venerdì, Novembre 22, 2024
Conflitti

La storia mostra che le potenze straniere non possono portare la pace in Afghanistan

Il ritorno al potere dei Talebani ha preso di sorpresa governi, media e società civile mondiale. Eppure si tratta di un evento prevedibile e in gran parte già previsto, seppur non con la rapidità con cui si è di fatto verificato. In questo intervento pubblicato nella prima metà di luglio sul Guardian, Tamim Ansary, autore del saggio Games Without Rules: The Often-Interrupted History of Afghanistan, discute del ritorno dei Talebani come di una possibilità imminente ed espone le ragioni per cui appoggia, nonostante tutto, la decisione del Presidente Biden di portare avanti il ritiro delle truppe statunitensi dal paese. Tra i suoi vari argomenti assume particolare rilievo quello legato alla storia secolare di un Afghanistan conteso tra le grandi potenze regionali e mondiali: nessuna di loro è mai riuscita a costruire uno Stato stabile e una società sicura né attraverso l’occupazione militare, né attraverso l’instaurazione di governi “amici”. Se la storia insegna qualcosa sembra essere proprio questo: occorre che il popolo afghano, nelle sue molteplici componenti, sia messo in condizione di governarsi da sé, senza le interferenze di potenze straniere. In questo modo potrebbe riconoscere gli stessi Talebani come una forza sostanzialmente straniera e liberarsene.

 

di Tamim Ansary

Gli amici continuano a chiedermi di firmare petizioni che esortano il Presidente Biden a cambiare idea sul ritiro delle truppe dall’Afghanistan. Sono tutti d’accordo che gli Stati Uniti non possono rimanere nel paese per sempre; ma questo, dicono, non è il momento di andarsene. I talebani stanno accrescendo le loro forze e, con il loro ritorno, le “conquiste sociali” degli ultimi 20 anni sarebbero in pericolo.

Non ho firmato nessuna di queste petizioni. Sì, i talebani hanno commesso crimini orribili, e non si fermeranno. E sì, devono essere fermati. Proprio l’altro giorno ho visto un video di abitanti del villaggio nel Nord dell’Afghanistan che seppellivano una dozzina di civili uccisi da una bomba: una donna anziana piangeva perché tutta la sua famiglia era stata spazzata via. Ma, aspetta, quella bomba è stata sganciata dal governo [statunitense], affidata a un drone.

Entrambe le parti in questa guerra uccidono i civili. Firmerei qualsiasi petizione che potesse davvero fermare i combattimenti e portare la pace. Inoltre, quando questa guerra finirà, spero che il governo di Kabul ne esca vittorioso. Spero che gli afghani riprendano il loro percorso di progresso sociale e materiale su ogni fronte. Ma non posso dimenticare che siamo di fronte a uno schema che si ripete in modo così evidente nella storia afgana, che mi meravoglio non sia centrale nel dibattito pubblico in corso.

Il governo di Kabul non è mai stato in grado di garantire l’autorità statale sull’Afghanistan nel suo complesso quando tale autorità è stata, di fatto, detenuta da militari di una potenza esterna.

Nel 1839, gli inglesi sostituirono il monarca afgano Dost Mohammed con il suo rivale Shah Shuja, che aveva diritto al trono tanto quanto lui. Dopo che gli inglesi lo hanno messo al potere, il paese andò in fiamme e due anni dopo l’intera comunità britannica di Kabul dovette fuggire a piedi, e la maggior parte di loro è morta nella fuga.

Nel 1878 gli inglesi ci riprovarono: questa volta spodestarono il sovrano afghano Sher Ali e cercarono di governare il paese attraverso suo figlio, Yaqub. Come prevedibile, la base militare britannica è stata occupata, il rappresentante del governo è stato ucciso, il paese è andato nuovamente in fiamme. Gli inglesi hanno dovuto arrendersi e lasciare il paese a un “uomo forte”, Abdul Rahman, che sapeva cosa doveva fare per assicurare la sua posizione con gli afgani: aveva stretto un accordo con gli inglesi e i russi per tenerli entrambi fuori dall’Afghanistan.

Salto un secolo per arrivare al 1978: i sovietici aiutarono i comunisti afgani a rovesciare l’ultima famiglia regnante afgana e portare al potere il loro uomo, Nur Muhammad Taraki. Quello che è successo? Il paese è andato in fiamme [a causa della resistenza anti-comunista e anti-sovietica di quelli che divennero noti come mujahidin, combattenti di fede islamica radicale, appoggiati in seguito anche dagli Stati Uniti, ndt]. I sovietici inviarono 100.000 soldati per mantenere i comunisti al potere, ma questo intervento non fece altro che trasformare il fuoco in un falò. La guerra infuriò per 10 anni finché, alla fine, i sovietici semplicemente se ne andarono lasciando un paese sventrato.

