Amnesty International: l’ultimo rapporto sullo stato dei diritti umani nel mondo
di Elisa Bontempo e Alice Piccinno
Amnesty International ha da poco pubblicato il suo report annuale, intitolato “The State of the World’s Human Rights”, in cui vengono presentate le tendenze e le criticità principali in materia di diritti umani emerse nel corso del 2023.
Nell’anno trascorso, secondo Amnesty International, si è registrato un incremento complessivo degli abusi e delle violazioni dei diritti umani nel mondo. I conflitti armati sono aumentati di numero e intensità. Vari governi nel mondo limitano e reprimono la libertà di espressione e di riunione. I bisogni e i diritti fondamentali di gruppi particolari della popolazione – donne, persone LGBTQIA+, migranti, minoranze nazionali – sono meno riconosciuti e garantiti.
All’interno del report vengono analizzate, in particolare, quattro questioni che rendono evidenti queste tendenze globali.
Violazioni del diritto internazionale umanitario e dimensione razziale nei conflitti armati
Nei conflitti armati contemporanei, i civili sono sempre più spesso considerati “sacrificabili” rispetto agli obiettivi militari, violando così i principi di distinzione, di proporzionalità e di precauzione su cui si fonda il diritto internazionale umanitario. Inoltre la violenza armata è, in vari casi, razzialmente motivata. Mentre il sistema internazionale, ostacolato da doppi standard e rivalità tra le grandi potenze, fallisce nel suo ruolo di prevenire i conflitti e tutelare i diritti umani, mancando di azioni immediate ed efficaci.
Amnesty ha registrato, nel corso del 2023, un elevato numero di violazioni del diritto internazionale umanitario, ovvero di quella parte del diritto internazionale finalizzato a proteggere la popolazione civile e porre un limite all’uso della violenza armata. Ad esempio, in molti conflitti, sono state impiegate armi ad alto potenziale su aree densamente popolate.
La Russia, nel corso della guerra di aggressione all’Ucraina, ha compiuto attacchi indiscriminati contro zone abitate e infrastrutture civili. In Sudan, lo scontro per il potere in corso tra l’esercito e le milizie ha provocato migliaia di morti e milioni di sfollati. In Palestina, dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, le autorità israeliane hanno imposto un “assedio totale” sulla Striscia di Gaza, abitata da più di 2,3 milioni di persone, riducendo drasticamente l’accesso di cibo e medicine, e hanno condotto attacchi indiscriminati sui centri abitati: nonostante i numerosi appelli al cessate il fuoco molti governi, tra cui quello statunitense, hanno continuato a sostenere Israele dal punto di vista politico e militare.
In vari contesti, la violenza armata è motivata e aggravata da posizioni di fatto “razziste”. Nei Territori Palestinesi Occupati da Israele, ad esempio, vige un sistema di apartheid che discrimina e opprime la popolazione palestinese, sottoposta a un regime legale speciale, che provoca segregazione territoriale e impedisce l’esercizio di numerosi diritti fondamentali. Anche in altri conflitti, come in Etiopia, Myanmar e Sudan, si osservano casi di discriminazione etnica.
Anche nel trattamento delle persone in fuga da conflitti e crisi umanitarie pesa, secondo Amnesty, una differenza di trattamento dai tratti razzisti: mentre l’Unione Europea ha promosso importanti misure di accoglienza per gli ucraini che hanno lasciato il paese, nei confronti di altri gruppi, come gli afghani e i siriani, ha adottato politiche decisamente più restrittive.
La risposta della comunità internazionale all’uso illegale della forza è stata debole e soggetta a doppi standard. Spesso le istituzioni multilaterali non sono riuscite a far rispettare il diritto internazionale umanitario: il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ad esempio, è stato bloccato ripetutamente dal veto degli Stati Uniti nella sua richiesta di un cessate il fuoco a Gaza.
