giovedì, Novembre 21, 2024

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Questa pagina contiene i video pubblicati regolarmente sulla home del Magazine, selezionati dalla redazione per il loro particolare contributo in termini di conoscenza e riflessione.

Il parlamento israeliano, la Knesset, ha approvato la legge che impedisce all’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA), di operare in Israele, Gerusalemme Est, Gaza e Cisgiordania entro 90 giorni. L’UNRWA, che opera in questi Paesi da oltre 70 anni, svolge in ruolo importante in quanto fornisce assistenza sanitaria, servizi umanitari e scuole alla popolazione del territorio.

Il provvedimento, dunque, bloccherà la distribuzione degli aiuti umanitariimpedirà il rilascio di permessi di lavoro al personale internazionale. Non ci sarà più coordinamento con l’esercito israeliano, il che è particolarmente importante a Gaza, dove il personale potrebbe non riuscire ad attraversare i posti di blocco o entrare nel paese o nei territori occupati, poiché i confini sono sotto il controllo di Israele. Questo insieme di fattori rende questa mossa molto significativa e rischiosa. 

La decisione arriva dopo mesi di tensioni, iniziate a gennaio quando Israele aveva accusato alcuni dipendenti dell’UNRWA di aver partecipato agli attacchi di Hamas del 7 ottobre. L’agenzia aveva risposto licenziando immediatamente il personale coinvolto e avviando un’indagine interna. Tuttavia, in Israele, molti parlamentari, compresi quelli dell’opposizione, hanno votato a favore delle due leggi, dipingendo l’intera organizzazione come un problema, nonostante la forte pressione internazionale a non procedere.

Fonte: Deutsche Welle
 

Sabato 26 ottobre si sono svolte in Georgia le elezioni politiche. La mattina seguente, domenica 27, la Commissione elettorale centrale ha decretato vincitore con il 54% dei voti il partito populista filorusso Sogno Georgiano, già al governo del paese caucasico da 12 anni. Di contro, la coalizione di opposizione filoeuropea guidata dalla presidente della Repubblica Salome Zourabichvili, avrebbe totalizzato il 37,5% dei voti. 

I risultati sono stati contestati da quest’ultima fazione, che non ha riconosciuto la presunta vittoria dell’avversario per via di diverse testimonianze di brogli elettorali e intimidazioni in tutto il paese. Domenica 27 ottobre la presidente Zourabichvili ha invitato i cittadini a protestare pubblicamente contro i risultati, denunciando apertamente la frode elettorale. Nella mattina di martedì 29 ottobre, la Commissione elettorale centrale ha annunciato un nuovo conteggio parziale delle schede riguardante il 14% dei seggi. In una dichiarazione diffusa sul suo sito si legge che “Le Commissioni elettorali distrettuali riconteranno le schede di cinque seggi scelti in modo casuale per ogni distretto elettorale”. 

Sogno Georgiano è stato fondato dal miliardario Bidzina Ivanishvili, che ha la gran parte dei suoi interessi finanziari in Russia ed è sempre stato allineato alle posizioni del regime russo. Nato come partito di orientamento socialdemocratico, negli ultimi anni si è avvicinato alla Russia e ha adottato modalità di governo sempre più autoritarie. Sebbene la questione europea sia centrale, le due fazioni rivali si scontrano su molte altre questioni in penombra: è un quadro molto più complesso, come racconta ilPost in un suo articolo di sabato 26 ottobre.

Fonte: Channel 4 News

Nelle prime ore di lunedì 14 ottobre Shabaan al-Dalou è stato bruciato vivo insieme a sua madre dopo che le forze israeliane hanno bombardato il complesso dell’ospedale dei martiri di Al-Aqsa a Deir el-Balah a Gaza. Nell’attacco è stato distrutto un accampamento di fortuna allestito nel cortile dell’ospedale, causando almeno 40 feriti. Come per la famiglia al-Dalou, si tratta in gran parte di sfollati. 

Shabaan al-Dalou, 19 anni, era uno studente di ingegneria informatica. Sfollato da mesi con la famiglia nella parte centrale di Gaza, Shabaan ha cercato di ottenere aiuto registrando video in cui denunciava la difficile situazione sotto i bombardamenti israeliani. Tuttavia, il giovane studente non è riuscito ad ottenere abbastanza fondi per fuggire con i familiari da Gaza, dove è stato ucciso dalle forze israeliane. 

Il padre di Shabaan, Ahmad al-Dalou, ha raccontato in un’intervista ad Al Jazeera il tragico evento, nel quale si sono salvati solo due dei suoi figli.

Fonte: Al Jazeera

Lo scorso 1° ottobre il fondatore di WikiLeaks, il giornalista australiano Julian Assange, ha tenuto il suo primo intervento pubblico dal suo rilascio, avvenuto dopo 5 anni di prigionia nel Regno Unito, nel corso di un’audizione presso l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa.

Assange ha dichiarato nel corso del suo intervento: “Non sono libero oggi perché il sistema ha funzionato. Sono libero oggi dopo anni di carcere perché mi sono dichiarato colpevole di giornalismo, mi sono dichiarato colpevole di aver avuto una fonte, mi sono dichiarato colpevole di aver ricevuto informazioni da una fonte, e mi sono dichiarato colpevole di aver informato il pubblico su quali fossero queste informazioni. Non mi sono dichiarato colpevole di nient’altro. Spero che la mia testimonianza di oggi possa servire a evidenziare le debolezze delle tutele esistenti e aiutare coloro i cui casi sono meno visibili, ma che sono ugualmente vulnerabili”.

