Quando la tregua olimpica viola i diritti umani: il rovescio della medaglia di Parigi 2024
di Silvia Morbin
La “tregua olimpica” dei Giochi di Parigi 2024
Nell’antica Grecia con il termine ἐκεχερία si intendeva la tregua olimpica. A dispetto di quel che si possa credere, ciò non implicava affatto la cessazione o l’interruzione di qualsivoglia disputa, battaglia o guerra nel territorio dell’Ellade. Imponeva, piuttosto, agli stessi Elleni di contribuire al buon svolgimento dei giochi: nessuno poteva molestare gli atleti o gli spettatori, né ostacolare o disturbare in qualche modo le gare e anche i nemici diventavano amici.
Il governo francese sembra aver ripreso ed esasperato questa idea di tregua in occasione dei Jeux Olympiques 2024: la paura di disordini e attacchi terroristici, ma anche il timore e la premura di offrire al mondo intero l’immagine di un paese progressista, sicuro e pulito hanno dato vita a una sorta di “ordinamento olimpico”, fatto di leggi, atti amministrativi e decisioni politiche che hanno, come risultato finale, la lesione di libertà e diritti fondamentali. A pagarne le conseguenze sono sia i residenti che i turisti, ma sono soprattutto i grands marginaux: gli emarginati, i senza fissa dimora, i poveri, gli immigrati, gli studenti fuori sede.
Governo e funzionari della prefettura parigina parlano di misure necessarie per garantire l’ordine pubblico, in nome di un generico “interesse comune”; ma, all’interno di questa presunta “comunità” e dei valori universalistici ed inclusivi di cui le Olimpiadi si fanno portatrici, non c’è spazio per chi non corrisponde al modello di una cittadinanza ideale.
Ecco quindi che, in vista del grande evento sportivo, è stata adottata una legislazione eccezionale, straordinaria, tipica di uno stato di emergenza. Caratteristica peculiare degli assetti emergenziali è, infatti, proprio quella di giustificare, tramite il richiamo strumentale a valori costituzionali, l’adozione e l’implementazione di atti che ledono, di fatto, la dignità e la libertà personali.
La loi olympique II: dalla ricerca della sicurezza alla riduzione delle libertà
A rilevare in tal senso è, anzitutto, la loi olympique II del 19 maggio 2023, che prevede diverse disposizioni in materia di sicurezza, assistenza, antidoping e trasporti con lo scopo di assicurare il “corretto svolgimento” dei Giochi. Queste disposizioni sono figlie di quanto previsto già nel 2021 dalla loi de sécurité globale, cui si aggiunge la specificazione préservant les libertés. Sorgono, però, due dubbi: il primo, che questi testi normativi mantengano veramente – e non solo formalmente – intatte le libertà; il secondo, che sia rispettato il principio di proporzionalità tra la limitazione dei diritti personali e l’esigenza di far prevalere il pubblico interesse alla “sicurezza”.
La loi olympique II, riprendendo la loi de sécurité globale, autorizza la sperimentazione di sistemi di videosorveglianza “intelligente” per garantire la sicurezza di eventi sportivi, ricreativi o culturali particolarmente esposti a rischi. Questi dispositivi, che utilizzano l’intelligenza artificiale, e che vengono definiti “fotocamere aumentate”, hanno lo scopo – l’unico scopo, sottolinea l’art. 10 – di rilevare in tempo reale alcune tipologie predeterminate di eventi (come movimenti della folla, una borsa abbandonata o comportamenti sospetti) nei luoghi che ospitano manifestazioni, nei loro dintorni e sui trasporti pubblici.
Tale sperimentazione, però, presenta due ordini di problemi, poiché eccede il quadro delle Olimpiadi a doppio titolo. In primo luogo, il periodo di vigenza della disposizione normativa potrà essere prorogato fino al 31 marzo 2025. In secondo luogo, l’oggetto dell’articolo va ben al di là dei Giochi Olimpici: la disposizione si applica a qualsivoglia manifestazione pubblica che possa presentare pericolo di attentati o disordini pubblici.
La militarizzazione della città
Passeggiare per la ville lumière è diventato, nei giorni delle Olimpiadi, un’esperienza quasi distopica. I poliziotti sono ovunque: nei vagoni del métro, a pattugliare parchi, piazze e rues solitamente affollate e ora deserte.
