La distruzione ambientale come componente del genocidio: il ‘genocide–ecocide nexus’
di Gianluca Brunori
Il dibattito internazionale sul possibile genocidio nella Striscia di Gaza ha messo in luce la necessità di ampliare la comprensione delle forme contemporanee di violenza collettiva. La distruzione sistematica di infrastrutture civili, la compromissione delle risorse ambientali e la frammentazione del tessuto sociale configurano un quadro che va oltre la dimensione militare del conflitto, investendo i fondamenti ecologici e comunitari della vita collettiva.
In tale prospettiva, i concetti di genocide–ecocide nexus (Short, 2016) e domicidio (Coward, 2009) e assumono particolare rilievo. Essi consentono di interpretare la violenza non solo come eliminazione fisica di individui, ma come processo sistemico di distruzione delle condizioni materiali, ecologiche e relazionali dell’esistenza. L’analisi del caso di Gaza mostra come la devastazione ambientale e la distruzione dell’ambiente abitato contribuiscano a configurare forme di annientamento che, pur non sempre rientrando nelle definizioni giuridiche tradizionali, rispondono pienamente alla logica del genocidio così come delineata da Lemkin (1944): la cancellazione dei fondamenti di un gruppo umano nella sua dimensione vitale e simbolica.
Il nesso tra genocidio ed ecocidio
Nel diritto internazionale, il genocidio è definito come l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Tuttavia, la sua attuazione concreta può assumere forme indirette, come l’imposizione di condizioni di vita incompatibili con la sopravvivenza. L’ecocidio, concetto ancora in via di riconoscimento giuridico (Stop Ecocide Foundation, 2021), designa la distruzione estesa e duratura degli ecosistemi. Il genocide–ecocide nexus sottolinea che queste due dimensioni della violenza si rafforzano reciprocamente: la distruzione ecologica, intesa come eliminazione delle basi materiali della vita, può costituire uno strumento di annientamento umano.
Anche la distruzione delle abitazioni contribuisce a questo intento. Il concetto di domicidio (Coward, 2009) descrive la distruzione intenzionale dello spazio abitato come mezzo per annientare la continuità sociale. La casa, in quanto nodo materiale e simbolico di appartenenza, costituisce il primo livello della socialità. La sua eliminazione comporta non soltanto la perdita di riparo, ma anche la dissoluzione delle relazioni quotidiane, delle reti di solidarietà e delle memorie collettive. Il domicidio opera come vettore di frammentazione comunitaria e di perdita del radicamento territoriale, rafforzando il processo genocidario in senso ampio.
Gaza come caso paradigmatico
I dati disponibili su Gaza delineano una crisi sistemica che coinvolge simultaneamente persone, ambiente e società. A ottobre 2025, 640.000 persone ricadevano nella Fase 5 dell’IPC, ovvero la fase di carestia; altre 1,14 milioni erano in situazione di emergenza (Fase 4 dell’IPC), e ulteriori 396.000 persone in condizioni di crisi alimentare (Fase 3 dell’IPC). Il 97% delle risorse idriche non è potabile. L’agricoltura è gravemente compromessa; le infrastrutture energetiche e sanitarie risultano in gran parte distrutte (UNRWA, 2024). Più della metà delle abitazioni è stata distrutta o gravemente danneggiata. Scuole, ospedali e infrastrutture civili risultano cancellati (UN OCHA, 2024).
La devastazione ambientale non rappresenta solo un danno collaterale, ma è un meccanismo di violenza strutturale. È difficile dimostrare che le azioni che hanno portato a questi effetti non siano intenzionali. La produzione di un ambiente invivibile, nel quale le risorse vitali risultano permanentemente compromesse, contribuisce a realizzare la condizione che la Convenzione ONU (1948) considera come genocidaria: l’imposizione deliberata di condizioni di vita atte a distruggere un gruppo umano (UNHRC, 2025). Tale distruzione sistematica non può essere letta unicamente come effetto collaterale del conflitto, ma come parte di una strategia di disarticolazione del tessuto sociale e culturale.
Ogni genocidio comporta una forma di morte sociale (Scheper-Hughes & Bourgois, 2004): la dissoluzione delle strutture relazionali che rendono una collettività riconoscibile a sé stessa.
Nel contesto di Gaza, la distruzione delle istituzioni civili, culturali e religiose produce una perdita simultanea di funzioni essenziali — educative, sanitarie, comunitarie — e una frattura nei meccanismi di coesione. La disgregazione sociale si manifesta su tre livelli: materiale, attraverso l’abbattimento delle infrastrutture collettive; culturale, mediante la cancellazione dei luoghi di memoria e di trasmissione del sapere; psicosociale, attraverso la diffusione del trauma, la separazione familiare e la precarizzazione permanente. In questa prospettiva, la disgregazione sociale rappresenta una componente strutturale del genocidio contemporaneo, poiché ne prolunga gli effetti oltre l’evento bellico, rendendo la ricostruzione comunitaria quasi impossibile.
Questi elementi, analizzati nel loro insieme, mostrano che la violenza in atto non colpisce unicamente individui o strutture materiali, ma l’ecosistema umano nella sua totalità. Il caso di Gaza si configura quindi come un laboratorio tragico del genocide–ecocide nexus, nel quale la distruzione ambientale, spaziale e sociale si integrano in un unico processo di annientamento.
In un momento in cui salutiamo con sollievo la cessazione del conflitto armato, dobbiamo essere consapevoli che una pace duratura è ancora molto lontana dall’orizzonte. La costruzione della pace non può prescindere da un percorso lungo e difficile di ricostruzione ecologica e sociale, e dal riconoscimento che l’ecocidio è una componente integrale del genocidio.
Riferimenti
Lemkin, R. (1944). Axis Rule in Occupied Europe.
United Nations (1948). Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide.
Short, D. (2016). Redefining Genocide: Settler Colonialism, Social Death and Ecocide. Zed Books.
Coward, M. (2009). Urbicide: The Politics of Urban Destruction. Routledge.
Scheper-Hughes, N. & Bourgois, P. (2004). Violence in War and Peace: An Anthology. Blackwell.
Stop Ecocide Foundation (2021). Proposal for the Inclusion of Ecocide as a Fifth International Crime.
UNRWA (2024). Water and Sanitation Crisis in Gaza.
UN OCHA (2024). Gaza Situation Report.
UNHRC (2025). Legal analysis of the conduct of Israel in Gaza pursuant to the Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide.
Gianluca Brunori è professore ordinario di Politica Alimentare presso l’Università di Pisa. Dal 2024 è Direttore del Centro Interdisciplinare Scienze per la Pace dell’ateneo e Presidente della Società Italiana di Economia Agraria.