domenica, Dicembre 22, 2024
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Gli effetti economici e sociali della pandemia

di Andrea Vento

 

La fase recessiva dell’economia mondiale

L’economia mondiale nel biennio 2017-2018 è cresciuta oltre il 3% annuo, con i paesi ad economia avanzata che, trainati dagli Stati Uniti, hanno fatto registrare un +2,5% e i paesi emergenti vicini al +5%, sostenuti dall’ottima  e persistente performance dei paesi dell’Asia Meridionale e Orientale, Cina e India in testa. Dopo il rallentamento della crescita del 2019 (grafico 1), durante il 2020 la pandemia da Covid-19 si è abbattuta sull’economia mondiale producendo nefasti effetti come mai accaduto nei precedenti 90 anni.

 

Grafico 1: variazione annua percentuale del Prodotto Lordo Mondiale. Fonte Unctad.

 

In base agli ultimi dati diramati dal Fondo Monetario Internazionale (Fmi) il 26 gennaio 2021, infatti, la contrazione del prodotto lordo globale dovrebbe attestarsi, nell’anno appena concluso, intorno al -3,5%. Un impatto decisamente maggiore rispetto alla crisi del 2008-2009 (grafico 1), quando la recessione aveva interessato le economie sviluppate e quelle in via di sviluppo ad esse maggiormente interconnesse, lasciandone ai margini la gran parte dei paesi del Sud e in particolar modo le economie emergenti asiatiche, ad eccezione di Thailandia e Malesia, oltre alla Cambogia e alle Petromonarchie del Golfo Persico, queste ultime penalizzate dalla brusca caduta delle quotazioni del petrolio (carta 1).

Se da un lato l’impatto della recessione del 2020 ha interessato quasi  tutti gli stati sia del Sud che del Nord, solo la Cina resterà in campo positivo (circa +2,3% secondo il National Bureau of Statistic of China e il Fmi) fra le prime 20 economie mondiali, dall’altro, gli effetti socio-economici e sociali innescati stanno evidenziando tendenze eterogenee che meritano di essere approfondite.

 

 

Carta 1: variazione annua percentuale del Prodotto Interno Lordo nei singoli paesi nel 2009.

 

Gli effetti sulla distribuzione globale della ricchezza

Per quanto riguarda gli effetti socio-economici, rileviamo come la distribuzione della ricchezza abbia accentuato la tendenza sperequativa già in atto da decenni. Infatti, le 500 persone più facoltose a livello globale, secondo il Bloomberg Billioners Index, hanno incrementato i loro patrimoni di ben 1.800 miliardi di dollari l’anno scorso, il 31%  in più rispetto al 2019,  facendo salire le loro fortune a 7.600 miliardi di dollari (pari a una volta e mezzo il Pil del Giappone, terza economia mondiale). In particolare, cinque persone, quattro delle quali statunitensi e proprietari delle principali aziende tecnologiche la cui regolamentazione fiscale rimane ancora da definire, sono arrivati a possedere una ricchezza fra i  100 e i 200 miliardi di dollari e le successive 20 detengono patrimoni di almeno 50 miliardi a testa. I cinque miliardari in vetta alla classifica di Bloomberg sono volti noti al pubblico, al pari delle loro aziende. In ordine troviamo:  Elon R. Musk Tesla), Jeff Bezos (Amazon), Bill Gates (Microsoft), Bernard Arnault (Louis Vuitton-Moët Hennessy) e Mark Zuckerberg (Facebook).

Su questo trend non si evidenziano particolari novità se non l’entità del tasso di crescita dei patrimoni dei plurimiliardari che Bloomberg indica come il più elevato degli ultimi 8 anni, vale a dire da quando è stato ideato l’indice in questione.

