giovedì, Aprile 18, 2024
Diritti

Decreto-Legge “Immigrazione”: cosa cambia davvero?

di Daniela Serafino

 

Dopo il voto favorevole sia alla Camera che al Senato, lo scorso 18 dicembre è stato definitivamente convertito in legge il decreto 130/2020, che ha modificato i “Decreti immigrazione e sicurezza” fortemente voluti dall’ex Ministro degli Interni. La modifica era stata adottata ai primi di ottobre dal Consiglio dei ministri, dopo mesi di complesse trattative all’interno della maggioranza. Da un lato il Partito democratico, che aveva più volte promesso una modifica significativa dei decreti sicurezza; dall’altro il Movimento 5 Stelle che, per mantenere una certa linea di continuità col precedente governo giallo-verde, premeva per evitare uno stravolgimento totale dei testi. Il risultato finale appare, dunque, come un compromesso che non porta alla cancellazione dei precedenti decreti ma all’adozione di un certo numero di modifiche, alcune delle quali di rilievo.

Tuttavia, com’era prevedibile, l’impianto normativo dei decreti precedenti permane, così come non viene toccata nel suo complesso la legislazione in materia migratoria. Non mancano, comunque, le critiche delle forze politiche di opposizione (Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia) che attaccano il decreto-legge come un “decreto clandestini”.

Quali sono, dunque, le principali innovazioni del nuovo “Decreto Immigrazione”?

Il primo decreto sicurezza “Salvini”, entrato in vigore il 5 ottobre 2018, aveva eliminato l’istituto della protezione umanitaria prevista dall’ordinamento italiano in aggiunta al rifugio (riconosciuto ai sensi della Convenzione di Ginevra) e alla protezione sussidiaria. Le Commissioni Territoriali avevano la possibilità di accordare un permesso per “protezione speciale” nel caso in cui non fosse possibile “allontanare” un cittadino straniero che, tornando nel paese d’origine, sarebbe esposto a tortura o a trattamenti umani degradanti. Il nuovo tipo di permesso copriva una categoria di persone più ristretta rispetto alla precedente protezione umanitaria, con una conseguente riduzione delle garanzie dei diritti degli stranieri. Inoltre, si trattava di un permesso di un anno non convertibile in permesso di lavoro. Il nuovo decreto non ripristina la precedente protezione umanitaria ma estende i casi in cui i respingimenti non sono ammessi, ossia “qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa [la persona soggetta a decisione di respingimento] rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti” e “qualora vi siano fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della propria vita privata o familiare”. Le aggiunte “trattamenti inumani o degradanti” e “vita privata o familiare” sono importanti perché permettono di includere un numero di persone molto più ampio rispetto a quello individuato in precedenza.

Un’altra innovazione riguarda il permesso di soggiorno per calamità (introdotto anch’esso dal decreto “Salvini”), previsto qualora lo straniero debba far ritorno verso un paese che versa in una situazione di “contingente ed eccezionale calamità” che non consente il rientro e la permanenza in condizioni di sicurezza. I termini “contingente ed eccezionale calamità” erano, però, ambigui dal momento che riguardavano eventi temporanei, circoscritti, potenzialmente non prevedibili, escludendo invece eventi di lenta insorgenza come, per esempio, la siccità o l’innalzamento del livello dei mari, che hanno per altro un impatto molto più significativo. Il nuovo decreto sostituisce le parole “contingente ed eccezionale” con la parola “grave”, lasciando spazio a un’interpretazione più ampia applicabile alle migrazioni climatiche.

Sempre in materia di permessi, il decreto estende la possibilità di convertire in un permesso di lavoro vari titoli di soggiorno “precari”, tra cui i “casi speciali” introdotti dal primo decreto “Salvini”. Con le nuove misure i permessi rilasciati per protezione speciale, calamità, residenza elettiva, attività sportiva, lavoro di tipo artistico, motivi religiosi e assistenza a minori, nonché i permessi per cure mediche, diventano convertibili. Le nuove opportunità di conversione, che prevedono l’esistenza di un regolare contratto di lavoro, permettono ai migranti e alle migranti di transitare da una condizione di precarietà e temporaneità a una maggiore stabilità. Le precedenti restrizioni invece, secondo numerose associazioni, rischiavano di alimentare la vulnerabilità al lavoro nero e allo sfruttamento.

