Manifestazioni in Indonesia: una rivolta generale contro l’oligarchia
Le recenti mobilitazioni popolari in Indonesia, divampate in diverse città a seguito dell’uccisione di un giovane da parte della polizia, rappresentano una rivolta contro l’oligarchia che regge il paese (il quarto più popoloso al mondo), ma anche contro le crescenti disuguaglianze sociali e la brutalità delle forze dell’ordine. Questa è la chiave di lettura proposta da Michael G. Vann, professore di storia alla California State University di Sacramento, in un articolo recentemente pubblicato su Jacobin. Inizialmente accese dall’indignazione per i benefici spropositati riservati ai parlamentari, le proteste hanno dato voce a un radicato dissenso verso le politiche del presidente Prabowo Subianto, che hanno imposto l’austerità, hanno aumentato la precarietà economica e hanno accentuato i tratti autocratici del regime, richiamando alla memoria i giorni cupi della dittatura di Suharto. Dalla sfida giocosa dei camionisti, che hanno sostituito la bandiera nazionale con quella del famoso anime piratesco One Piece, fino ai violenti scontri di piazza che hanno visto l’incendio di vari edifici istituzionali, le proteste stanno mettendo in luce le contraddizioni profonde del paese: un pezzo di mondo e di umanità generalmente ignorato dai media occidentali. Le proteste indonesiane vedono protagoniste la cosiddetta Gen Z: si tratta di un fenomeno sempre più globale, caratterizzato da forti proteste contro sistemi politico-economici oppressivi ed elitari, che privano le nuove generazioni di futuro.
di Michael G. Vann
Giacarta è in fiamme. Lo stesso vale per Makassar, Bandung, Surabaya, Mataram e altre città dell’Indonesia. Il malcontento, nato dall’indignazione per i generosi privilegi di cui godono i membri del Parlamento, si è rapidamente trasformato in una forte denuncia della brutalità poliziesca, dei privilegi delle élite, della precarietà economica, delle disparità di ricchezza e dell’erosione della democrazia.
La terribile morte di un giovane, Affan Kurniawan, per mano della polizia ha fatto esplodere il paese. Al momento non è chiaro fino a che punto si spingeranno le proteste, ma anche il presidente autoritario dell’Indonesia, Prabowo Subianto, sta già annunciando concessioni per sedare la massiccia esplosione di rabbia sociale.
Dark Indonesia
Quarto paese più popoloso e (almeno per ora) terza democrazia più grande al mondo, l’Indonesia ha dovuto fare i conti con l’eredità dell’autoritarismo e con la dura disciplina del libero mercato dopo la rivolta popolare che, nel 1998, ha posto fine al regime dittatoriale del “Nuovo Ordine” di Suharto.
Nel corso dell’ultima settimana di agosto, il dissenso a lungo covato da una parte importante della popolazione si è trasformato in violente azioni di massa in tutto l’arcipelago. Con una ferocia e una rapidità senza precedenti, grazie anche ai social media, varie migliaia di cittadini disillusi si sono uniti alle manifestazioni.
La tensione sociale era andata crescendo fin dai primi mesi del 2025. A febbraio scorso, una serie di manifestazioni studentesche in tutta l’Indonesia avevano sfidato Prabowo. Organizzati sotto l’hashtag #IndonesiaGelap o #DarkIndonesia, i manifestanti si erano opposti a una serie di decisioni governative, tra cui i massicci tagli al bilancio sociale, il ruolo crescente dei militari nella governance del paese, il nepotismo, la corruzione e un controverso programma di mensa scolastica gratuita gestito dai militari.
Il movimento giovanile ha abbracciato con entusiasmo l’estetica punk fai-da-te e ha adottato il pezzo “Bayar, Bayar, Bayar” (“Paga, paga, paga”) della famosa band Sukatani come inno: la canzone fonde sensibilità punk, goth e new wave retrò in una rumorosa condanna della corruzione della polizia.
Sebbene queste manifestazioni si siano concluse senza evidenti risultati, il sentimento pessimistico di Dark Indonesia si è ampiamente diffuso nella società e molti hanno espresso la volontà di lasciare il paese. L’hashtag #KaburAjaDulu, ovvero “Scappiamo via prima”, è diventato virale, riflettendo l’insoddisfazione diffusa tra i/le giovani indonesiani/e che devono affrontare scarse opportunità di lavoro e prospettive di carriera.