 

La povertà mondiale torna a crescere dopo oltre 20 anni

Significative inversione di tendenza rispetto alle dinamiche dell’ultimo ventennio si registrano, invece, su scala mondiale in campo sociale per quanto riguarda la povertà, nel cui ambito sono stato fatti notevoli progressi. La Banca Mondiale, l’istituzione internazionale deputata al suo monitoraggio, ha infatti rilevato che la popolazione in condizioni di estrema povertà ha subito una eccezionale diminuzione negli ultimi decenni, passando dal 60,1% del 1970 al 9,2% del 2017 (tab. 1), con un trend ribassista continuativo a partire dal 1999 (grafico 2).

Grafico 2: andamento della povertà assoluta e della popolazione mondiale, periodo 1820-2015.

 

Tabella 1: povertà assoluta in percentuale e in valore assoluto 2013-2015. Fonte: Banca Mondiale.

 

Utilizzando le previsioni di gennaio 2021 del GEP (Prospettive Economiche Globali) della Banca Mondiale rileviamo che, per la prima volta negli ultimi 20 anni la pandemia da COVID-19 ha prodotto nel 2020 un aumento della povertà estrema, valutata sulla soglia di 1,90 $ al giorno di reddito pro capite, tra 88 milioni e 93 milioni di unità. E, considerando anche coloro che sarebbero sfuggiti a tale condizione, nel caso il trend in atto fosse proseguito, ma non vi sono riusciti a causa della pandemia (cioè 31 milioni in 2020), il totale dei nuovi poveri indotti dal COVID-19 nel 2020 è stimato dalla Banca Mondiale tra 119 e 124 milioni.

L’entità dell’aumento della povertà globale stimato nel 2020 è davvero senza recenti precedenti. Prima del COVID-19, l’unico altro incremento indotto, negli ultimi tre decenni, da una crisi economica sul numero globale di poveri era stata la crisi finanziaria asiatica di fine millennio, che aveva aumentato la povertà estrema di 18 milioni nel 1997 e di altri 47 milioni nel 1998. Nel ventennio fra il 1999 e il 2019, il numero di persone che vivono in estrema povertà a livello globale è diminuito secondo la Banca Mondiale di oltre 1 miliardo di persone, con una media di 54 milioni annui (grafico 3).

Grafico 3: istogramma del numero di persone in condizioni di povertà estrema. Periodo 1990-2015.

La gravità dell’impatto della pandemia sulla povertà globale emerge anche dal confronto tra l’attuale shock da COVID-19 con l’unico altro analogo che ha causato un aumento della povertà globale negli ultimi 30 anni, come detto, la crisi finanziaria asiatica del 1997/1998. Benché in comune vi fosse la povertà in trend discendente prima di entrambi gli shock, mentre la crisi finanziaria asiatica ha aumentato la povertà dell’1,3% nel 1998 rispetto al 1997 (dal 29,6% al 30%), la pandemia COVID-19 dovrebbe aumentare la povertà dell’8,1% nel 2020 rispetto al 2019 (dall’8,4% al 9,1%) o addirittura maggiormente nel caso si attestasse al 9,4%.

La Banca Mondiale mette quindi in allarme che parte del  successo nella lotta alla povertà raggiunto negli ultimi decenni, potrebbe essere annullato dagli effetti della pandemia in corso, anche a causa del fatto che l’impatto sui soggetti più fragili a livello globale persisterà quantomeno anche nel 2021, nonostante la ripresa dell’economia sia stimata dal Fmi nel solito report del 26 gennaio, intorno al 5,5% per l’anno in corso. In buona sostanza a livello mondiale l’economia riprenderà a crescere ma i poveri continueranno ad aumentare, a testimonianza del carattere non inclusivo della struttura e delle dinamiche dell’economia neoliberista globalizzata.