Il dispiegamento di forze dell’ordine, infatti, è considerevole: circa 18.000 militari e 30.000 poliziotti e gendarmi vengono mobilitati ogni giorno, 45.000 soltanto in occasione della cerimonia d’apertura sul lungo Senna. È stato previsto anche un sistema di agenti di sicurezza privata, che dovrebbero raggiungere la quota di 22.000 unità: a tal fine, l’art. 12 della loi olympique prevede che dal 1 luglio fino al 15 settembre 2024, per garantire la sicurezza dei Giochi Olimpici e Paralimpici, anche gli stranieri titolari di permesso di soggiorno possono, eccezionalmente, essere impiegati in attività di sicurezza privata.
Si conta poi un dispiegamento di 120 agenti in più alla RATP (la compagnia di trasporti pubblici dell’Île-de-France) e un supplemento di 1800 agenti provenienti da una quarantina di paesi, tra cui l’Italia.
Ma non è tutto: per entrare nelle zone ritenute a rischio è necessario munirsi di un QR code. E Parigi è stata blindata, fino all’indomani della cerimonia di inaugurazione, da circa 44.000 transenne e griglie che impedivano il passaggio ai luoghi sensibili, come la Tour Eiffel o il lungo Senna.
Il territorio cittadino sembra essere diventato un campo di battaglia: la capitale francese è stata, a tutti gli effetti, militarizzata. L’impiego della gendarmerie e dell’esercito – teoricamente preposto alla difesa dei confini e all’azione esterna – lasciano intendere che si combatte sempre, ovunque, contro chiunque osi sfidare la “pace” olimpica garantita a fatica dal governo. Perché il nemico sembra ormai essere ovunque.
La natura elitaria dell’interesse “comune”
Nella capitale francese, insomma, il diritto alla privacy, la libertà di circolazione e di manifestazione del pensiero – cui è legata anche la libertà di esprimere il proprio dissenso – sembrano subire delle gravi limitazioni. Basti pensare che otto attivisti di Extinction Rebellion sono stati trattenuti per ore in commissariato solo per aver attaccato degli adesivi che contestavano l’impatto climatico delle Olimpiadi nella metro di Parigi.
Ad aggravare le disposizioni legislative vi sono anche altre misure significative: ai lavoratori della capitale è stato consigliato di svolgere smart working per tutta la durata delle manifestazioni sportive; il prezzo di una corsa del métro è lievitato a 4.50 euro – più del doppio rispetto a prima – e alcune stazioni sono state soppresse.
Il tutto, ufficialmente, per garantire la sicurezza e l’ordine pubblico. È indubbio che il pericolo di attentati e disordini nel corso di grandi eventi non può mai essere sottovalutato e impone un maggior controllo, ma tali misure appaiono sproporzionate e non coerenti con lo scopo della loi olympique. Sembrano, piuttosto, rispondere all’esigenza di garantire in maniera quasi ossessiva la ἐκεχερία, la tregua olimpica, intendendo la pace come una totale neutralizzazione dello spazio pubblico e sociale: una visione che poggia, a sua volta, su ragioni politiche ben lontane da quelle di garantire la protezione della comunità.
Il rincaro del costo del métro e l’invito al télétravail, ad esempio, non rispondono solo a questioni di sicurezza, ma anche di logistica: bisogna evitare l’affollamento nei mezzi pubblici, per non sfigurare davanti al mondo intero. Per la stessa ragione sono state previste delle indicazioni rosa nelle stazioni, che indicano i percorsi per raggiungere i siti dei Jeux. Allo stesso tempo, la riduzione del traffico serve a garantire agli atleti di spostarsi ai campi di gara in meno di trenta minuti, per non incidere sulle loro performances.
Ma la predisposizione del palcoscenico per il grande evento è partita già da diversi mesi: è così che il volto di Parigi ha subito una metamorfosi che non può passare inosservata. È stata messa in atto una vera e propria opera di “bonifica” contro il cosiddetto “degrado urbano”: le nuove strade, che si moltiplicano in quartieri prima abbandonati a se stessi, sono ornate con aiuole verdi e colorate e caratterizzate da una cementazione omogenea.
Insomma, perfette: e proprio un’immagine di perfezione sembra essere alla base di molte decisioni governative. C’è da chiedersi se questo interesse comune – che sembra piuttosto un interesse elitario e politico – giustifichi le limitazioni sopra elencate.