Prabowo e la sua amministrazione hanno reagito duramente, contestando questa tendenza a lasciare il paese, deridendo i giovani e suggerendo che la loro protesta fosse parte di una cospirazione. Il deputato dell’opposizione Charles Honoris ha replicato descrivendo l’hashtag come “un campanello d’allarme, non un motivo per etichettare i giovani come antipatriottici o scoraggiarli dal tornare… Invece di reagire negativamente a questa tendenza, il governo dovrebbe concentrarsi sul rafforzamento dei programmi di collocamento e protezione dei lavoratori”.
Riscrivere la storia
A maggio scorso il Ministro della cultura Fadli Zon, da tempo sostenitore dell’attuale Presidente Prabowo e accanito sinofobo, ha sconvolto molti indonesiani annunciando che stava riscrivendo la storia nazionale. Il progetto era un evidente tentativo di nascondere le violazioni dei diritti umani commesse durante l’era Suharto. Zon ha poi fatto commenti sprezzanti sugli stupri di massa delle donne cinesi durante gli ultimi giorni caotici del Nuovo Ordine, insinuando che la portata di questi crimini, in realtà ben documentati, fosse stata esagerata ad arte. Secondo il ministro, le violenze anticinesi del 1998 avrebbero fatto parte di una strategia occulta per deviare la rabbia popolare da Suharto verso un capro espiatorio credibile [la minoranza sino-indonesiana, storicamente percepita come economicamente privilegiata, ndr].
In quegli stessi anni l’attuale Presidente Prabowo, allora generale dell’esercito e genero di Suharto, è stato congedato con disonore per il suo ruolo nel rapimento, nella tortura e nella scomparsa di attivisti che chiedevano la fine del regime. In un’audizione della commissione, i politici dell’opposizione Mercy Chriesty Barends e Bonnie Triyana hanno criticato pubblicamente Zon per aver cercato di sminuire e cancellare questi crimini.
Di fronte al dissenso crescente da parte di vari settori sociali, Prabowo ha deciso di unificare il paese radunando letteralmente tutti attorno alla bandiera nazionale. Poiché il 17 agosto sarebbe caduto l’ottantesimo anniversario della Dichiarazione di Indipendenza da parte di Sukarno, il Presidente ha ordinato a tutti di esporre la bandiera indonesiana rossa e bianca in segno di patriottismo. Bandiere e luminarie sono rapidamente apparse su tutte le 17.000 isole del paese, settimane prima della data in cui le comunità normalmente espongono decorazioni per la festa nazionale.
Ma poi è accaduto qualcosa di inatteso sulle strade trafficate dell’Indonesia. I camionisti, segnati da lunghe ore di lavoro e da normative onerose, si sono rifiutati di esporre la bandiera nazionale. In atto di dissenso aperto, hanno esposto la bandiera pirata di “One Piece”, il popolare anime giapponese: le immagini dei camionisti sono diventate virali sui social media e le loro bandiere hanno cominciato ad apparire ovunque.
La reazione del Presidente Prabowo è stata furiosa: con un gesto paragonabile a quelli compiuti da Donald Trump, il Ministro per gli affari politici e la sicurezza, Budi Gunawan, ha minacciato cinque anni di carcere o una multa di 30.000 dollari per chiunque avesse osato esporre la bandiera col comico teschio e le ossa incrociate adornato da un cappello di paglia. L’assurdità della reazione così sproporzionata non ha fatto altro che alimentare le vendite della bandiera pirata.
Il presidente della Camera dei rappresentanti indonesiana, Puan Maharani, ha suggerito un approccio più conciliante. Ha ricordato come siano molte e inafferrabili le espressioni di dissenso circolanti in rete: dalla già ricordata “Scappiamo via prima” [Kabur Aja Dulu] fino al “Villaggio nascosto tra le foglie” [Negeri Konoha, riferimento a un altro fumetto giapponese molto famoso, Naruto, il cui villaggio principale nasconde dietro un’immagine felice corruzione, lotte di potere politico, un complesso sistema burocratico e un passato oscuro, ndr].