[Nei primi anni duemila] sono arrivati ​​gli statunitensi. Hanno insediato a Kabul un governo formato di tutto punto, hanno scelto Hamid Karzai per governare il paese e lo hanno rivestito di tutti i simboli della legittimità riconosciuti nelle democrazie occidentali: costituzione, parlamento, elezioni. Sotto Karzai, le ragazze sono tornate a scuola, i diritti delle donne sono migliorati, le infrastrutture sono state ripristinate, sono stati fatti alcuni progressi.

Anche questa volta, però, come con tutti i precedenti tentativi delle grandi potenze di gestire gli afgani attraverso delegati afgani, Kabul si è rivelata incapace di garantire la legittimità a livello nazionale. La resistenza è sorta nei villaggi e si è poi diffusa nelle città.

Nella guerra contro le forze antagoniste basate soprattutto nelle campagne, il governo di Kabul è stato ostacolato da un enorme svantaggio: i contingenti militari stranieri che lo stavano aiutando a mantenere il potere. Per questo motivo, il governo afgano non aveva una narrazione in grado di contrastare quella diffusa dai Talebani, che diceva: il governo di Kabul non è afgano, è costituito da un mucchio di burattini e delegati al soldo di americani ed europei, il cui obiettivo principale è minare l’Islam. Droni e bombe non potevano sconfiggere questa narrazione, ma solo alimentarla.

Gli Stati Uniti e la Nato non possono restare in Afghanistan per sempre, ma è questo il momento di partire? La risposta deve essere sì se, come sostengo, la presenza militare degli Stati Uniti e della NATO in Afghanistan sta alimentando proprio il problema che dovrebbe risolvere.

Molte persone credono che i talebani siano il volto di quello che sarebbe l’Afghanistan senza l’aiuto degli Stati Uniti. Ma la presenza militare statunitense potrebbe oscurare il singolo fatto più cruciale, ossia che i talebani stessi non rappresentano la cultura afgana. Anche loro sono, in un certo senso, una forza straniera.

Prima dell’invasione sovietica 40 anni fa, è corretto affermare che la maggior parte degli afgani fossero musulmani profondamente devoti. Il problema di fondo tra gli afghani non era l’Islam sì o no, ma quale versione dell’Islam: la versione urbana e progressista di Kabul o la versione conservatrice dei villaggi. Gli afgani coinvolti in questo dibattito sono stati quelli che insorsero contro gli invasori sovietici.

Ma i talebani non sono quegli afgani. I talebani hanno avuto origine nei campi profughi del Pakistan. La loro visione del mondo è stata modellata nelle scuole religiose finanziate da elementi dell’agenzia di intelligence militare del Pakistan. Erano armati da islamisti del mondo arabo, alcuni dei quali sono ora nel paese. Se la presenza militare occidentale fosse rimossa, l’energia afghana che rifiuta di accettare che gli estranei dicano loro chi essere potrebbe riconoscere i talebani come forza straniera.

La grande ironia del progetto occidentale di esportare la democrazia e il progresso sociale in Afghanistan sta in questo: gli afgani hanno una potente corrente progressista al loro interno. È una corrente islamica, non laica, ma comunque progressista. Nei sei decenni dopo che il paese ottenne l’indipendenza dagli inglesi e prima che fosse invaso dai sovietici, l’Afghanistan era governato da afgani. Durante quel periodo che cosa ha realizzato il governo afgano? Ha liberato le donne dal burqa precedentemente obbligatorio. Ha promulgato una costituzione. Ha creato un parlamento con un effettivo potere legislativo. Ha istituito le elezioni. Ha costruito scuole per le ragazze a livello nazionale. Ha spinto per la coeducazione maschile e femminile. Ha aperto alle donne l’accesso a un’istruzione universitaria presso l’Università di Kabul e ha aperto loro opportunità di lavoro in professioni come la medicina e il diritto. È sconcertante guardare indietro a quell’epoca.

Mentre gli Stati Uniti e la Gran Bretagna si ritirano il paese è circondato da forze esterne che hanno fame di entrare: Pakistan, Iran, Russia, India, Cina. Prima che qualcuno di loro abbia successo, dovrebbe esserci una conferenza globale in cui gli attori internazionali possano trovare un modo per tenersi lontani dall’Afghanistan. Perché ciò di cui gli afgani hanno davvero bisogno è convincere tutti gli altri a lasciarli in pace.

[traduzione di Federico Oliveri]

 

Versione originale

Friends keep asking me to sign petitions urging President Biden to change his mind about withdrawing troops from Afghanistan. They all agree that the US can’t stay in the country for ever but this, they say, is not the time to leave: the Taliban are surging, and the social gains of the past 20 years are in jeopardy.