Per quanto riguarda le operazioni di salvataggio in mare, il decreto sicurezza bis, entrato in vigore il 15 giugno 2019, prevedeva che il Ministro dell’interno potesse limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale per ragioni di sicurezza e ordine pubblico e, in particolare, nel caso di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. In caso di violazione di tale divieto era prevista per il comandante della nave una multa da 150 mila a un milione di euro, e la confisca dell’imbarcazione. Diversi esperti di diritto internazionale avevano criticato questa previsione, sottolineandone il conflitto con varie norme internazionali: l’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951, che stabilisce il principio di non refoulement; la Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare, che impone di tutelare la vita delle persone soccorse in mare; e la Convenzione di Amburgo che istituisce la zona Ricerca e Salvataggio (SAR) nella quale lo Stato costiero esercita una responsabilità primaria ma non esclusiva. Tale responsabilità prevede che gli altri Stati vicini mantengano un obbligo di soccorso e di coordinamento per favorire i soccorsi.

Il decreto sicurezza bis è stato applicato con gran clamore mediatico quando la capitana Carola Rackete ha deciso di non rispettare il divieto di attraccare al porto di Lampedusa la notte del 29 giugno 2019. Il 12 giungo la Sea Watch aveva salvato 53 migranti nella zona SAR libica ma, rifiutandosi di riconoscere la Libia come “porto sicuro”, la nave si era diretta verso il porto più vicino rispetto alla sua posizione, ovvero Lampedusa, violando il divieto imposto ai sensi del decreto. Il GIP di Agrigento non ha poi convalidato l’arresto di Carola Rackete sostenendo che, portando i migranti in un luogo sicuro, avesse agito nel rispetto del diritto internazionale: nel febbraio 2020, la Cassazione ha rigettato il ricorso della Procura di Agrigento confermando quella decisione. Questa e altre inchieste, per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e violazione dell’ordine di non ingresso, sono state tutte archiviate.

Il nuovo testo non cancella le norme precedenti ma prevede che le limitazioni al transito e alla sosta di navi nel mare territoriale non siano applicabili nel caso di “operazioni di soccorso immediatamente comunicate al centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo e allo Stato di bandiera”. Inoltre, la decisione restrittiva viene presa non più solo dal Ministro dell’interno, ma congiuntamente con il Ministro della difesa e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Vengono, infine, ridotte le sanzioni in caso di violazione dei divieti ora comprese tra i 10.000 e i 50.000 euro.

Un ultimo punto fondamentale riguarda la riforma dell’accoglienza. I decreti “Salvini” avevano sostituito lo SPRAR con un Sistema di Protezione per Titolari di Protezione Internazionale e Minori Stranieri Non Accompagnati (SIPROIMI). Come evidente fin dal nuovo nome, il SIPROIMI, a differenza dello SPRAR, non era destinato ai richiedenti asilo ma ai titolari di protezione internazionale e ai minori non accompagnati. Il nuovo Sistema di Accoglienza e Integrazione (SAI) sarà accessibile anche ai richiedenti asilo, oltre che ai minori non accompagnati ed ai titolari di protezione internazionale. Inoltre, “qualora non accedano a sistemi di protezione specificamente dedicati”, anche i titolari dei permessi di soggiorno di protezione speciale, sociale, violenza domestica, calamità, particolare sfruttamento lavorativo o atti di particolare valore civile potranno accedervi. L’idea di fondo è quella di restituire centralità al sistema di accoglienza gestito dagli enti locali.

Ulteriori innovazioni consistono nella reintroduzione della possibilità di iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo e la riduzione dei tempi massimi dei procedimenti di richiesta della cittadinanza italiana: il primo decreto sicurezza aveva portato questi tempi a 48 mesi, mentre il nuovo decreto li fissa a 36 mesi.

Vengono, infine, ridotti i termini massimi di trattenimento nei Centri di Identificazione ed Espulsione, che passano da 180 a 90 giorni prorogabili di ulteriori 30 giorni. Il trattenimento dovrebbe essere però “prioritario” solo per gli stranieri “considerati una minaccia per l’ordine e la sicurezza pubblica” condannati, anche con una sentenza non definitiva, per alcuni specifici reati1 o per cittadini di paesi terzi con cui esistono accordi di rimpatrio.