Oltre a essere la prima donna a ricoprire la carica di presidente della Camera, Puan è figlia della prima Presidente dell’Indonesia e la nipote di Sukarno, leader del paese dopo l’indipendenza: nei suoi interventi, ha più volte ricordato che le democrazie devono consentire il dissenso e la critica.
Un punto di svolta critico
Con l’avvicinarsi del Giorno dell’Indipendenza, la frustrazione nei confronti del governo ha preso una piega violenta nel distretto di Pati, situato nella provincia di Giava Centrale. Tra il 10 e il 13 agosto, almeno 85.000 persone sono scese in strada per protestare contro l’aumento del 250% delle tasse sui terreni e sugli immobili. Quella che era iniziata come una protesta contro una tassazione regressiva si è trasformata in una richiesta di dimissioni del reggente del distretto, Sudewo, e di revoca di diverse politiche locali impopolari.
Il reggente ha provocato i manifestanti, ma ben presto si è trovato sopraffatto dalla rabbia popolare. Quando ha chiamato il sostegno della polizia antisommossa – la famigerata Brimob, o Brigata Mobile – gli agenti e il reggente stesso sono stati cacciati dal centro della città. Dopo diversi giorni di scontri tra i manifestanti e la Brimob, il Parlamento locale ha annullato l’aumento delle tasse e ha avviato una procedura di impeachment di Sudewo. Questa vittoria inattesa ha dato forza agli attivisti di Jakarta.
Secondo la maggior parte dei resoconti, le celebrazioni per l’indipendenza dall’Indonesia dal dominio olandese sono state grandiose e gioiose, anche se molti attivisti hanno scelto di non partecipare. Prabowo ha organizzato una grande celebrazione all’interno dell’Istana (il palazzo presidenziale in stile neoclassico, ex sede del governatore delle Indie orientali olandesi), con parate militari, guardie d’onore e una processione della cavalleria, ma anche sfilate di ufficiali, burocrati e oligarchi. Le persone comuni hanno assistito a una grande autocelebrazione del regime e al sorvolo aereo del Monumento Nazionale (Monas) [l’obelisco monumentale situato al centro di piazza della Libertà a Giacarta, ndr].
Una settimana dopo, il 25 agosto, l’atmosfera nella capitale nazionale era completamente diversa. Sono scoppiate grandi proteste quando si è diffusa la notizia che i 580 membri della Camera dei Rappresentanti ricevevano un’indennità mensile per l’alloggio pari a 50 milioni di rupie (oltre 3.000 dollari), corrispondente a quasi dieci volte il salario minimo di Giacarta, oltre ai loro stipendi e ad altri benefici. I movimenti studenteschi, indignati da simili grottesche manifestazioni di privilegio, si sono mossi per assaltare il complesso del Parlamento. La polizia antisommossa ha lanciato gas lacrimogeni. Gli studenti hanno reagito con pietre e hanno appiccato incendi sotto un cavalcavia. Le strade sono state bloccate e la città è stata a lungo attraversata da manifestazioni.
Le proteste si sono estese e intensificate rapidamente. Il 28 agosto i sindacati si sono uniti alla protesta. Migliaia di studenti, lavoratori e motociclisti in giacca verde [si tratta di motociclisti associati a sindacati o movimenti popolari, spesso impiegati come servizio d’ordine non ufficiale durante le manifestazioni, ndr] hanno marciato chiedendo la fine del sistema degli appalti, salari minimi più alti e protezione dai licenziamenti di massa.
Lo scontro con la polizia è degenerato in vere e proprie battaglie di strada. Usando gas lacrimogeni e idranti ad alta pressione, la Brimob ha combattuto i manifestanti nelle zone intorno al Parlamento, ma anche nei centri commerciali, su alcune autostrade e nelle stazioni ferroviarie, paralizzando il centro di Giacarta.