I’ve not signed any of those petitions. Yes, the Taliban have committed horrific offences, and they won’t stop. And they must be stopped. Just the other day I saw a video of villagers in northern Afghanistan burying a dozen civilians killed by a bomb: an old woman wept because her whole family had been wiped out. Oh, but wait – that bomb was dropped by the government, delivered by drone.

Both sides in this war kill civilians. I’d sign any petition that would stop the fighting and bring peace. What’s more, when this war ends, I hope the government now in Kabul emerges victorious. I hope Afghans resume their social and material progress on every front. But I can’t forget a pattern of Afghan history so blatant that I’m amazed it’s not central to this conversation.

The government in Kabul has never been able to secure authority in Afghanistan as a whole when it is held in place by an outside power’s military.

In 1839, the British replaced the Afghan monarch Dost Mohammed with his rival Shah Shuja, who had just as legitimate a claim to the throne as he. But the British had put him in power, so the country went up in flames and two years later the whole British community in Kabul had to flee on foot, most of them dying on the way out.

In 1878 the British tried again: this time, they ousted Afghan ruler Sher Ali and tried to rule the country through his son, Yaqub. Sure enough, the British cantonment was sacked, their representative was killed, the country went up in flames. The British had to give up and leave the country to a strongman, Abdul Rahman, who knew what he needed to do to secure his position with Afghans: he made a deal with the British and Russia to keep them both out of Afghanistan.

Jump ahead to 1978: the Soviets helped Afghan communists topple the last of the Afghan ruling family and elevated their own man, Nur Muhammad Taraki, to power. What happened? The country went up in flames. The Soviets sent in 100,000 troops to keep the communists in power, but that only turned the fire into a bonfire. The war raged for 10 years until at last the Soviets simply left – with the country eviscerated.

Then came the Americans. They dropped a fully formed government on to Kabul, picked Hamid Karzai to run the country, and clothed him in all the markers of legitimacy recognised in western democracies: constitution, parliament, elections. Under Karzai, girls went back to school, women’s rights improved, infrastructure was restored, progress was made.

Sure enough, however, as with all the previous great power attempts to manage Afghans through Afghan proxies, Kabul proved unable to secure countrywide legitimacy. Resistance brewed in the villages and spread to the cities.

In its war with forces based in the countryside, the Kabul government was hobbled by one huge disadvantage – the outside military forces that were helping it hold power. Because of that, it had no narrative to counter the one the Taliban wielded, which said: the government in Kabul isn’t Afghan, it’s a bunch of puppets and proxies for Americans and Europeans whose main agenda is to undermine Islam. Drones and bombs could not defeat that narrative but only feed it.

The US and Nato can’t stay in Afghanistan for ever, but is this the time to leave? The answer has to be yes if, as I am arguing, the US and Nato military presence in Afghanistan is causing the very problem it is supposed to be solving.

Many people assume the Taliban are the face of what Afghanistan would be without US help. But the American military presence might be obscuring the single most crucial fact: the Taliban don’t represent Afghan culture. They too are, in a sense, an alien force.

Before the Soviet invasion 40 years ago, it’s fair to say most Afghans were deeply devoted Muslims. The underlying issue among Afghans was not Islam or not-Islam but which version of Islam: Kabul’s urban, progressive version or the conservative version of the villages. Afghans involved in that debate were the ones who rose up against the Soviet invaders.

But the Taliban are not those Afghans. The Taliban originated in the refugee camps of Pakistan. Their worldview was moulded in religious schools funded by elements of Pakistan’s military intelligence agency. They were armed by Islamists from the Arab world, some of whom are in the country now, calling themselves Taliban. If the western military presence were removed, the Afghan energy that refuses to accept outsiders telling them who to be might recognise the Taliban as the alien force.

The great irony of the western project to bring democracy and social progress to Afghanistan is this: Afghans have a powerful progressive current of their own. It’s Islamic, not secular, but it is progressive. In the six decades after the country gained independence from the British and before it was invaded by the Soviets, Afghanistan was governed by Afghans. During that time, what did that Afghan government achieve? It liberated Afghan women from the previously obligatory burqa. It promulgated a constitution. It created a parliament with real legislative power. It set up elections. It built schools for girls nationwide. It pushed for coeducation. It opened women’s access to a college education at Kabul University and it opened public employment opportunities for them in professions such as medicine and law. It is staggering to look back at that era.

As the US and British withdrawal proceeds, the country is surrounded by outside forces hungering to get in: Pakistan, Iran, Russia, India, China. Before any of them succeed, there ought to be a global conference at which international actors can work out a way to keep one another out of Afghanistan. For what Afghans really need help with is getting everyone else to leave them alone.

 

Fonte: The Guardian, 12 luglio 2021.