Alaa Abd El-Fattah ancora prigioniero politico in Egitto
di Chiara Salonia
Alaa Abd El-Fattah è un informatico esperto di software, blogger e attivista per la democrazia in Egitto. Ha trascorso gran parte dell’ultimo decennio tra libertà vigilata e carcere, diventando un simbolo della repressione del governo egiziano contro i dissidenti politici.
La sua situazione ha attirato l’attenzione globale, soprattutto durante la COP27, la conferenza sul clima tenutasi in Egitto nel novembre 2022, quando la sua famiglia e i suoi sostenitori hanno lanciato un appello urgente per la sua liberazione, temendo per la sua vita a causa di uno sciopero della fame estremo intrapreso per protestare contro le sue condizioni di detenzione.
La sua prigionia è stata condannata da numerose organizzazioni internazionali per i diritti umani, tra cui Amnesty International e Human Rights Watch, che hanno denunciato le condizioni disumane a cui è sottoposto e la mancanza di un processo equo, chiedendone la liberazione.
Conoscere la storia di Alaa Abd El-Fattah è importante per poter sostenere la sua scarcerazione e quella degli altri 2000 dissidenti politici reclusi nelle carceri egiziane, contribuendo alla democratizzazione del paese.
Nato il 18 novembre 1981 al Cairo, Alaa proviene da una famiglia di attivisti. Entrambi i suoi genitori erano impegnati politicamente negli anni di Anwar al-Sadat, presidente egiziano dal 1970 al 1981.
Suo padre, Ahmad Seyf, era stato incarcerato e torturato nel 1983 sotto il regime di Hosni Mubarak. Durante la permanenza in carcere, era riuscito a studiare giurisprudenza diventando avvocato, per poi fondare nel 1999 l’Hesham Mubarak Law Centre. Sua madre, Layla Soueif, docente di matematica e fisica, ha partecipato a numerose manifestazioni contro Mubarak.
Soprannominato il “Gramsci d’Egitto”, in riferimento al parlamentare e intellettuale comunista recluso e fatto morire in carcere dal regime fascista, Alaa Abd El-Fattah ha trascorso gran parte della sua vita in prigione a causa del suo impegno politico. Durante le rare fasi di rilascio, la sua libertà era limitata a sole 12 ore giornaliere sotto stretta sorveglianza della polizia, mentre il resto del giorno lo trascorreva in un centro di detenzione ufficiale.
El-Fattah si trova in carcere dopo essere stato condannato il 21 dicembre 2020 a cinque anni di reclusione con l’accusa di “adesione a un gruppo terroristico” e “diffusione di notizie false che minacciano la sicurezza dello Stato”, in un processo ritenuto profondamente iniquo. Avrebbe dovuto essere rilasciato alla fine di settembre, ma ciò non è avvenuto. Inoltre, il periodo trascorso in detenzione preventiva avrebbe dovuto essere conteggiato nella condanna, ma così non è stato.
Esiste il rischio concreto che, a causa della prassi del sistema egiziano nota come “rotazione“, Alaa Abd El-Fattah non venga mai scarcerato. Questa pratica consiste nel formulare nuove accuse, spesso identiche alle precedenti, contro determinati detenuti, anche dopo che un tribunale ha disposto il loro rilascio, così da poterli nuovamente privare della loro libertà.
Le autorità carcerarie gli negano da cinque anni l’accesso alla luce del sole e all’aria fresca, consentendogli di svolgere esercizio fisico solo in una stanza chiusa. Inoltre, gli viene impedito di incontrare il suo avvocato e di ricevere visite consolari da parte delle autorità britanniche (Fattah dal 2022 è cittadino del Regno Unito, grazie al fatto che la madre è nata a Londra). Ha subito torture e maltrattamenti, oltre a restrizioni periodiche alle visite dei familiari.
Sua madre, Layla Soueif, è entrata nel quinto mese di sciopero della fame per protestare contro l’ingiusta detenzione politica del figlio. Si reca periodicamete davanti Downing Street, chiedendo un intervento del governo britannico e del primo ministro Keir Starmer, che finora non ha però risposto alle sue richieste.
L’attivista ha raggiunto un tale stato di frustrazione per l’incapacità del Regno Unito di garantire il suo rilascio che ha pensato di rinunciare sia alla cittadinanza britannica che a quella egiziana, come rivelano alcune delle sue lettere che i familiari hanno dato il permesso di pubblicare. La famiglia ha recentemente dichiarato di sentirsi incoraggiata dal fatto che il segretario agli Esteri del Regno Unito, David Lammy, abbia trascorso la maggior parte dell’incontro con il suo omologo egiziano al Cairo a fine gennaio scorso per chiedere il rilascio di Fattah.
Il 25 febbraio la donna è stata ricoverata in ospedale a Londra dopo quasi 15o giorni di sciopero della fame.
Alaa Abd El-Fattah è stato incarcerato numerose volte prima di adesso: il suo primo arresto risale al 2006, durante una protesta pacifica a favore di una magistratura egiziana indipendente.