Assange – incriminato per aver divulgato notizie secretate in merito a crimini di guerra commessi dalle truppe degli Stati Uniti soprattutto in Iraq – ha scelto di svolgere la sua prima conferenza stampa al Consiglio d’Europa in quanto l’istituzione si è più volte e a vari livelli espressa a sostegno dei diritti dei giornalisti di svolgere in sicurezza il proprio lavoro e del diritto del pubblico di essere informato in modo completo e corretto.

Fonte: Deutsche Welle

Il nuovo Presidente dell’Iran, Masoud Pezeshkian, ha recentemente annunciato che la cosiddetta “polizia morale” non disturberà più le donne per far rispettare le vigenti norme sul velo: una dichiarazione significativa, per quanto generica, che cade a due anni dalla morte di Mahsa Jîna Amini, avvenuta proprio mentre era sotto la “custodia” della polizia morale. 

L’annuncio del Presidente può essere considerato una risposta alle prolungate proteste popolari che, dopo la morte di Amini, hanno visto coinvolte migliaia di donne in tutto il paese, per chiedere pari libertà e diritti: in aperta sfida contro le leggi oppressive che regolano la loro vita quotidiana, molte donne iraniane hanno bruciato i loro veli e tagliato i loro capelli in piazza.  

La dichiarazione del Presidente non implica necessariamente una riforma radicale delle leggi esistenti, ma potrebbe essere un tentativo di calmare le tensioni e prevenire ulteriori proteste. Le attiviste e le donne iraniane, che da anni lottano per i loro diritti ricevendo ampio supporto internazionale, continueranno a vigilare su queste promesse e a richiedere cambiamenti concreti. 

Fonte: Wion

In Manipur, uno stato di 3,2 milioni di abitanti nel Nord-est dell’India, è in atto dal 3 maggio 2023 un acceso conflitto tra la comunità dei Meitei e quella dei Kuki. Si tratta di uno scontro che affonda le sue radici in ragioni territoriali, etniche e religiose: i Meitei, che compongono più del 50% della popolazione, vivono nella capitale Imphal e nella valle circostante e sono perlopiù induisti; i Kuki, che rappresentano circa il 43% della popolazione, vivono invece sulle colline e sono di religione cristiana

A sopportare il peso di questa continua violenza sono soprattutto le donne. Molte di loro, infatti, rimangono vedove in giovane età e faticano a trovare lavoro per mantenere la famiglia: la società le ignora e il governo non ascolta le loro richieste di aiuto. Lottano per proteggere i figli dalla brutalità divulgata sui social media, dove sono diventati virali i video delle uccisioni dei loro padri da parte di membri della comunità antagonista. 

Le donne non si limitano a sopportare, ma agiscono: nella comunità Meitei vi sono gruppi di attiviste, chiamate Meira Paibis (che significa letteralmente “torce” o “portabandiera”) in virtù del loro ruolo di protezione e supporto alla comunità. Sono casalinghe, contadine, lavoratrici a giornata che, dallo scoppio dei disordini, hanno assunto il ruolo di guardiane dei villaggi: vivono in campi di accoglienza situati nei punti di accesso al territorio Meitei, dove hanno dovuto rinunciare alla loro privacy e alla possibilità di lavorare. 

Fonte: BBC News India 

David Hearst, co-fondatore e direttore della testata giornalistica online Middle East Eye, analizza in questo video le ragioni politiche e le conseguenze dell’uccisione a Teheran di Ismail Haniyeh, capo dell’ufficio politico di Hamas, da parte delle forze israeliane. 

Hearst inquadra l’evento all’interno della politica seguita negli ultimi mesi dal Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, finalizzata ad alimentare le tensioni nell’area, a rischio di far precipitare il Medio Oriente in un conflitto su vasta scala. In particolare, l’assassinio di Ismail Haniyeh ha esacerbato le tensioni, spingendo il partito libanese sciita Hezbollah e altre forze della “resistenza” ad assumere una posizione ancora più aggressiva. Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha dichiarato che “Israele ha superato linee rosse pericolose”, minacciando una guerra su più fronti. 

Le scelte di Netanyahu vengono criticate da molti esperti, che le considerano controproducenti per la sicurezza stessa di Israele e per la sopravvivenza dei prigionieri israeliani ancora presenti nella Striscia di Gaza, rischiando di impedire la tregua e ogni futuro tentativo di dialogo

Fonte: Middle East Eye 

Il 19 luglio 2024 la Corte Internazionale di Giustizia ha espresso il proprio parere consultivo sull’occupazione del Territorio Palestinese da parte di Israele, iniziata dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967. Il parere risponde a una richiesta avanzata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a dicembre 2022. 

A larga maggioranza, i 15 giudici della Corte hanno dichiarato illegale l’occupazione della Cisgiordania, di Gerusalemme Est e della Striscia di Gaza (territorio di fatto occupato, in quanto posto sotto controllo israeliano). L’occupazione si configura ormai come un’annessione permanente, in quanto tale contraria al diritto internazionale e al diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese, ribadito dal parere. 

Israele ha dunque l’obbligo giuridico di porre fine all’occupazione, smantellando gli attuali insediamenti coloniali (abitati da più di 700.000 persone), interrompendo ogni appropriazione di risorse e beni naturali, abrogando il vigente regime giuridico di apartheid, che sottopone i palestinesi a un sistema legale differenziato e penalizzante rispetto agli israeliani.  

Il Ministro degli Esteri palestinese, Riad Malki, ha definito questo un “giorno storico”: la Corte ha messo in luce l’illegalità dell’occupazione e richiamato gli Stati membri delle Nazioni Unite a far rispettare il diritto internazionale. Il parere è stato, invece, duramente contestato dal Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. 