La rivolta esplode nel paese
Una morte orribile ha aumentato drasticamente la posta in gioco: giovedì sera, fuori dalla Camera dei Rappresentanti indonesiana, un veicolo blindato della polizia ha investito e poi travolto Affan Kurniawan, prima di fuggire a tutta velocità. La vittima, ventunenne, lavorava come rider per consegne a domicilio: un lavoro estenuante e pericoloso con una paga bassa. La morte è stata ripresa in un video e immediatamente caricata sui social media. In modo simile all’omicidio di George Floyd da parte della polizia nel 2020, il video è diventato virale, suscitando dolore e rabbia.
La rivolta si è rapidamente diffusa fuori da Giacarta. Più di venticinque città, da Aceh a Papua, sono diventate teatro di rivolte. I manifestanti a Medan hanno bruciato pneumatici ed eretto barricate. A Pontianak, i leader studenteschi sono stati arrestati e poi rilasciati, a condizione che promettessero di non ripetere le loro azioni. A Makassar, un incendio ha avvolto l’edificio del parlamento locale, uccidendo tre funzionari pubblici e ferendone cinque.
Anche i giovani di Lombok hanno bruciato il Parlamento regionale, mentre a Surabaya gli uffici del governatore di Giava Orientale sono stati saccheggiati e incendiati. A Yogyakarta, la protesta è culminata nell’incendio di un edificio che ospitava un servizio integrato per il rilascio delle patenti di guida, un atto di sfida e di resistenza simbolica, nonostante il sultano della regione cercasse di placare le tensioni attraverso il dialogo. La violenza si è propagata in tutta Giava, con edifici incendiati, posti di polizia distrutti e centri commerciali chiusi.
Nella maggior parte dei casi, la polizia ha perso completamente il controllo della situazione. Spinti dalla rabbia o dal panico, decine di agenti hanno reagito con violenza. Gas lacrimogeni, idranti e spari hanno iniziato a essere ampiamente utilizzati in tutte le principali città e in alcune località minori. In tutto il paese si sono registrati migliaia di feriti, molti dei quali gravi, sono stati segnalati altri decessi e, purtroppo, se ne prevedono altri, poiché la violenza non sembra diminuire dopo quasi una settimana.
Con le prove di comportamenti irregolari da parte della polizia e di atti di sfida di massa caricate sui social media, TikTok ha temporaneamente chiuso i suoi servizi nel vano tentativo di rallentare la rapida escalation e fermare la diffusione di disinformazione. Tuttavia, su tutte le piattaforme di social media si stanno diffondendo voci secondo cui alcuni agenti provocatori avrebbero incitato la folla a giustificare la violenza della polizia.
Agitando un becero luogo comune antisemita, fin troppo familiare, alcuni media russi hanno ipotizzato che dietro i disordini ci fosse George Soros. Gli attivisti di sinistra hanno sottolineato che gli attacchi si sono concentrati sulla polizia nazionale (PoIRI) ma hanno risparmiato le Forze Armate Nazionali Indonesiane (TNI). Considerando la lunga e talvolta violenta rivalità tra TNI e PolRI, è possibile che alcuni elementi all’interno dell’esercito possano sfruttare questa opportunità per i propri scopi.
Altri osservano che, poiché i disordini stiano offuscando la reputazione sia di Prabowo che della Camera dei Rappresentanti, il candidato presidenziale sconfitto alle elezioni del 2024, Anies Baswedan, è quello che ha più da guadagnare dal ciclo di proteste. Considerando il suo passato uso opportunistico della politica identitaria islamica, delle mobilitazioni di massa e della sinofobia per distruggere la carriera di rivali come Basuki Tjahaja Purnama, occorre guardare con attenzione a questi sviluppi.
Disordini, ritorno all’ordine e repressione
La violenza è continuata anche nei giorni successivi. Diverse stazioni di polizia a Giacarta e altrove sono state attaccate, con gruppi che hanno lanciato pietre e bombe Molotov. La stazione di polizia di Giacarta Est è stata rasa al suolo. I social media sono stati inondati da centinaia di video degli scontri, alcuni dei quali mostravano atti di violenza allarmanti.
Nei quartieri ricchi di Giacarta, centinaia di persone hanno fatto irruzione in varie gated communities [comunità chiuse in cui vivono le classi più agiate, ndr] e hanno attaccato le case di politici particolarmente noti, come Eko Patrio, che aveva pubblicato messaggi sui social media beffandosi dei manifestanti. I video mostravano persone che portavano fuori dalla casa sedie, lampade, valigie, altoparlanti da studio e materassi.