Dopo aver trascorso 45 giorni in prigione, ha lasciato l’Egitto con la moglie per trasferirsi in Sudafrica, da cui è ritornato nel corso delle rivoluzioni arabe, termine utilizzato da alcuni media e studiosi per descrivere il ciclo di proteste per “la libertà e la dignità” iniziato tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011 in diversi paesi arabi. Le cause di queste rivolte erano molteplici: violazioni delle libertà personali e politiche fondamentali, caro vita, corruzione del sistema, abusi delle forze dell’ordine.
In Egitto, i primi segni dell’ondata di proteste in arrivo si sono mostrati il 17 gennaio 2011, quando un uomo si è dato fuoco al Cairo, traendo ispirazione dall’analogo gesto estremo compiuto il 17 dicembre 2010 in Tunisia dal venditore di frutta Mohamed Bouazizi, che si era dato fuoco per protestare contro il sequestro della sua merce da parte della polizia.
La protesta è letteralmente esplosa intorno al 25 gennaio 2011, quando almeno 50.000 manifestanti, perlopiù giovani della classe media cresciuti sotto il regime di Mubarak, sono scesi sulle strade del Cairo per chiedere profonde riforme politiche e sociali, adottando piazza Tahrir (liberazione) come centro delle manifestazioni.
Alaa Abd El-Fattah ha preso parte attivamente al movimento del 2011, inclusa la protesta del 9 ottobre 2011 organizzata dalla comunità copta per impedire la demolizione di due chiese e di numerose abitazioni nella provincia di Aswan. La protesta, inizialmente pacifica, è degenerata in violenza quando le forze di sicurezza egiziane hanno aperto il fuoco sui manifestanti e hanno utilizzato a veicoli blindati per disperdere la folla, causando almeno 27 morti e oltre 320 feriti.
El-Fattah ha soccorso i feriti e denunciato pubblicamente le violenze dell’esercito. Il 30 ottobre 2011 è stato arrestato con l’accusa di “incitamento alla violenza” contro i militari, furto di un’arma a un soldato e danneggiamento di proprietà delle forze armate. Ha subito rifiutato di riconoscere la legittimità del processo militare, chiedendo di essere giudicato da un tribunale civile. Ed è stato rilasciato il 25 dicembre 2011.
Nel 2014, diversi parlamentari europei hanno sostenuto la sua candidatura al Premio Sakharov, riconoscimento destinato a individui o gruppi impegnati nella difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Tuttavia, la candidatura è stata successivamente ritirata dagli stessi promotori a seguito delle polemiche suscitate da alcuni suoi tweet ritenuti anti-semiti in quanto ostili a Israele.
Nello stesso anno è stato condannato a 15 anni di carcere per aver preso parte a una manifestazione non autorizzata davanti al parlamento egiziano nel novembre 2013. Poiché il processo si era svolto in sua assenza, è stato ripetuto e, il 13 febbraio 2015, la pena finale è stata ridotta a cinque anni.
Nel settembre 2019 sono scoppiate in diverse città egiziane proteste pacifiche contro il governo Al-Sisi dopo che l’imprenditore Mohamed Ali, in esilio in Europa, aveva accusato il presidente egiziano alcuni generali dell’esercito di corruzione. Le autorità hanno reagito arrestando circa 4.300 persone, tra cui Alaa Abdel Fattah.
Il 19 novembre 2020, la Corte Penale del Cairo lo ha inserito nell’elenco nazionale dei “terroristi”, decisione confermata dalla Corte di Cassazione il 18 novembre 2021. Alaa Abdel Fattah avrebbe dovuto terminare di scontare la sua pena di cinque anni il 29 settembre 2024, ma a oggi non è ancora stato rilasciato. Da qui il ritorno di attenzione internazionale per la sua detenzione e la richiesta del suo rilascio.
Patrick Zaki ha scritto alcuni mesi fa di considerare Alaa una delle figure più ispiratrici per il suo impegno nel campo politico e dei diritti umani: “Alaa è un simbolo di speranza, una persona che non smette di lottare anche quando il mondo sembra concentrarsi su priorità che non riguardano la nostra libertà e la nostra vita. Molti sono ancora dietro le sbarre, mentre il mondo sembra ignorare la loro esistenza ed è perfino complice delle autorità nei crimini contro i diritti umani”.
Quanto una figura come El-Fattah possa essere di ispirazione, e possa fare paura al regime di Al-Sisi, emerge oltre che dalle sue azioni, dalle molti passaggi del suo libro, dove si legge: “anche vivi in un futuro non ancora realizzato, vivilo come un’ombra, un monito, un ricordo. Ricorda loro che il presente non era inevitabile prima di diventare realtà!”.
Chiara Salonia è studentessa del corso di laurea in “Scienze per la Pace” dell’Università di Pisa. Attualmente collabora con il Centro Interdisciplinare “Scienze per la Pace” e con “Scienza&Pace Magazine”, svolgendovi il proprio tirocinio.