I pareri della Corte internazionale di giustizia non sono legalmente vincolanti, per cui ogni Stato membro potrà decidere se e come accogliere questa presa di posizione. Tuttavia, essa rappresenta un momento di svolta e offre una solida base per eventuali risoluzioni dell’Assemblea generale o del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nonché per il movimento globale di sostegno alla liberazione palestinese.

Fonte: Al Jazeera English 

L’11 luglio 2024 si è commemorato il 29° anniversario del genocidio di Srebrenica, avvenuto durante la guerra in Bosnia-Erzegovina nel luglio 1995, durante il quale persero la vita più di ottomila bosniaci. 

Il massacro fu perpetrato da unità dell’Esercito della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina guidate dal generale Ratko Mladić in quella che, all’epoca, era stata dichiarata dalle Nazioni Unite come “zona protetta” posta formalmente sotto la tutela di un contingente olandese dell’UNPROFOR. 

La commemorazione si è svolta al cimitero memoriale di Potocari, alle porte di Srebrenica. Anche quest’anno sono stati tumulati i resti di altre vittime, tra cui la più giovane è Beriz Mujic, di 17 anni, e la più anziana è Hamed Salic, di 67 anni.  

Lo scorso maggio l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione con cui ha proclamato l’11 luglio Giornata internazionale della memoria del genocidio di Srebrenica. Questa decisione è stata contestata dai serbi e dai serbo-bosniaci, che non riconoscono il genocidio. 

Fonte: TRTworld 

Il Kenya ha vissuto due mesi di intense proteste contro l’ultima legge finanziaria, che intendeva introdurre misure fiscali impopolari, tra cui un’imposta del 16% sul pane e del 25% sull’olio da cucina, nonché una “eco-tassa” su beni ad alto impatto ambientale. Il governo, guidato da William Ruto, ha giustificato le nuove tasse presentandole come necessarie per risanare il debito pubblico del paese, che ammonta a più di 78 miliardi di euro. I critici accusano il Presidente di aver introdotto queste misure su pressione del Fondo Monetario Internazionale e contestano la corruzione e gli sprechi all’interno della macchina governativa.

Il disegno di legge, presentato in Parlamento all’inizio di maggio 2024, ha subito dato vita a un intenso dibattito, che ha visto l’opposizione sostenere le proteste popolari. Tra i dimostranti molti appartengono alla Gen-Z, preoccupata per il proprio futuro e per quello dell’intero paese: la protesta giovanile ha investito anche i social media, dove sono comparsi hashtag come #rejectfinancialbill2024 o #occupyparliament.

Il 25 giugno, durante il voto finale sulla legge finanziaria, un gruppo di manifestanti ha assaltato e dato alle fiamme parte del palazzo del Parlamento a Nairobi. Le forze dell’ordine hanno risposto facendo uso di idranti e lacrimogeni e aprendo il fuoco contro la folla. Secondo la Commissione kenyota per i Diritti Umani, il bilancio degli scontri sarebbe di almeno 23 morti. Il Presidente alla fine ha ritirato il pacchetto di misure fiscali, annunciando nei giorni successivi la nascita di un governo di larghe intese per rispondere al malessere sociale.

Fonte: African Biographics

“Tutte le guerre ci hanno portato nell’abisso. È ora di riprovare la pace”. Con queste parole lo studioso israeliano di fama internazionale Yuval Noah Harari è intervenuto lunedì 1. luglio a un partecipato evento svolto all’Arena Menora Mivtachim di Tel Aviv, per chiedere con forza la fine immediata della guerra su Gaza e un accordo sugli ostaggi di entrambe le parti.

L’evento, intitolato “È arrivato il momento”, ha visto la partecipazione di migliaia di israeliani ebrei e palestinesi, mossi dalla comune speranza per una soluzione politica, pacifica e sostenibile del conflitto. Le voci dei vari partecipanti, raccolte da Middle East Eye, aiutano a comprendere come la società civile israeliana sia una realtà composita, che non può essere schiacciata sulle posizioni del governo e dei suoi ministri più estremisti, che invocano apertamente la pulizia etnica se non il genocidio della popolazione di Gaza.

Fonte: Middle East Eye.

Claudia Sheinbaum è entrata nella storia diventando la prima donna Presidente del Messico dall’indipendenza del paese conseguita nel 1821. Ex sindaca della capitale, la nuova presidentessa è una fisica con un dottorato in ingegneria energetica, e ha fatto parte del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite.

Sostenuta dalla coalizione progressista “Insieme faremo la storia”, che comprende il Movimento di rigenerazione nazionale (Morena), il Partito del lavoro e il Partito ecologista, Sheinbaum ha ottenuto più del 61% dei voti contro il 28% di Xóchitl Gálvez, esponente del Partito Azione Nazionale. Nel corso della campagna elettorale, segnata dall’assassinio di 38 candidati, Sheinbaum ha promesso di portare avanti le riforme del suo predecessore, Andrés Manuel López Obrador, con l’obiettivo di rafforzare lo Stato sociale, contrastare il cambiamento climatico e promuovere i diritti delle donne.

Secondo Laura Carlson, Direttrice del Centro di ricerca e solidarietà “MIRA – Feminism and Democracies”, la schiacciante vittoria di Sheinbaum rappresenta un cambiamento molto significativo per un paese, come il Messico, caratterizzato da forti tradizioni machiste. La sua figura di scienziata e attivista costituisce un esempio per tutte le donne del paese e può rappresentare un punto di riferimento per l’area latino-americana.