 

La distribuzione macroregionale dei nuovi poveri

La maggioranza dei nuovi poveri, sempre secondo i report della Banca Mondiale, si registreranno nei paesi già caratterizzati da alti tassi di povertà, fenomeno che ha interessato anche una parte dei paesi a reddito intermedio nei quali, nel corso del 2020, un numero significativo di persone sono precipitate al di sotto della soglia di povertà estrema. Questo aspetto merita una riflessione in quanto mette in risalto come gli effetti della crisi, sia a livello economico che sociale, abbiano inciso maggiormente nei paesi in fase di sviluppo (America Latina -7,2%; India -8%; Asean-5 -3,7%) maggiormente integrati nel sistema economico globale rispetto a quelli meno sviluppati (Paesi a reddito basso solo -0,8%), ancora in parte legati ad altri modelli economici (agricoltura familiare, contadina e indigena di sussistenza), sicuramente meno esposti alle fluttuazioni e alle distorsioni del capitalismo finanziarizzato attuale, come la Africa Sub-sahariana dove la recessione è stata complessivamente di -2,6%, nonostante la Repubblica Sud-africana, membro dei Brics, abbia accusato un -7,5%

Passando all’analisi della dinamica della povertà a livello macroregionale, è opportuno segnalare che, dal punto di vista metodologico, la Banca Mondiale preavvisa che la stima della povertà in Asia Meridionale negli ultimi anni è soggetta a una certa incertezza, a causa principalmente dell’assenza di nuovi dati rilevati da indagini su campioni sufficientemente ampi sulle condizioni delle famiglie in India a partire dal 2011/12, quindi i valori, che inizialmente dopo tale data sono risultati sottostimati, nel 2017 non sono stati più rilevati (tab. 2).

Ciò premesso, rileviamo che, in base alle previsioni di gennaio 2021 della Banca Mondiale, emerge  la situazione particolarmente critica dell’Asia meridionale; si troverebbero, infatti, in questa macroregione nel 2020  sia il 63% dei nuovi poveri assoluti calcolati sotto la soglia 1,90 $ al giorno, stimati come detto fra i 119 e 124 milioni, sia il 71% di quelli stabiliti sulla soglia di 3,20 $ nei paesi a reddito medio-basso, cresciuti in tutto il pianeta nel 2020 di ben 228 milioni. Il numero praticamente doppio di questi ultimi conferma la nostra precedente analisi, in base alla quale la crisi economica scatenata dalla pandemia ha colpito maggiormente i Paesi integrati e interconnessi nel sistema economico globalizzato, fra i quali la quasi totalità degli stati dell’Asia Meridionale e del Sud-est asiatico e fra questi, in particolar modo, quelli in via di sviluppo a reddito intermedio (India -8% e Asean-5 -3,7%), solo parzialmente colpiti della crisi del 2008-09.

Tabella 2: povertà assoluta in percentuale e in valore assoluto calcolata sulle 3 soglie diverse anno 2017. Fonte: Banca Mondiale. PovcalNet: an online analysis tool for global poverty monitoring.

 

Non sussiste dubbio alcuno che il 2020 sia stato un anno eccezionalmente difficile nella storia recente, con il tasso di povertà estrema che potrebbe quantomeno salire al 9,1-9,4%, ritornando al livello del 2017 (9,2%), abbastanza distante dal 7,9% previsto per il 2020 prima dell’esplosione della pandemia da Covid-19. Tuttavia, dobbiamo evidenziare che la Banca Mondiale aveva già rilevato un rallentamento del trend di riduzione anche prima della crisi del Covid-19. I nuovi dati sulla povertà globale per il 2017 mostrano, infatti, che 52 milioni di persone sono uscite dalla povertà assoluta tra il 2016 e il 2017, con il tasso di riduzione rallentato a meno di mezzo punto percentuale all’anno, al cospetto di un decremento di circa 1 punto percentuale annuo tra il 1990 e il 2015.