Una “pulizia sociale”
Ai fini del raggiungimento della tregua olimpica si è resa necessaria l’esecuzione di un’ulteriore, decisiva misura: l’allontanamento dal panorama dei Jeux di quanti l’avrebbero deturpato con la loro semplice presenza. Ecco quindi che, a partire dallo scorso anno, il governo francese, di concerto con la prefettura parigina, ha preso dei provvedimenti che vengono istituzionalmente detti “di accompagnamento”, ma che potremmo a ragione definire di vera e propria “pulizia sociale”.
Nel biennio 2023-2024, in vista del grande evento sportivo, si è registrato lo sgombero di più di 130 spazi di vita, di cui 64 baraccopoli, 34 tendopoli e 33 occupazioni. Basti pensare, a titolo esemplificativo, alla demolizione dello squat Unibeton sull’Île-Saint-Denis: uno spazio occupato senza autorizzazione che accoglieva 400 persone senza dimora, distrutto in aprile 2023 per la costruzione del Village Olympique. Ad aggravare gli sgomberi, un altro dato: più di 3000 posti negli hotel convenzionati, utilizzati dall’amministrazione per affrontare l’emergenza abitativa, sono stati chiusi per essere adibiti a luoghi di accoglienza dei turisti.
In totale, sono state eliminate dalla visuale olimpica e, quindi, condotte al di fuori dell’area metropolitana parigina, all’incirca 12545 persone (di cui 3434 minorenni), il 38,5% in più rispetto al biennio precedente, 2022-2023.
Sono, questi, dati informali segnalati dal collettivo Le revers de la médaille, che raccoglie 80 organizzazioni impegnate nella lotta contro gli atti di forza subiti da senza tetto, tossicodipendenti, migranti, beneficiari di aiuti alimentari e sex workers in occasione delle Olimpiadi. Il collettivo denuncia non solo la bonifica sociale ma anche l’assenza di soluzioni abitative reali e durature offerte a coloro che si sono visti espropriare quello che, sostanzialmente, era il loro domicilio. Eppure, secondo il portavoce della campagna, Paul Alauzy, sarebbero bastate alcune decine di migliaia di euro – niente, in confronto ai 9 miliardi stanziati per i Giochi – per alleviare almeno in piccola misura la povertà.
La manifestazione di protesta in Place Jules Joffrin
Parigi, quindi, accoglie il mondo intero, ma gli invisibili, gli sfrattati, gli immigrati rimangono senza casa: è per combattere contro questa ingiustizia che, nella notte tra il 23 e il 24 luglio, a qualche giorno dalla sfarzosa cerimonia di inaugurazione sul lungo Senna, più di 200 persone, soprattutto donne e bambini, si sono accampate davanti al municipio del XVIII arrondissement, in Place Jules Joffrin. I manifestanti, tutti sans demeure fixe (SDF), non chiedono altro che soluzioni abitative meno precarie di quelle offerte loro dal governo; quest’ultimo, infatti, ha istituito delle SAS – case di accoglienza – in diverse regioni del territorio francese e nei dintorni di Parigi per gli SDF allontanati dall’Île-de-France.
Ma tali sistemazioni presentano due ordini di problemi. In primo luogo, sono temporanee, poiché il periodo di soggiorno non può superare le tre settimane, al termine delle quali i (di nuovo) senza tetto ritornano nell’area metropolitana. In secondo luogo, molte delle persone senza casa sono in attesa di documenti che li regolarizzino e, per mantenere famiglie spesso numerose, si dividono tra diversi lavori racimolati nella ville; per questi ultimi, dunque, le SAS régionaux comporterebbero non già una soluzione, bensì la perdita di tutto quel (poco) che hanno.
L’incomprensibile soddisfazione della prefettura di Parigi
Da parte sua, la prefettura di Parigi – secondo quanto affermato dal capo di gabinetto del Prefetto dell’Île-de-France, Adeline Savy – si ritiene “soddisfatta” per aver creato 200 posti di reinserimento ed assicura che le Olimpiadi sono un’opportunità per ricollocare persone in situazioni precarie. Savy ha spiegato che gli interventi di sgombero sono finalizzati a impedire la formazione di grandi accampamenti che rendono impossibile l’accesso alle banchine e che disturbano il regolare passaggio dei residenti locali.