Il precedente governo non era riuscito a rispondere alle rivendicazioni dei movimenti femministi, impegnati per una piena parità di genere: il tasso di femminicidi nel paese resta, ad esempio, ancora molto alto. La nuova presidentessa vanta un rapporto diretto e collaborativo coi movimenti delle donne: una delle sue proposte riguarda l’introduzione di una definizione adeguata di femminicidio a livello federale, accompagnata da politiche di sostegno alle donne e di prevenzione della violenza maschile.

Fonte: Democracy Now

Intorno alla metà di maggio 2024, nel territorio francese d’Oltremare della Nuova Caledonia si sono verificati forti disordini: molti edifici pubblici sono stati danneggiati e, al 17 maggio, almeno due ufficiali di polizia francesi e tre civili sono rimasti uccisi. Per contenere i disordini, il Ministro degli interni francese ha dichiarato lo stato di emergenza e inviato un migliaio di unità di polizia nell’arcipelago.

Il motivo scatenante delle proteste è costituito da una recente riforma costituzionale che consente alle persone residenti sull’isola, immigrate dopo il 1998, di votare alle elezioni locali: si tratta, secondo i critici, di una violazione unilaterale dell’accordo stipulato in quell’anno tra il governo francese e i partiti indipendentisti, che aveva messo fine al conflitto violento scoppiato in Nuova Caledonia negli anni ’80 tra le forze indipendentiste e quelle fedeli alla Francia. I rappresentanti degli indigeni Kanak, che costituiscono oggi il 41% della popolazione e che sono tradizionalemente indipendentisti, denunciano la riforma come un tentativo di diluire il loro peso elettorale e politico.

L’accordo del ‘98 prevedeva anche la convocazione di tre referendum sull’indipendenza della Nuova Caledonia, che si sono tenuti dopo più di vent’anni, in un breve arco di tempo: nel 2018, con una vittoria degli indipendentisti; nel 2020, con la vittoria dei lealisti; e nel 2021, con una nuova e netta vittoria di questi ultimi (96% contro 4%), ma col boicottaggio delle urne da parte degli indipendentisti.

Il partito maggioritario in Nuova Caledonia, il Kanak and Socialist Liberation Front, ha chiesto la fine delle azioni violente. Oltre alle questioni politiche, legate alla riforma costituzionale, pesa sulla vicenda il valore strategico dell’arcipelago, la cui isola principale ospita il secondo deposito al mondo di nichel, minerale attualmente essenziale per la produzione di batterie per auto elettriche.

Fonte: South China Morning Post

Giovedì 10 maggio 2024 la Conferenza dei Rettori Spagnoli ha invitato tutte le università del paese a rivedere e, se necessario, interrompere i rapporti di collaborazione con le università israeliane come forma di pressione per ottenere il cessate il fuoco e la fine dell’occupazione militare. Questa presa di posizione si inserisce nel quadro di un imminente riconoscimento dello Stato di Palestina da parte del governo spagnolo. 

“Appoggiamo i sentimenti dei nostri campus – scrivono i Rettori – e la richiesta che si sta diffondendo da essi affinché siano adottate misure efficaci per fermare l’attuale escalation di violenza”. La conferenza dei Rettori, che comprende 77 università pubbliche e private, ha voluto così manifestare il proprio sostegno alle “accampate” promosse in queste settimane dagli studenti e dalle studentesse, partite da Valencia ed estesesi poi al resto del paese, per denunciare il genocidio in corso a Gaza

Il comunicato specifica che la sospensione o la cancellazione degli accordi di collaborazione riguarderà le università e i centri di ricerca israeliani che non hanno espresso “un fermo impegno per la pace e per il rispetto del diritto internazionale umanitario”. I rettori spagnoli chiedono, inoltre, la liberazione degli ostaggi da parte di Hamas e il ripudio di qualsiasi atteggiamento antisemita o islamofobico nelle accampate studentesche.  

Fonti: France 24 Español 

Le strade di Tbilisi, capitale della Georgia, continuano a riempirsi di migliaia di cittadini e cittadine in protesta, dopo che in Parlamento è ripresa la discussione della contestata legge sulle “influenze straniere”. Le manifestazioni sono partite il 9 aprile scorso quando Sogno Georgiano, il principale partito di governo, ha deciso di ripresentare il progetto di legge dopo averlo ritirato lo scorso anno, sotto la pressione delle proteste. 

Se approvata nella sua forma attuale la legge richiederà a gruppi, associazioni e media che ricevono oltre il 20% dei loro finanziamenti dall’estero di registrarsi come “agenti stranieri”. Ciò sottoporrebbe queste organizzazioni a un regime giuridico speciale, con onerosi obblighi di rendicontazione e pesanti sanzioni amministrative in caso di non conformità, secondo un processo di monitoraggio governativo poco trasparente.

Il provvedimento ha suscitato forti polemiche poiché viene interpretato come un allineamento con la Federazione Russa e un passo indietro nel percorso di avvicinamento all’Unione Europea, configurando uno scenario simile a quello ucraino del 2014. Comunemente soprannominata “la legge russa”, la norma in discussione ricorda la “legge sugli agenti stranieri” in vigore in Russia da oltre un decennio.

La polizia è intervenuta in più occasioni per disperdere i dimostranti con l’impiego di gas lacrimogeni, cannoni ad acqua e proiettili di gomma, arrestando decine di persone. Tra i feriti anche il leader dell’opposizione Levan Kabeishvili, che si è presentato in Parlamento col naso bendato: “Se volete ignorare che il leader dell’opposizione sia stato ferito, per il bene di quei giovani che sono rimasti feriti alla testa voglio chiedervi ancora una volta, anche se non ho alcuna speranza, di ritirare questa legge”. 

