Cittadini e cittadine nel mondo portano i governi in tribunale per il riscaldamento climatico
La crisi climatica è quotidianamente sotto i nostri occhi, con l’innalzamento delle temperature medie globali, lo scioglimento dei ghiacciai, l’innalzamento del livello dei mari, l’aumento della desertificazione e dei disastri naturali. Eppure i governi tardano a rispettare gli impegni presi, ad esempio con l’Accordo di Parigi, per abbattere le emissioni e contenere l’aumento della temperatura sotto 1,5°. La lotta per il futuro della specie e del pianeta non si gioca soltanto nei palazzi del potere o nelle piazze, ma anche nelle corti di giustizia: in molti paesi, associazioni e movimenti ambientalisti stanno depositando e vincendo ricorsi contro i propri governi, condannati per inazione climatica ossia per non mantenere gli impegni assunti per contrastare le cause e gli effetti del cambiamento climatico. Questo articolo, pubblicato su I News, fa luce su alcune di queste cause legali, che costituiscono la base per futuri contenziosi: le corti mondiali sono ora in prima linea nella battaglia contro il riscaldamento globale, e la COP26 a Glasgow dovrebbe aiutare i cittadini ad avviare azioni legali per forzare i governi ad agire.
di Tom Bawden
In un turchese angolo remoto del Mar dei Caraibi, la piccola isola smeraldo di Providencia era, un tempo, una meraviglia idilliaca del nostro pianeta. Tutto questo è cambiato nel novembre scorso, quando un uragano di categoria 5 sulla scala Saffir-Simpson, alimentato dal cambiamento climatico, ha reso quasi tutti i 6.000 abitanti dell’isola dei senza tetto.
Ora i residenti e i riluttanti esuli di Providencia sono nuovamente sulle testate giornalistiche, perché hanno deciso di fare causa al governo colombiano per non aver eseguito i lavori di ripristino promessi in seguito all’emergenza.
Questa sembra essere la prima causa legale per “spostamenti di popolazione prodotti dal cambiamento climatico” avviata contro un governo; essa fa parte di una serie internazionale di azioni che stanno spingendo le corti in prima linea nella battaglia contro l’impatto del riscaldamento globale.
Una simile tendenza potrebbe guadagnare ancora più forza se i leader mondiali estendessero i loro impegni per ridurre le emissioni al vertice mondiale COP26 di Glasgow.
“Si tratta di una causa di livello costituzionale molto importante per la Colombia, ma anche per il resto del mondo, che fa vedere come precedenti legali vengono creati per affrontare l’impatto umano sul cambiamento climatico” ha affermato il professor Chris Hilson, direttore del Centro per la Giustizia Climatica dell’Università di Reading, che in questa causa sta dando supporto legale alla communita indigena Raizal dell’isola.
Indipendentemente dalla vittoria in questa causa, i governi mondiali continueranno a dover affrontare azioni legali in materia di cambiamento climatico. Attivisti in tutto il mondo stanno infatti cercando di riconoscere i governi come legalmente responsabili, sia per l’inazione nel ridurre le emissioni che nel gestire le conseguenze di tale inazione.
“I contenziosi sul clima sono la grande novità di questi tempi” ha detto il professor Hilson. “Mi sembra che abbiano preso piede proprio negli ultimi due anni. Ciò si sta verificando, almeno in parte, perché si ritiene che i governi non facciano abbastanza contro il cambiamento climatico: in questo, sono in ritardo rispetto alla cittadinanza”.
Dall’Uganda alla Polonia, passando dall’Australia, sono almeno 37 le cause che negli ultimi sei anni sono state avviate presso varie corti in materia di cambiamento climatico.
A oggi l’Accordo di Parigi per ridurre le emissioni ha svolto un ruolo chiave, insieme al caso olandese “Urgenda”, nell’attivare la corsa alle azioni legali climatiche.
Diminuzioni dell’uso di carbone e limiti alle mandrie di bestiame sono stati annunciati, in effetti, l’anno scorso in Olanda in seguito a una causa legale portata avanti dal gruppo di attivisti Urgenda.
Il caso è considerato come la prima vittoria in sede giudiziaria contro il cambiamento climatico ed è diventato la principale ragione della recente esplosione di contenziosi legali, secondo il Grantham Research Institute on Climate Change and the Environment della London School of Economics.
Gli attivisti di Urgenda sostengono che, dal 2015 a oggi, sono almeno 37 i casi analoghi presentati davanti a delle corti, e si aspettano che tale numero aumenti in futuro.
Lo studio legale ambientalista ClientEarth sta assistendo varie “vittime del cambiamento climatico” istruendo azioni legali in materia di diritti umani contro i governi di Polonia, Uganda e Australia.
La sentenza di primo grado, pronunciata sul caso Urgenda nel 2015, assegnava al governo olandese l’obbligo esplicito di proteggere i diritti umani dei propri cittadini dalle conseguenze negative del riscaldamento globale, e che doveva ridurre le proprie emissioni di almeno il 25% rispetto ai livelli del 1990 entro la fine del 2020.
Dopo ripetuti appelli depositati contro la prima condanna, la Corte Suprema ha stabilito una volta per tutte, nel dicembre 2019, che il governo doveva obbedire alla sentenza di primo grado.