Alla luce di queste novità, il decreto “Immigrazione” può essere considerato risolutivo delle numerose criticità che, nel corso degli anni, hanno afflitto il governo del fenomeno migratorio? Le nuove norme costituiscono o almeno anticipano una svolta verso una regolazione equa e sostenibile delle migrazioni, archiviando la lunga storia recente fatta di provvedimenti emergenziali e securitari? Il decreto è il frutto di un compromesso tra le forze di maggioranza: nonostante alcuni aspetti positivi, l’impianto normativo-concettuale con cui è stato fin qui affrontato in Italia il fenomeno migratorio non viene sostanzialmente rivisto o superato.

I tempi di attesa per la procedura di cittadinanza sono stati ridotti, ma tre anni restano un tempo assai lungo, specie se si ricorda che servono comunque dieci anni di residenza ininterrotta nel paese per poter richiedere la nazionalità.

La ricostruzione della rete di accoglienza sul territorio, attraverso la creazione del nuovo Sistema di Accoglienza e Integrazione, potrebbe non essere rapida, senza contare che il nuovo testo prevede che l’accesso dei richiedenti asilo nei SAI avvenga “nei limiti dei posti disponibili”. Vengono reintrodotti una serie di servizi fondamentali da erogare all’interno di queste strutture – assistenza sociale, psicologica, mediazione linguistica e culturale e orientamento lavorativo – ma “senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.

La criminalizzazione dei soccorsi in mare, che ha duramente contrassegnato gli ultimi anni aumentando le sofferenze di chi viaggia, non è stata del tutto superata: persiste la supposizione che salvare vite in mare possa configurarsi come un atto illecito, in assenza di comunicazioni ufficiali delle navi di salvataggio alle autorità competenti, nonostante il salvataggio e lo sbarco in un porto sicuro siano degli obblighi ai sensi del diritto internazionale. La multa, che i decreti Salvini avevano introdotto, viene ridotta significativamente ma non eliminata; così come la previsione di un illecito, punibile con la reclusione fino a due anni, perdura.

L’ampliamento del numero di persone cui può essere riconosciuta una forma di protezione, così come la più ampia convertibilità in permessi per lavoro favorisce la regolarità e la stabilità del soggiorno. Tuttavia, il nuovo decreto non affronta alla radice il problema del governo dei flussi migratori, ovvero il fatto che i canali regolari per arrivare in Italia siano molto pochi ed estremamente restrittivi. I visti turistici sono rilasciati dalle ambasciate con sempre maggiore riluttanza. I ricongiungimenti familiari sono soggetti a vari requisiti di reddito e condizione abitativa. Chi vuole venire per lavorare deve prima avere una proposta di contratto da parte di un datore di lavoro, che dovrebbe assumere la persona dall’estero. Chi è in cerca di asilo, perché perseguitato per motivi politici, religiosi, di appartenenza etnica, di orientamento sessuale, di genere, o perché proveniente da un paese dove la sua vita e i suoi diritti fondamentali sono in pericolo a causa di guerre o violenze diffuse, deve prima raggiungere la frontiera italiana per chiedere protezione.

Il superamento di una logica emergenziale e securitaria richiederebbe alcune misure-chiave: la possibilità di un visto per ricerca lavoro, la reintroduzione della figura dello “sponsor”, l’apertura di canali umanitari dai paesi d’origine o di transito di potenziali richiedenti asilo, la possibilità per chi è irregolare di regolarizzare la propria presenza dimostrando di lavorare o di avere legami familiari e sociali stabili nel paese. Rendere le migrazioni legali e sicure è la strategia migliore per interrompere i circuiti criminali che oggi si alimentano del desiderio dei migranti e delle migranti di un’esistenza più vivibile. E, soprattutto, appare l’unica strategia possibile per evitare altre morti alle frontiere.

 

Daniela Serafino frequenta il Corso di laurea magistrale in Studi internazionali, curriculum di Governance delle migrazioni, presso l’Università di Pisa. E-mail: d.serafino2@studenti.unipi.it

 

Nota

1 Si tratta di reati per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, ovvero reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, il reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione, o di minori da impiegare in attività illecite.