Fonte: Channel 4 

Israele sta usando l’intelligenza artificiale per violare su larga scala i diritti umani dei palestinesi. Non vogliamo essere complici del genocidio in corso a Gaza”. 

Questa la denuncia di alcuni dipendenti Google, arrestati e poi licenziati dopo aver espresso il loro dissenso rispetto al progetto Nimbus, che ritengono sia connesso all’uso di sistemi di intelligenza artificiale da parte dell’esercito israeliano a Gaza. I dipendenti di Google, cui si sono associati anche alcuni lavoratori di Amazon, hanno organizzato diversi sit-in di protesta sotto gli uffici della società a Mountain View, in California, e da ultimo a New York. 

Il progetto Nimbus, avviato nel 2021 per un valore totale di 1,2 miliardi di dollari, fornisce un servizio cloud al governo di Israele. I dipendenti di Google temono che questo servizio sia alla base di Lavender, il programma di intelligenza artificiale che individua bersagli umani ritenuti militanti di Hamas, consentendo all’esercito israeliano di colpirli rapidamente nelle loro case. Ma potrebbe anche essere utilizzato per il programma Gospel, capace di individuare edifici ritenuti sede di attività militari. 

Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha espresso critiche molto forti sull’uso dell’intelligenza artificiale in ambito militare. Secondo molti osservatori, l’elevato numero di vittime civili a Gaza sarebbe da mettere in relazione proprio all’impiego di tali sistemi d’arma “intelligenti”.

Fonte: TRT World 

Il 26 marzo 2024, durante la 55a sessione del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite a Ginevra, la Relatrice Speciale per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, ha presentato il suo ultimo rapporto intitolato “Anatomia di un genocidio

Sulla base dei dati raccolti e analizzati nel rapporto, la Relatrice ritiene che le operazioni militari condotte dall’esercito israeliano a Gaza, in risposta agli attacchi di Hamas del 7 ottobre, abbiano superato la soglia critica del genocidio.  

“La storia ci insegna che il genocidio è un processo, non un singolo atto, che inizia con la disumanizzazione di un gruppo come ‘altro’ e termina con la sua distruzione, in tutto o in parte” ha affermato Albanese. Per mostrare come si tratti dell’esito finale di un lungo percorso storico, ha ricordato le parole di Edward Said: “I palestinesi sono stati resi orfani di una patria dopo la creazione dello Stato di Israele e a causa delle sue costanti politiche volte a cancellare la loro presenza dalla Palestina”. La radice del conflitto va, dunque, individuata nel colonialismo israeliano e nell’imposizione di un regime di apartheid nei Territori palestinesi occupati dopo il 1967. 

Il rapporto raccoglie e analizza numerosi dati a sostegno della tesi che a Gaza sia in corso un genocidio: il numero elevato di vittime civili, soprattutto donne e bambini; la distruzione di gran parte degli edifici di uso civile, dalle abitazioni alle università, fino ai beni culturali rappresentati da moschee e chiese; la compromissione del sistema sanitario; il blocco degli aiuti umanitari e delle forniture di acqua ed elettricità.

La Relatrice Speciale ritiene che l’intenzione genocidaria ai danni dei palestinesi di Gaza emerga chiaramente da numerose dichiarazioni pubbliche di alti gradi dell’esercito e di esponenti delle istituzioni israeliane, nonché dalla banalizzazione delle sofferenze inflitte alla popolazione palestinese, che emerge da numerosi video di soldati israeliani. Denuncia, inoltre, che il Diritto Internazionale Umanitario venga sistematicamente distorto per giustificare operazioni militari che violano il principio di distinzione tra obiettivi civili e militari

Fonte:  UN Human Rights Council 

L’escalation di violenza ad Haiti continua a causare morte e distruzione. Attualmente, il paese è sotto il controllo di gruppi armati che si scontrano per il dominio del territorio. Il mese di gennaio 2024 è stato il più violento degli ultimi due anni e, secondo quanto riportato dalla relatrice ONU per i diritti umani, Marta Hurtado, migliaia di cittadini sono stati uccisi o feriti, portando all’estensione dello stato di emergenza.

Le tensioni nel paese hanno profonde radici storiche, economiche e sociali. Nel 1804, dopo essere stata una colonia spagnola e poi francese, Haiti ha ottenuto l’indipendenza attraverso la prima rivoluzione di successo condotta da persone in schiavitù. Tuttavia, il paese è stato costretto a contrarre prestiti ad alto tasso di interesse per ripagare il debito con la Francia. Successivamente, dal 1915 al 1934, gli Stati Uniti hanno occupato il territorio haitiano per proteggere i loro interessi commerciali. Nel 1954, François Duvalier ha instaurato una violenta dittatura, portata avanti dal figlio Jean Claude dopo la morte del padre. Nel 1986, una rivolta ha costretto il dittatore all’esilio, dando il via a una serie di governi instabili e a vari colpi di stato. Nel 2004, l’ONU ha organizzato una missione per ripristinare l’ordine, ma l’iniziativa è stata segnata da accuse di violazioni dei diritti umani. Il devastante terremoto del 2010 e l’epidemia di colera nello stesso anno hanno portato a un aumento estremo della povertà e della corruzione, dando vita a una spirale di violenza alimentata da organizzazioni criminali che hanno acquisto sempre più forza.

Nel 2021, l’assassinio del presidente Jovenel Moise ha lasciato un vuoto di potere che ha causato un ulteriore incremento di instabilità politica e sociale. L’attuale ondata di violenza delle gang è peggiorata con gli accordi tra il primo ministro haitiano Ariel Henry e il Kenya per l’invio di forze di pace nel paese, con il sostegno economico degli Stati Uniti. Il 12 marzo 2024 Ariel Henry si è dimesso dal ruolo di primo ministro.