Lo scorso anno, i Paesi Bassi si sono avvicinati agli obiettivi fissati dalla sentenza, riducendo le emissioni di circa il 24,5%. Ma Marjan Minnesma, un’avvocata che segue il caso, ha tuttavia spiegato che il governo ha intrapreso delle azioni nel senso richiesto ma è stato anche aiutato dal rallentamento delle attività economiche e sociali dovuto al Covid, e che non ha adottato i “cambiamenti strutturali” necessari per ridurre le emissioni.
La stessa Minnesma si sta preparando per tornare in aula contro il governo, mentre altri avvocati esperti di cambiamento climatico osservano con attenzione gli sviluppi del caso per trarne lezioni su come far sì che la classe politica si attenga alle decisioni della corte.
Nel frattempo, ClientEarth si sta attrezzando per aiutare i cittadini e le cittadine a portare avanti altre battaglie legali in giro per il mondo.
“Cinque cittadini polacchi si sono rivolti alla giustizia per combattere le politiche climatiche regressive del proprio governo, rendendo sempre più difficile ai leader polacchi ignorare i gravi effetti sul piano nazionale del cambiamento climatico, e trascurare il loro obbligo di garantire alla cittadinanza il diritto di vivere in un ambiente sano” ha detto April Williamson, un’avvocata di ClientEarth.
“In Uganda – continua April Williamson – i superstiti di una frana mortale si stanno attivando contro il loro governo che non è intervenuto per prevenire il disastro, pur essendo al corrente del problema da almeno un decennio, sostenendo che tale inazione costituisce una violazione dei diritti umani”.
“In Australia, invece, un gruppo di otto persone indigene abitanti nelle isole dello Stretto Torres / Zenadh Kes hanno depositato una rimostranza presso la Commissione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite contro l’inazione climatica del proprio governo”, ha aggiunto l’avvocata.
Il professor Hilson si aspetta che la COP26 venga utilizzata per mettere sotto pressione i governi, con la minaccia di cause future. “Gli Impegni presi dai paesi durante la COP26 non possono essere considerati dei bla, bla, bla”.
“I governi si trovano davanti al rischio di un doppio fallimento: quei paesi che non si impegneranno abbastanza nel contenere l’aumento della temperatura sotto i 1,5/2° fissati dagli Accordi di Parigi, potrebbero affrontare contenziosi legali; quelli che, invece, inseriranno il giusto grado di ambizione nei loro obiettivi nazionali potrebbero essere oggetto di futuri contenziosi legali finalizzati a far rispettare loro gli impegni presi”.
Nel Regno Unito, Tim Crosland, avvocato attivista dell’organizzazione Plan B nata per promuovere cause legali sul cambiamento climatico, sta combattendo una guerra contro il governo di Westminster per impedire la realizzazione di una terza pista all’aeroporto di Heathrow.
Dopo aver perso il primo grado di giudizio, l’avvocato Crosland ha conseguito una vittoria epocale nel secondo grado, quando la Corte di appello ha dichiarato illegale la terza pista di Heathrow poiché, nell’autorizzare il progetto, il governo non aveva tenuto adeguatamente conto degli impegni presi sotto gli Accordi climatici di Parigi.
La sentenza è stata ribaltata a dicembre 2020, in seguito a un ulteriore appello depositato dall’aeroporto di Heathrow: ciò significa che, al momento, la terza pista è nuovamente realizzabile.
Il caso, tuttavia, offre un notevole esempio del potere che le azioni legali hanno nel mettere in difficoltà i decisori politici. Nel frattempo, il governo del Regno Unito ha dichiarato che sottoporrà il progetto della terza pista a revisione.
“Le corti sono ormai in prima linea nella lotta contro il cambiamento climatico” ha aggiunto l’avvocato Crosland. “Si tratta di un vero e proprio tsunami, perché la pressione che le cause per il clima mettono sui governi è molto significativa”.
“Per i cittadini comuni confrontarsi alla pari con il Primo ministro o il Cancelliere, che sono gli imputati nel caso, costituisce un fattore di empowerment. Invece di rassegnarsi a constatare l’inerzia dei politici, mentre ci avviciniamo al disastro, stiamo facendo qualcosa”.
“Non credo riusciremo a ottenere tutto ciò che auspichiamo soltanto attraverso delle cause legali. Penso, però, a come le cause legali possono innescare un cambiamento politico, come nel caso delle lotte per i diritti civili negli Stati Uniti. Negli anni ‘50 diverse sentenze molto importanti contro la segregazione razziale nelle scuole pubbliche hanno poi ispirato e sostenuto il movimento per i diritti civili degli anni ‘60”.
Esperti legali affermano che possiamo aspettarci, negli anni a venire, un aumento delle cause sul cambiamento climatico nel Regno Unito. La decisione del governo di tagliare gli aiuti esteri allo sviluppo, molti dei quali vengono utilizzati per aiutare a mitigare gli effetti del riscaldamento globale, è tra i probabili oggetti di future dispute legali.
Comunità ubicate lungo le coste britanniche potrebbero attivarsi sul piano legale contro l’innalzamento del livello del mare e l’aumento di forza delle tempeste che provoca una sempre maggiore erosione costiera.
“Siamo a volte tentati di credere che le grandi tempeste costiere distruggano soltanto posti lontani da noi come la Colombia; in realtà si tratta di una problematica assai rilevante anche per la Gran Bretagna”, sostiene il professor Hilson. “Non abbiamo ancora esempi di casi del genere nella giurisprudenza britannica. Vedremo, io penso che succederà presto”.
Fonte: I News, 29 ottobre 2021.