il legame con i missionari, anche perché nelle loro comunità disponevano di risorse sufficienti per vivere liberi e indipendenti. Inoltre, si richiedeva loro la monogamia, che i capi chiriguano non praticavano. Al tempo stesso, i proprietari delle aziende agricole spingevano a che i missionari educassero i chiriguano per poi farne peones e servi.
Generalmente i missionari erano ben accetti. Quando questi giungevano nelle comunità indigene i Guaraní si riunivano in assemblee per valutare se lasciarli insediare o meno. Se però rimanevano più del tempo ritenuto strettamente necessario per la predicazione, sorgevano tra i nativi dubbi e sospetti alimentati dagli sciamani, che vedevano minacciato il loro potere all’interno della comunità e li consideravano veicolo della colonizzazione spagnola.
L’indipendenza dalla Spagna e la nascita, nel 1825, della Repubblica Boliviana non influenzò positivamente la vita dei popoli indigeni. Anche se nei primi anni della neonata repubblica i Guaranì godettero di una certa autonomia, il processo di conquista iniziato con la colonizzazione spagnola proseguì. A partire dal 1840 i karai (gli uomini bianchi) provenienti dai villaggi di frontiera iniziarono nuovamente a invadere la Cordigliera: le guerre nell’area si susseguirono senza soluzione di continuità fino al 1892.
I primi governi repubblicani avevano il progetto di restituire terra e dare istruzione ai popoli indigeni, di ridurre le imposte e di sopprimere la servitù delle comunità indigene della Cordigliera. Questi progetti rimasero però sulla carta, nella misura in cui si scontrarono con gli interessi materiali delle autorità locali e dei proprietari delle aziende agricole che, con la nascita del nuovo stato, non erano affatto cambiati e continuavano a esercitare una forte influenza a livello nazionale.
La zona della Cordigliera venne suddivisa in tre dipartimenti – Santa Cruz, Chuquisaca e Tarija – e i Chiriguani furono costretti a subire numerose violenze e ingiustizie: molti dovettero abbandonare le loro terre, concentrandosi in aree sempre più ristrette e isolate. Vennero in gran parte obbligati a diventare peones delle aziende allevatrici di bestiame. Le donne e i bambini diventarono proprietà di fatto di famiglie importanti delle città e dei centri di Tarija, Chuquisaca e Santa Cruz. Molte comunità si dispersero o scomparvero.
Nonostante le gravi difficoltà, numerose furono le battaglie intraprese in quei decenni dai popoli indigeni in difesa dei propri diritti, a partire dal diritto stesso all’esistenza. Tra i molti episodi di questa ultima fase di resistenza, si ricordano quella del Chimeo (1825), la grande ribellione di Parapetí (1849), la guerra del 1874-1875, fino all’ultima guerra di Kurujuky (1892). Nel corso di quest’ultima, il 28 gennaio, 5.000 indigeni affrontarono l’esercito boliviano e, dopo molte ore di combattimento, subirono una tremenda sconfitta, seguita da un vero e proprio massacro: i sopravvissuti diventarono schiavi al servizio dei bianchi che si erano impossessati delle loro terre.
La guerra del 1874 iniziata a Huacaya è stata, probabilmente, la più grande ribellione della storia guaranì. Guidati dal Mburuvicha Chindare, ventimila kerimba si riunirono per riconquistare la propria indipendenza ed espellere, una volta per tutte, gli uomini bianchi dalla Cordillera. Riuscirono a conquistare molti territori ma non furono capaci di occupare Macharetì e Iguembe, città strategiche, a causa dell’arrivo di numerosi soldati boliviani della provincia di Acero. Durante uno di questi scontri un bambino di sette anni di nome Apiaguaiki, destinato a un importante futuro, perse la madre quando un gruppo di Guaraní fu crudelmente assassinato a Monteagudo: in questo massacro morirono circa 20 famiglie, quasi cento persone, in maggioranza donne e bambini.
Il piccolo Apiaguaiki, testimone del massacro, fu messo in salvo da un anziano della comunità di Mburukuiati, che nel tempo riuscì a insegnargli l’arte sciamanica, profetica e bellica. In poco tempo il giovane Apiaguaiki si rese così famoso nella zona, sia per le sue grandi qualità di ipaye, sia per la sua visione ispirata a principi di libertà, che ottenne il titolo di “Tumpa”, riservato agli esseri consacrati e dotati di particolari qualità spirituali. La lotta per la terra e la dignità continuava: sarà Apiaguiki il “Tumpa” a condurre le battaglie più importanti alla fine dell’Ottocento, fino alla tragica conclusione della sua vita.