Fonte: SkyNews

Il 14 febbraio 2024 si sono verifiate numerose manifestazioni a Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, con violente proteste davanti le ambasciate di alcune nazioni occidentali e gli uffici delle Nazioni Unite. I manifestanti accusano l’Occidente di sostenere il Ruanda che, a sua volta, è accusato di supportare il movimento M23: un gruppo militare congolese composto per lo più da persone di etnia Tutsi, che opera nella provincia del Kivu Nord.

Il movimento è nato nel 2012 a partire da vari combattenti del National Congress for the Defence of the People, una forza pro-Tutsi che si opponeva al movimento Hutu del Democratic Forces for the Liberation of Rwanda, e ha svolto un ruolo importante nel conflitto del Kivu (2004-2009). Nel 2012 l’M23 aveva preso il controllo di Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu, ma nel 2013 le truppe congolesi, insieme alle forze ONU, hanno riconquistato il controllo della città.

Nelle ultime settimane il conflitto si è riacceso, provocando lo sfollamento di almeno 135.000 persone. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale delle Migrazioni, a ottobre 2023 le violenze connesse allo scontro tra il movimento M23 e il governo centrale avevano causato 6,9 milioni di sfollati in tutto il paese, corrispondente a circa il 7% della popolazione totale: il numero più alto mai registrato finora.

La popolazione congolese scesa in piazza il 24 febbraio protesta contro l’Occidente, accusandolo di alimentare la guerra nell’est del paese, allo scopo di trarre profitto dalle sue ingenti risorse minerarie. Il Ruanda ha respinto le accuse di supporto all’M23, definendo il conflitto in corso come una questione interna del Congo.

Fonte: Firstpost 

In Sudan è iniziato il decimo mese di guerra tra le truppe fedeli al presidente de facto ed ex golpista Abdel Fattah al-Burhan e le forze armate guidate dal “ribelle” ex vicepresidente Mohamed Hamdan, conosciuto come Dagalo. Per effetto della guerra interna, quasi la metà dei 49 milioni di abitanti hanno bisogno di aiuti umanitari. Inoltre, secondo le Nazioni Unite, il paese sta vivendo “il più grande movimento di popolazione al mondo”. Quasi otto milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le loro abitazioni. Dall’aprile 2023, in più di 100.000 hanno raggiunto l’Etiopia, tra cui quasi 47.000 rifugiati e richiedenti asilo. Altri cinque paesi limitrofi hanno accolto un gran numero di rifugiati sudanesi: più di mezzo milione di persone sono fuggite in Ciad da aprile. In media, 1.500 persone attraversano ogni giorno il Sud Sudan. A causa delle condizioni pessime nei campi profughi nel Darfur settentrionale, si stima che almeno un bambino muoia ogni due ore. Amy Pope, nuova Direttrice Generale dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, ha dichiarato: “Un cessate il fuoco in Sudan è urgente e necessario, per consentire alle persone di ricostruire vite dignitose. Non dobbiamo voltare le spalle alla sofferenza di milioni di persone colpite da questo conflitto devastante”. 
 
Fonte: Al Jazeera English

Venerdì 26 gennaio 2024 la Ministra degli Esteri del Sudafrica, Naledi Pandor, ha tenuto una conferenza stampa per commentare l’ordinanza emessa dalla Corte internazionale di giustizia dell’Aja sul caso, aperto lo scorso dicembre dal governo sudafricano contro quello israeliano, di violazione della Convenzione sul genocidio del 1948. Pandor ha espresso gratitudine verso i i giudici della Corte per aver deciso di pronunciarsi nel merito della questione, ritenendo plausibile e fondato il ricorso del Sudafrica relativo alle operazioni militari israeliane a Gaza, e per aver adottato delle misure provvisorie urgenti rivolte al governo di Israele. Nell’ordinanza, adottata a larga maggioranza, la Corte richiede il rilascio immediato e incondizionato degli ostaggi da parte di Hamas e ordina a Israele di impedire atti di genocidio contro la popolazione palestinese, come uccisioni, danni fisici e mentali, misure finalizzate a impedire le nascita, di prevenire l’incitamento al genocidio e di provvedere all’accesso di aiuti umanitari nella Striscia. Ha affermato la Ministra: “Tutti i membri delle Nazioni Unite hanno strumenti legali che possono utilizzare per proteggere i civili. In questo caso, dove sono in gioco delle vite umane, il Sudafrica ha dovuto fare tutto il possibile per proteggere centinaia di migliaia di palestinesi e non restare a guardare”. Pandor ha sottolineato che il cessate il fuoco è una condizione fondamentale per l’attuazione della decisione della Corte internazionale di giustizia, aggiungendo: “Israele non può continuare a perpetrare crimini contro i civili palestinesi senza subire conseguenze. Questa decisione costringerà gli stati che hanno sostenuto Israele a ritenere Israele responsabile ai sensi del diritto internazionale”.

Fonte: SABC News.

Democracy Now ha intervistato Tal Mitnick, il diciottenne israeliano che ha rifiutato il servizio militare per non partecipare alla guerra in corso su Gaza, da lui definita “guerra dui vendetta”. Mitnick è il primo refusenik – ossia il primo obiettore di coscienza – dall’escalation seguita agli attacchi di Hamas del 7 ottobre, che ha ucciso finora più di 25.000 persone nella Striscia. Per il suo gesto, Mitnick è stato condannato a trenta giorni di carcere militare ed è in attesa di una nuova condanna per il suo reiterato rifiuto di andare sotto le armi.