Anche l’abitazione del deputato Ahmad Sahroni è stata invasa e vandalizzata, e i responsabili hanno portato via borse di lusso, una grande cassaforte, un televisore, attrezzature per il fitness, un pianoforte e una statua a grandezza naturale di Iron Man. Anche la casa della Ministra delle Finanze, Sri Mulyani Indrawati, è stata saccheggiata: richiamando la trama del recente film Mountainhead [in cui quattro amici miliardari fanno un weekend di ritiro, mentre il mondo attraversa un periodo di grande turbolenza, ndr] l’attacco alla sua residenza potrebbe essere stato scatenato da un video generato dall’intelligenza artificiale in cui la Ministra avrebbe ridicolizzato gli insegnanti delle scuole pubbliche.
A causa della rivolta, il presidente Prabowo ha annullato un viaggio programmato in Cina per affrontare direttamente la crisi, esprimendo il suo rammarico e promettendo un’indagine sulla morte di Affan Kurniawan: cambiando radicalmente atteggiamento rispetto ai disordini del 1998, ha immediatamente fatto visita alla famiglia del giovane rider ucciso, esprimendo il suo profondo rammarico per l’accaduto.
Il 31 agosto Prabowo ha tenuto un discorso conciliante, promettendo di ridurre drasticamente gli stipendi parlamentari eccessivi e di cancellare altri benefici. Tuttavia, ha anche incoraggiato la polizia a dare la caccia ai responsabili dei disordini e delle devastazioni: «Il diritto di riunirsi pacificamente deve essere rispettato e protetto. Ma non possiamo negare che ci siano segni di azioni al di fuori della legge, persino contro la legge, che tendono al tradimento e al terrorismo».
Lo Stato sta reprimendo le manifestazioni. Solo a Giacarta sono stati effettuati oltre mille arresti: con altre migliaia di persone detenute altrove, ci si chiede come la polizia e i tribunali, già oberati di lavoro, riusciranno a garantire un giusto processo. La polizia nazionale e l’esercito sono stati mobilitati per ripristinare l’“ordine”, un termine sempre più utilizzato per giustificare la repressione del dissenso. I social media continuano a documentare le tattiche repressive del governo e della polizia.
Usman Hamid, direttore esecutivo di Amnesty International Indonesia, ha criticato il discorso del Presidente definendolo insensibile e fuori luogo. Ha esortato Prabowo a prendere seriamente in considerazione le rimostranze della popolazione.
L’espressione di una crisi profonda
Le proteste del 2025 sono diventate l’espressione di una crisi più ampia, causata da misure di austerità che colpiscono le politiche pubbliche e dall’inesorabile arricchimento dell’élite, che rivela la fragilità del tessuto democratico indonesiano. I cittadini – in particolare i giovani, i lavoratori e i lavoratori della gig economy – hanno posto una domanda chiara: quali interessi difende esattamente questo governo?
Le rivolte mettono a nudo le contraddizioni fondamentali dell’economia politica indonesiana: il divario tra la classe dirigente e i governati, la collusione tra austerità ed eccessi e il risentimento latente di una generazione che vede il proprio futuro ipotecato.
I due impulsi contrapposti dello Stato, concessione e repressione, mettono in luce la sua insicurezza. Le vittorie nel distretto di Pati o l’ammorbidimento della retorica predisenziale non contribuiscono in modo significativo a modificare le tensioni strutturali. Se non controllata, la reazione potrebbe accelerare il crollo della accountability democratica. Paesi vicini come la Thailandia, la Cambogia e le Filippine offrono esempi concreti di cosa voglia dire fragilità della democrazia.
In questo senso, quello esploso nell’agosto 2025 non è solo un ciclo di proteste come un altro: si tratta potenzialmente d’un punto di svolta, in cui lo spirito civico dell’Indonesia si è scontrato frontalmente con l’impunità dell’élite. Come risponderà lo Stato? Repressione o riforme? Il futuro dell’Indonesia non è mai stato così incerto.
Fonte: Jacobin, 4 settembre 2025 (traduzione di Matilde Ferrari).