Tuttavia, nel 2023, si sono registrati anche alcuni segnali positivi: la risoluzione dell’Assemblea delle Nazioni Unite sulla necessità di regolare i sistemi d’arma autonomi; le indagini su vari crimini di guerra, condotte dalla Corte Penale Internazionale; l’adozione della Convenzione di Lubiana e dell’Aia in materia di cooperazione giudiziaria nei casi di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra.
L’arretramento sul terreno dei diritti civili e della pari dignità sociale
Negli ultimi anni vi sono stati progressi nel campo dei diritti delle donne, specie in relazione ai diritti sessuali e riproduttivi. Al tempo stesso, in alcuni contesti le disparità di genere si sono aggravate. In Afghanistan è stata vietata l’istruzione delle donne oltre le scuole primarie. In Francia le restrizioni all’abbigliamento “religioso” hanno discriminato le donne musulmane. Negli Stati Uniti iniziano a essere visibili gli effetti negativi del capovolgimento della storica sentenza Roe c. Wade, che garantiva l’interruzione volontaria di gravidanza a livello federale. In Polonia molte donne soffrono o muoiono a causa della mancanza di accesso ai servizi sanitari in materia di aborto.
La violenza di genere continua a persistere in modo preoccupante. A livello globale, le autorità hanno spesso fallito nel contrastare efficacemente tali fenomeni, compresa la violenza sessuale e domestica, consentendo di fatto l’impunità degli autori e trascurando i bisogni a medio-lungo termine delle vittime. Il rapporto di Amnesty ricorda, in particolare, l’alto tasso di omicidi di donne in Messico e i casi di “omicidi d’onore” in paesi come l’Algeria e la Tunisia. Altri casi eclatanti vengono ricordati, come il suicidio di una ragazza nigeriana di 16 anni che intendeva sottrarsi a un matrimonio forzato e la mutilazione genitale di una bambina di due anni in Sierra Leone.
Nel 2023 sono stati registrati progressi limitati nella protezione dei diritti delle persone LGBTQIA+, ma la situazione è peggiorata in molti altri contesti. Da una parte, il riconoscimento delle unioni civili in Lettonia e l’introduzione del matrimonio per le coppie omosessuali a Taiwan. Dall’altra parte, arresti e persecuzioni in vari paesi, con forti restrizioni alle organizzazioni che difendono i diritti LGBTQIA+ e nuove leggi o proposte di leggi penali, come l’introduzione in Uganda della pena di morte per l’“omosessualità aggravata”. Inoltre, numerosi crimini violenti contro le persone LGBTQIA+ sono rimasti impuniti in molte regioni del mondo.
L’impatto della crisi economica e del cambiamento climatico
La crisi climatica, i conflitti armati e le conseguenze del Covid 19 accentuano gli effetti negativi della crisi economico-sociale in cui si trovano molti paesi. Questa situazione mette a serio rischio il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030. Amnesty menziona, a riguardo, le dichiarazioni del Segretario Generale delle Nazioni Unite secondo cui solo il 12% dei 140 target predisposti dall’Agenda 2030 sia in linea con gli obiettivi prefissati. Se questa tendenza dovesse proseguire, almeno 575 milioni di persone nel 2030 vivranno in condizioni di povertà estrema.
In materia di sicurezza alimentare, nonostante la FAO abbia registrato una riduzione dell’inflazione iniziata nel 2022, i costi degli alimenti rimangono molto più elevati rispetto a quelli precedenti lo scoppio del conflitto russo-ucraino.
Tuttavia, nel contrasto delle diseguaglianze mondiali, sono stati compiuti alcuni passi avanti nella creazione di un regime globale di tassazione delle società multinazionali più equo di quello attuale, capace di redistribuire risorse ai paesi a basso reddito. In particolare, si ricorda come la Seconda commissione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite abbia approvato una risoluzione a favore di una nuova Convenzione quadro delle Nazioni Unite sulla cooperazione fiscale internazionale.
Nel rapporto Amnesty ricorda come gli eventi meteorologici estremi, resi più frequenti e intensi dai cambiamenti climatici, colpiscano in maniera maggiore i paesi a basso reddito e i gruppi razzializzati, inclusi i popoli indigeni.