Nell’intervista il giovane obiettore espone le proprie motivazioni: intende dare voce al dissenso verso la guerra, espresso già da molti manifestanti israeliani durante gli ultimi mesi, per lavorare a un futuro di coesistenza pacifica tra israeliani e palestinesi, fondato sul rispetto e sulla parità di diritti. A proposito delle condizioni di detenzione e delle pressioni ricevute, sottolinea come la sua esperienza non possa essere comparata a quella, molto più dura, dei tanti prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane.  

Fonte: Democracy Now

Lo scorso 29 dicembre, il Sudafrica ha presentato alla Corte Internazionale di Giustizia un ricorso contro Israele per presunta violazione della Convenzione del 1948 sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio.  

Nel primo giorno di udienza, l’11 gennaio, il Sudafrica ha presentato le sue argomentazioni davanti alla Corte. Nelle loro dichiarazioni di apertura, gli avvocati sudafricani hanno sostenuto che la portata della violenza israeliana, che finora ha ucciso più di 23.000 persone, fa parte di una strategia politica e militare volta a distruggere la vita dei palestinesi, utilizzando anche le dichiarazioni di alti dirigenti civili e militari israeliani per dimostrarne l’intento genocida. Israele e gli Stati Uniti hanno respinto con forza le accuse. L’obiettivo del Sudafrica è quello di ottenere dalla Corte l’adozione di “misure provvisorie” per fermare la campagna militare di Israele, mentre la sentenza definitiva potrebbe richiedere anni. 

Durante la prima udienza, il Ministro della Giustizia sudafricano Ronald Lamola ha sottolineato l’impegno della nazione nei confronti della Convenzione sul genocidio dal 1998, sottolineando la prolungata storia di oppressione sistematica contro i palestinesi. Lamola ha esortato la Corte a intervenire, chiedendo un cessate il fuoco. In seguito, l’avvocata sudafricana Adila Hassim ha presentato varie prove a sostegno del ricorso, descrivendo gli effetti dei bombardamenti indiscriminati di Israele su Gaza, la distruzione del sistema sanitario nella Striscia e il blocco nell’ingresso di acqua e cibo, nonché in generale negli aiuti umanitari. L’avvocato Tembeka Ngcukaitobi ha infine segnalato, come indizio dell’intento genocidiario, la mancata condanna da parte delle autorità israeliane delle numerose forme di incitamento al genocidio che si sono diffuse dopo il 7 ottobre, sottolineando la normalizzazione della retorica distruttiva e disumanizzante contro i palestinesi. Durante il secondo giorno dell’udienza Israele ha presentato la sua difesa.

Fonte: Democracy Now.

L’Ecuador è scosso da una serie di attacchi violenti, tra cui il rapimento di alcuni agenti di polizia. L’esplosione di violenza ha fatto seguito alla fuga dal carcere di un leader del cartello della droga, avvenuta domenica 7 gennaio: Adolfo Macias, noto anche come “Fito”, stava scontando una condanna a 34 anni per omicidio e traffico di stupefacenti.

Il presidente ecuadoriano Daniel Noboa ha dichiarato che il paese si trova in uno stato di “conflitto armato interno” ed ha ordinato all’esercito di intraprendere azioni militari contro le bande di narcotrafficanti. In particolare, il presidente ha definito 22 bande come organizzazioni terroristiche – una designazione che le rende obiettivi militari legittimi. Ha, inoltre, imposto lo stato di emergenza per 60 giorni, durante i quali gli ecuadoriani saranno soggetti al coprifuoco mentre le forze armate cercheranno di ristabilire l’ordine nelle strade e nelle carceri del paese controllate dalle gang.

L’Ecuador si trova tra la Colombia e il Perù, due dei principali paesi produttori di cocaina al mondo, e possiede anche il porto di Guayaquil, un importante gateway scarsamente sorvegliato dalle autorità. Fino al 2016 il traffico di cocaina tra Colombia ed Ecuador era controllato da gruppi paramilitari colombiani. In seguito all’accordo di pace tra il governo colombiano e le forze anti-governative, alcuni membri dissidenti di tali organizzazioni hanno fondato proprie bande di trafficanti. Visto il più stretto controllo del governo colombiano sugli snodi di trasporto, il traffico di droga dalla Colombia è diminuito e le operazioni si sono spostate in Ecuador.

Fonte: Deutsche Welle News.

Nel corso degli ultimi anni, in più occasioni, migliaia di persone in viaggio verso l’America del Nord da paesi del Centro e del Sud America hanno periodicamente organizzato vere e proprie carovane per disobbedire, in modo nonviolento, alle attuali politiche migratorie degli Stati Uniti che rendono estremamente difficile l’accesso legale e sicuro nel paese. L’attuale carovana migratoria, iniziata il 24 dicembre a Tapachula, nel Messico meridionale, e in marcia verso Nord rappresenta anche una protesta contro le autorità messicane, accusate di ostacolare il processo di regolamentazione dell’immigrazione nella città di confine. Nel passaggio in Messico, inoltre, le persone in viaggio sono spesso esposte a violenze da parte di gruppi criminali che cercano di sfruttare la loro condizione di vulnerabilità: il numero di morti e dispersi è molto elevato.

Chiamata dagli organizzatori “Esodo della povertà”, questa carovana ha raccolto un numero significativo di partecipanti, stimati in circa 8.000 persone, provenienti soprattutto dall’America centrale e dai Caraibi. Questo evento, il più massiccio del 2023, assume un significato particolare alla vigilia dei negoziati tra una delegazione statunitense di alto livello e il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador finalizzati a governare congiuntamente i flussi migratori che attraversano la regione. Le principali ragioni dell’attuale mobilitazione sono individuate dagli organizzatori nella lentezza e negli ostacoli dei canali legali d’accesso negli Stati Uniti, anche per richiesta di asilo, e nella mancanza di opzioni di vita e di lavoro dignitose nei paesi d’origine.