Di nuovo, il fine ultimo delle misure adottate è ben chiaro. La prefettura stessa – forse senza rendersene conto – lo mette in luce: permettere alla comunità “integrata” di godere indisturbata del proprio territorio. Peccato che da tale comunità e dal territorio stesso siano esclusi coloro che ne turbano il decoro: i poveri, che evidentemente non hanno diritto di far parte della popolazione parigina.
Anche il Comune di Parigi dà il suo contributo a queste politiche. Lea Filoche, responsabile alla mairie de Paris delle politiche sociali, giustifica l’installazione di tavoli da pic-nic lungo il canale Saint-Martin come la creazione di dispositivi di legame sociale per i parigini (solo per loro?) che non partono in vacanza. Eppure, appare chiaro che tali dispositivi sono stati collocati proprio lì per impedire alle numerose tendopoli, prima presenti in quella zona, di riformarsi.
La loi anti-squat
A fare da cornice alle decisioni e alle misure amministrative è, ancora una volta, una legge adottata ad hoc in vista dei Giochi Olimpici, la loi 2023-668 del 27 luglio 2023, detta anche loi anti-squat: una legge contro le “occupazioni abusive” di immobili. Sulla base di questo testo normativo, gli occupanti rischiano, in totale, 4 anni di prigione e 60.000 euro di multa.
Vengono, infatti, introdotte nel codice penale francese due nuove fattispecie di reato: la prima riguarda la semplice occupazione, cioè “l’introduzione fraudolenta in locali a uso abitativo o commerciale, agricolo o professionale”. Si assiste quindi a un ampliamento dell’ambito di applicazione del concetto di occupazione abusiva, prima riferito solo a locali ad uso abitativo.
Il secondo reato consiste nella permanenza di una persona “senza diritto o titolo nell’abitazione in violazione di una decisione definitiva ed esecutiva che abbia dato luogo a regolare ordine di sgombero dell’abitazione per più di 2 mesi”.
Il tutto, in ottica di protezione del proprietario dell’immobile e di penalizzazione dell’occupante che, molto spesso, è una persona che si trova in uno stato di difficoltà economico-sociale.
L’idea di società portata avanti dal governo, sfruttando l’occasione dei Giochi Olimpici, appare molto chiara: si proteggono i proprietari di immobili, ma non si riescono ad aiutare coloro che sono costretti ad abitare per strada o in edifici occupati perché non possono permettersi una sistemazione dignitosa.
E non è un caso che tale legge sia stata applicata perlopiù in zone che hanno poi ospitato installazioni per le Olimpiadi.
I Giochi Olimpici specchio di una democrazia in crisi
Ecco, quindi, il rovescio della medaglia di questi Giochi Olimpici: sfratti, gentrificazione, militarizzazione, esclusione dei soggetti in difficoltà, violazione dei diritti in vista di un interesse presentato come comune, ma in realtà strettamente politico ed elitario.
Ma questo, a ben vedere, è anche il rovescio della medaglia degli attuali sistemi democratici: invocano, a propria legittimazione, la nozione di demos – di popolo – ma la declinano in modalità sempre più classiste, razziste ed escludenti. E la conseguenza è lo svilimento della dignità di coloro che del “popolo” non possono fare parte: gli extracomunitari, i poveri, i senza tetto, i soggetti marginalizzati, siano essi uomini, donne o bambini.
In questa società, che promuove limitazioni sempre più forti delle libertà in nome della sicurezza dei possidenti e dei soggetti ben integrati, anche il dissenso non è ammesso. E i dissidenti vengono rappresentati e trattati come “nemici pubblici”, anch’essi criminalizzati.
Da questo punto di vista, i Giochi Olimpici sono lo specchio di democrazie in crisi, sempre meno capaci di costruire la pace sulla giustizia sociale, e sempre più inclini a identificarla con l’ordine pubblico perseguito a ogni costo, fosse pure a costo della libertà e dei diritti.
C’è da sperare che l’esigenza di una generica ἐκεχερία non dia luogo ad una epidemia di misure “democratiche” tese ad escludere chi dà fastidio, chi turba quell’utopistico interesse comune di cui spesso si parla ma mai si definisce.
Silvia Morbin è laureata in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Verona. Attualmente svolge il Servizio Civile Universale presso il Centro Interdisciplinare “Scienze per la Pace” dell’Università di Pisa.