Nonostante queste tendenze siano ormai evidenti, così come la difficoltà di rispettare gli obiettivi di riduzione delle emissioni fissati dall’Accordo di Parigi, nel 2023 sia i governi che le aziende hanno continuato a non prendere decisioni adeguate per prevenire e contrastare le conseguenze del cambiamento climatico. A titolo di esempio, si ricorda come gli stanziamenti delle grandi potenze come gli Stati Uniti per il fondo “Loss and Damage”, adottato dalla Conferenza delle parti della Convenzione sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, siano stati appena sufficienti per far partire il progetto.
Tra le tendenze di segno contrario, Amnesty ricorda come alcune corti nazionali, a partire da quelle irlandesi, abbiano riconosciuto il diritto dei cittadini e delle cittadine di denunciare l’inazione dei propri governi contro la crisi climatica.
I rischi connessi alle tecnologie digitali e alla cosiddetta “intelligenza artificiale”
Le nuove tecnologie, in particolare l’Intelligenza artificiale (IA), possono comportare seri rischi per i diritti umani, soprattutto per coloro che si trovano in una condizione di marginalità o non dispongono di un adeguato livello di conoscenza e consapevolezza.
È il caso della Serbia, dove un nuovo sistema semi-automatico per l’assegnazione di misure welfare ha comportato la perdita dei sussidi sociali per molte persone di etnia Rom o per le persone disabili. O, ancora, il caso dei Territori Palestinesi Occupati dove le autorità israeliane hanno sperimentato un sistema di riconoscimento facciale denominato “Red Wolf” che contribuisce ad accentuare lo stato di apartheid. Sulla base dell’inchiesta condotta da Amnesty a Hebron, in Cisgiordania, quando un palestinese passa attraverso un posto di blocco dove è attivo il sistema “Red Wolf”, il suo volto viene scansionato senza il suo consenso e comparato coi dati biometrici contenuti negli archivi dove sono conservate solo informazioni su palestinesi: il sistema di intelligenza artificiale determina così se una persona possa oltrepassare il posto di blocco o no.
Le indagini di Amnesty hanno anche contribuito a rivelare l’uso pervasivo di software spia, come Pegasus, contro giornalisti e organizzazioni della società civile in Armenia, nella Repubblica Dominicana, in India e in Serbia. Un’ulteriore inchiesta sui Predator Files condotta dalla European Investigative Collaborations, in collaborazione con Amnesty, ha rivelato come i software spia “autorizzati dall’UE” siano venduti ai governi di tutto il mondo. In seguito a queste rivelazioni, nel novembre 2023, il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione che critica la mancanza di azioni contro gli abusi dell’industria dei software spia.
Nel corso del 2023, infine, non sono venuti meno i rischi collegati ai modelli di business delle grandi piattaforme digitali, basati sulla sorveglianza degli utenti e sull’uso dei loro dati personali per pratiche di profilazione commerciale. A correrne i rischi maggiori sono i più giovani, ma anche i più anziani. Inoltre, sui principali social network proliferano le “fake news” e i discorsi di odio. Anche questa tendenza affonda le sue radici nel modello di business delle grandi aziende tecnologiche, che puntano a prolungare l’esposizione degli utenti alla pubblicità personalizzata online attraverso il loro “coinvolgimento”. Nonostante siano stati fatti alcuni significativi passi avanti nella regolamentazione del settore, con l’adozione del Digital Services Act da parte dell’Unione Europea, molte ancora sono le questioni che restano in sospeso in materia di protezione dei dati personali e, più in generale, dei diritti online delle persone.
Elisa Bontempo studia Scienze per la Pace all’Università di Pisa. Attualmente collabora col Centro Interdisciplinare “Scienze per la Pace” e, in particolare, con “Scienza&Pace Magazine”.
Alice Piccinno studia Scienze per la Pace all’Università di Pisa. Attualmente sta svolgendo il suo tirocinio formativo presso il Centro Interdisciplinare Scienze per la Pace, collaborando in particolare a “Scienza&Pace Magazine”.