sabato, Settembre 13, 2025
ConflittiEconomia

Le mobilitazioni dei portuali fermano le armi verso Israele

 

di Matilde Ferrari

Nella teoria del caos, l’effetto farfalla descrive come piccole variazioni nelle condizioni di un sistema complesso possano generare grandi cambiamenti nel lungo periodo. Quanto sta accadendo in vari porti del Mediterraneo – la decisione dei portuali di impedire lo sbarco di armi destinate a Israele – sembra offrire un esempio concreto di questa dinamica: la mobilitazione coordinata di vari gruppi può riuscire a fermare la filiera globale della guerra e del genocidio.

Tutto ha avuto origine nel porto del Pireo, in Grecia. Qui Damianos Voudigaris, sindacalista dell’Enedep (il sindacato dei portuali greci), ha segnalato la presenza di materiale bellico diretto verso Israele in tre container della compagnia Evergreen a bordo della Cosco Shipping Pisces, una delle navi portacontainer più grandi al mondo. La notizia ha subito attivato i lavoratori portuali ateniesi, che il 16 luglio scorso si sono mobilitati per bloccare il transito delle armi: gli armamenti sono stati così reindirizzati verso i porti della Spezia e di Genova.

La notizia si è rapidamente diffusa in tutti i porti del Mediterraneo attraverso i membri del Coordinamento internazionale dei porti contro la guerra, in contatto diretto con l’Unione Sindacale di Base (USB) di Genova. Quest’ultima ha organizzato, lo scorso 25 luglio, un presidio davanti a Palazzo Tursi, sede del Comune del capoluogo ligure. I lavoratori hanno espresso il loro netto rifiuto di collaborare ai trasporti d’armi verso Israele, ritenuto responsabile di genocidio nella Striscia di Gaza, facendo riferimento ai principi contenuti nel loro “Manifesto per un diritto del lavoro della pace”.

“Oggi – si legge nel Manifesto sottoscritto da associazioni, costituzionalisti, giuristi, avvocati del lavoro, sindacalisti ed esponenti di movimenti – l’uso della forza armata sembra costituire l’unico mezzo per la risoluzione dei conflitti, il piano di riarmo deciso dall’UE e l’aumento delle spese militari della NATO sono destinati a sottrarre risorse ai beni pubblici essenziali e costituiscono una condanna al precariato e allo sfruttamento per lavoratrici e lavoratori”. Il Manifesto chiede di “non collaborare con il piano di riarmo e con l’economia di guerra”, esercitando il diritto di sciopero o dichiarandosi obiettori di coscienza: si tratta, si legge ancora, di un “supporto giuridico fondato su principi costituzionali e sul diritto internazionale, dato a chi concretamente si rifiuta di collaborare con l’economia e la cultura della guerra”.

Il presidio dei portuali davanti al Palazzo Comunale ha indotto la Giunta a prendere posizione: “il Comune di Genova – si legge in un comunicato stampa – è contro tutte le guerre, compresa quella verso la quale sarebbe diretta la nave che oggi voi contestate”. Alle parole sono seguiti anche i fatti: il 30 luglio, appena cinque giorni dopo la manifestazione, il Consiglio comunale genovese ha approvato una mozione per il riconoscimento dello Stato di Palestina e la sospensione dei rapporti istituzionali con il governo israeliano. Il testo era già stato redatto, ma ne sono stati rafforzati i punti principali alla luce delle richieste avanzate durante il presidio dei portuali. 

Il primo agosto scorso, la mobilitazione ha prodotto un importante e inedito risultato: il solo annuncio di uno sciopero di 24 ore, indetto dal Collettivo Autonomo dei Lavoratori Portuali (CALP) e dall’USB per il 5 agosto, è stato sufficiente per indurre la cinese Cosco a rinviare il carico di armi a Singapore, porto di partenza dei tre container della Evergreen.

“La notizia è una grande vittoria – ha dichiarato il rappresentante del CALP – proprio perché è la prima volta che una compagnia marittima di grande peso come la Cosco comunica la rinuncia a un proprio carico. Continueremo questo tipo di mobilitazioni a sostegno della popolazione palestinese per ottenere un cessate il fuoco immediato e chiedere che non ci siano più traffici di armamenti nei porti civili”. Il rappresentante dell’USB Mari e Porti ha espresso la medesima soddisfazione: “Siamo stati il proverbiale ‘sassolino’, capace per una volta di inceppare davvero l’ingranaggio della logistica bellica”.

Non è la prima volta che i lavoratori portuali genovesi si oppongono al transito di armi verso Israele: già a novembre 2023, poco dopo l’inizio dell’offensiva israeliana a Gaza, i sindacati di base dei portuali avevano lanciato una mobilitazione per bloccare il varco di San Benigno, uno dei punti chiave della viabilità genovese, per impedire il transito degli armamenti. A giugno 2024 era stato organizzato un presidio a sostegno della Palestina, durante il quale erano stati bloccati i varchi portuali. Infine, lo scorso 7 giugno un’ulteriore mobilitazione aveva impedito la partenza della portacontainer Zim, anch’essa coinvolta nel trasporto di armamenti verso Israele.

Con la decisione di non collaborare al genocidio in corso, i portuali del Mediterraneo mostrano la forza della resistenza nonviolenta contro il complesso militare-industriale globale, di cui Israele costituisce oggi uno dei perni fondamentali. Moltiplicando queste azioni si può spezzare la catena globale della violenza, facendo pressioni sui governi affinché adottino un embargo totale dei sistemi d’arma verso e da Israele.

La mobilitazione dei portuali in ogni caso non si ferma: il prossimo appuntamento del coordinamento mediterraneo sarà proprio a Genova, il 26 settembre. Tra gli obiettivi dell’iniziativa quello di elaborare strategie efficaci per rendere i porti spazi liberi dai traffici d’armi. In Italia, ciò significa anche applicare pienamente la legge 185/90, che già vieta l’invio di armamenti a paesi in guerra: una norma troppo spesso elusa, grazie a opacità e triangolazioni con paesi terzi, che il governo italiano vorrebbe indebolire.

 

Matilde Ferrari è laureata in Filologia e Storia dell’Antichità all’Università di Pisa e svolge attualmente il Servizio Civile Universale presso il Centro Interdisciplinare Scienze per la Pace.