Il 6 gennaio i guerrieri Guaraní occuparono la città di Cuevo e invasero le proprietà terriere della zona di Camiri, Lagunillas, Alto Parapetì, Charagua, Ñankaroinsa, Karatindi e altre. Un trattato di pace, proposto dai bianchi il 31 dicembre, era stato rigettato perché il Corregidor di Cuevo aveva violentato e ucciso la cugina del mburuvicha (capo) di Ivo. Questo orrendo crimine aveva anticipato la ribellione, fissata per i giorni del carnevale, all’inizio di febbraio.
La mattina del 28 gennaio alla testa di 6000 kerimba c’erano tutti i più importanti mburuvicha guaranì (Chavaku, Nambi, Kusarai, Guarerai, Ayaguariku, Mbokarape, Guirakota II, Tengua e molti altri) capeggiati da Apiaguaiki il “Tumpa”. Sotto il comando del generale Gonzales i soldati boliviani attaccarono Kuruyuki: una lotta impari, condotta in una distesa pianeggiante, senza vegetazione alta che potesse riparare i kerimba. Fucili e cannoni contro archi e frecce. Dopo molte ore di combattimento cruento circa 600 guerrieri guaranì morirono, più di altri cento prigionieri furono fucilati sul posto.
Apiaguaki riuscì a salvarsi e nascondersi ma, tradito da Guarerai (uno dei mburuvicha guaraní), fu catturato dopo due mesi. Venne torturato crudelmente e dopo essere stato legato per due giorni a un palo nella piazza di Monteagudo, il 29 marzo 1892 venne ucciso.
Se all’inizio del 1760 la popolazione guaranì contava almeno 200.000 unità, nel 1912 queste erano appena 26.000 in tutta la Cordigliera. Tra il 1931 e il 1935, nella guerra del Chaco, fra morti feriti, e prigionieri sparirono dalla Cordigliera altri 15.000 Guaraní. Come conseguenza di questa dura sconfitta, il ricordo stesso della storia del popolo si è quasi perduto: i padri avevano paura o si vergognavano di narrare ai propri discendenti le sventure sofferte. Così, col passare del tempo, le nuove generazioni hanno cancellato gli importanti eventi della fiera resistenza che aveva, alla fine, dovuto cedere al dominio coloniale.
Da allora il popolo Guaranì ha continuato a vivere umiliazioni ed emarginazione, lasciato senza terra, in condizioni di estrema povertà. Negli ultimi decenni, grazie al lavoro portato avanti da alcuni Francescani Toscani, con il sostegno di varie associazioni, del Vicariato e dello Stato, sono stati avviati processi di emancipazione soprattutto attraverso programmi nel campo della salute, dell’istruzione e della produzione locale di beni necessari.
In questo contesto, negli anni ‘80 del secolo scorso, è stata fondata la scuola “Tekove Katu” a Gutierrez, nel Chaco boliviano: il fondatore della scuola è stato un frate francescano di origine italiana, padre Tarcisio Dino Ciabatti, che da allora lotta al fianco del popolo Guaranì, per la loro dignità e la liberazione dalla miseria.
La Scuola Tekove Katu è una delle tante articolazioni pratiche del “Convenio de salud”. Il “Convenio” o Convenzione è un accordo tra il Ministero della Salute boliviano e il Vicariato Apostolico di Camiri, nel sud-est del paese, che promuove e cura vari progetti sanitari ed educativi, garantendo anche l’assistenza di base, fino a pochi anni fa inesistente, alle popolazioni Guaranì nel Chaco boliviano.
Dagli inizi a oggi, la scuola si è sviluppata e perfezionata: decine di ragazzi si sono diplomati e molti di loro adesso esercitano la propria professione nelle varie comunità. Per rispondere ai bisogni della prevenzione, dell’assistenza e della difesa della salute, primo passo è proprio la formazione di un personale capace di identificarsi con la propria gente e con la propria cultura, bilingue e interculturale.
I corsi più importanti riguardano la salute ambientale, l’infermieristica, le attività del laboratorio di analisi, la formazione degli operatori sociali. Dalla fine degli anni 1980 a oggi, diverse attività di ricerca sono state promosse da padre Ciabatti, tra le istituzioni sanitarie locali e le équipe internazionali nel campo delle malattie trasmissibili e non trasmissibili dell’Università di Firenze, a cui in seguito si sono affiancate altre università Italiane, tra cui anche l’Università di Pisa. Un contributo importante per risarcire, almeno in parte, la distruzione coloniale del popolo Guaranì e ricostruire relazioni di pace tra i popoli.
Fabio Macchioni è ricercatore presso il Dipartimento di Scienze veterinarie dell’Università di Pisa e da anni collabora in progetti sanitari in Bolivia in qualità di parassitologo.
Il testo riprende e modifica contenuti del libro di Ivan Nasini, Historia de los Pueblos Indigenas en America y Bolivia (2002), direttore del Teko Guaraní e del libro del Centro de Investigación y Promoción del Campesinado (Cipca), Nuestra Historia. Los guaraní-chiriguano (1989).