 

Le cause strutturali e contingenti della povertà

Rispetto alle cause sottostanti la povertà, la Banca Mondiale nel Report del 7 ottobre “Azione globale urgente per fermare le minacce alla riduzione storica della povertà” riporta come il 40% dei poveri assoluti totali viva attualmente in situazioni di fragilità o di conflitto, una quota che potrebbe raggiungere i due terzi entro il 2030 e che i molteplici effetti dei cambiamenti climatici potrebbero portare alla povertà da 65 a 129 milioni di persone entro la fine del decennio. Questi ultimi, insieme ai conflitti sembrano incidere in modo particolare in Medio Oriente e Nord Africa, dove la povertà era già in aumento sia in valore assoluto, che in percentuale sin dal 2015 a causa delle guerre in Libia, Siria e Yemen, mentre nell’Africa Sub-Sahariana la povertà era in aumento sempre dal 2015 ma solo in valore assoluto, al cospetto di un trend globale in riduzione (tab.1). Inoltre, la Banca Mondiale rivela l’elevata probabilità che molti dei nuovi poveri causati dalla pandemia da Covid-19 siano residenti in contesti urbani congestionati (come slum, bidonville e favelas) e che siano impiegati in attività lavorative nei comparti economici più colpiti da blocchi e limitazioni alla mobilità e nei servizi informali, e per questo, non raggiunti dagli ammortizzatori sociali esistenti.

 

Le disuguaglianze di reddito aumentano e la prosperità condivisa diminuisce

Nel campo degli effetti socio-economici, il recente Word Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale (Fmi) evidenzia come l’impatto della crisi economica scatenata dalla pandemia abbia aggravato la dinamica delle disuguaglianze, ormai in atto da decenni a seguito della politiche neoliberiste dominati a livello mondiale. Il report in questione, pubblicato il 29 ottobre 2020, frutto di uno studio condotto su 106 paesi, prevede che la crisi da Covid-19 aumenterà le disuguaglianze come mai avvenuto in passato e che gli effetti peggiori verranno subiti dai lavoratori vulnerabili e dalle donne. Nelle potenze emergenti e in quelle in via di sviluppo il Coefficiente Gini, che misura le disparità nella distribuzione del reddito fra le fasce sociali, subirà un aumento del 6% attestandosi a 42,5 ma, gli effetti peggiori si registreranno nei paesi a basso reddito, corrispondenti a quelli meno sviluppati. Anche in America Latina, una delle macroregioni più colpite dalla pandemia, gli effetti negativi saranno marcati, in un’area già strutturalmente squilibrata, nella quale viene previsto un aumento dell’indice in questione fra il 3,5 e il 7%.

Gli scenari sin qui emersi dalla nostra analisi vengono confermati dall’indicatore denominato “prosperità condivisa”, elaborato dalla Banca Mondiale prendendo in considerazione il 40% più povero della popolazione, che insieme al “premio di prosperità condivisa” risultano significativi strumenti statistici di misurazione dell’inclusione sociale e del benessere di un paese, in quanto contemplano per il loro calcolo la riduzione della povertà e della disuguaglianza di reddito. Lo studio “Povertà e prosperità condivisa 2020” in questione conferma che la pandemia in corso ridurrebbe la “prosperità condivisa” e il “premio di prosperità” condivisa con la probabile conseguenza di ulteriori  aumenti della povertà e della disuguaglianza nel prossimo futuro, questo, come sopra riportato, a prescindere dalla ripresa economica prevista per il 2021.

 

Quale sistema economico per uscire dalle 3 crisi: economica, sociale e ambientale?

Invertire la ripresa della povertà, suggerisce la Banca Mondiale, richiederà “una risposta efficace a Covid-19, conflitti e cambiamenti climatici ed un miglioramento diffuso e sostenuto nella crescita economica inclusiva“. La riflessione finale che lasciamo al lettore è se sia possibile ottenere questo miglioramento diffuso della crescita economica inclusiva nel contesto di un sistema economico mondiale, che continua a generare crisi cicliche, marginalità sociale e disuguaglianze reddituali crescenti, la cui insostenibilità, anche ambientale, è oggetto di riflessioni e analisi in chiave critica provenienti da campi di studio sempre più diversificati.

 

Andrea Vento è tra i fondatori del Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati (GIGA) e insegna geografia nell’Istituto “A. Pacinotti” di Pisa. E-mail: andreavento2013@gmail.com