Fonte: CNBC TV18

La Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) ha approvato l’invio di una missione di sicurezza in Sierra Leone. La mossa arriva dopo un tentato colpo di stato contro il governo del Presidente Julius Mada Bio, scoperto e impedito lo scorso 26 novembre. Uomini armati avevano tentato di fare irruzione in un’armeria in una base militare vicino all’abitazione del presidente, poi avevano attaccato due delle principali carceri della città, liberando alcuni detenuti. Secondo l’esercito, almeno 19 persone, tra cui 13 soldati, sono morte nelle violenze. Il governo afferma che sono stati arrestati 13 ufficiali militari e un civile. Il capo della polizia sierraleonese ha dichiarato che l’ex presidente Ernest Bai Koroma è sospettato di aver organizzato l’operazione. Koroma, che ha guidato la Sierra Leone dal 2007 al 2018, è stato convocato dalla polizia per essere interrogato. Dal 2023 l’Africa occidentale ha visto sei colpi di stato riusciti e diversi tentati ma poi falliti. [Aggiornamento del 3 gennaio 2023: La Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale ha dichiarato che trasferirà l’ex presidente della Sierra Leone, Ernest Koroma, in Nigeria giovedì 4 gennaio 2024. Lo si legge in una dichiarazione firmata dal Presidente della Commissione ECOWAS, Omar Touray: il trasferimento fa parte dell’accordo raggiunto il 23 dicembre scorso dalla missione della delegazione di alto livello inviata dall’ECOWAS nel paese, guidata dal presidente della Repubblica del Ghana, Nana Addo Dankwa Akufo-Addo, e dal presidente della Repubblica del Senegal, Macky Sail].

Fonte: Al Jazeera English.

Dal 7 ottobre, in seguito agli attacchi di Hamas nel Sud di Israele, sono aumentate le violenze contro i palestinesi nella Cisgiordania occupata. I coloni israeliani, con il sostegno di fatto dell’esercito, hanno intensificato le proprie azioni per estendere il proprio controllo sull’area, impadronendosi di terre e proprietà palestinesi dopo avere spinto questi ultimi alla fuga. Negli ultimi due mesi sono stati registrati dalle Nazioni Unite oltre 280 attacchi da parte dei coloni, che hanno spesso aperto il fuoco contro abitanti dei villaggi palestinesi, distrutto terreni agricoli e danneggiato case e aziende. Nonostante l’esercito israeliano affermi di prendere sul serio e di contrastare queste violenze, gli arresti dei responsabili sono assai rari: gli stessi soldati sono stati visti accompagnare e proteggere i coloni durante alcuni attacchi. Zvi Sukkot, membro del Parlamento israeliano per il partito sionista religioso, è una voce di spicco nel movimento che vuole espandere gli insediamenti israeliani. Bandito dalla Cisgiordania per vari anni a causa della sua violenta propaganda, dopo il 7 ottobre è stato nominato da Netanyahu a capo di un comitato che si occupa di sicurezza nei Territori palestinesi occupati.

Fonte: The New York Times.

Lo studioso israelo-americano Omer Bartov, professore di studi sull’Olocausto e sui genocidi alla Brown University di Providence, ha affrontato in una lunga intervista per Democracy Now alcuni temi fondamentali per comprendere e provare a risolvere il conflitto in corso. Bartov chiarisce, innanzitutto, la differenza tra le posizioni critiche verso il governo israeliano, verso l’occupazione e verso l’ideologia sionista, da una parte, e l’antisemitismo dall’altra. Denuncia la disumanizzazione che colpisce entrambe le parti, rendendo estremamente difficile l’avvio di un vero percorso di pace. Discute del significato e della storia dello slogan “from the river to the sea”, elaborato in origine dalla destra israeliana per cancellare la possibilità di uno Stato palestinese nell’area. Infine, affronta la questione delle prospettive post-conflitto: negli ultimi due decenni la soluzione a “due Stati”, Israele e Palestina, è diventata estremamente difficile a causa della costruzione di insediamenti israeliani illegali in Cisgiordania; la soluzione dello “Stato unico”, visti gli attuali rapporti di forza, sarebbe uno Stato a supremazia israeliana inaccettabile per i palestinesi. Secondo Bartov, la soluzione migliore è quella di una confederazione di due Stati, autonomi ma strettamente intrecciati e interdipendenti. Ma, in ogni caso, la “soluzione” deve essere frutto di un percorso democratico dal basso, radicato nelle società civili israeliana e palestinese, non una soluzione calata ancora una vota dall’alto.

 Fonte: Democracy Now

Il 31 ottobre 2023 attivistə per la pace, con le mani dipinte di vernice rosso sangue, hanno ripetutamente interrotto il Segretario di Stato statunitense Antony Blinken durante la sua audizione presso una Commissione del Senato. La seduta era dedicata all’approvazione di nuovi stanziamenti per l’acquisto di armi destinate a Israele e all’Ucraina e, in generale, per altre spese militari. L’audizione fa seguito alla richiesta del Presidente Joe Biden di autorizzare un finanziamento di oltre 105 miliardi di dollari per la “sicurezza”, di cui 14,3 miliardi per Israele. I/Le manifestanti hanno chiesto l’interruzione dell’invio di armi a Israele, attualmente impegnata nella guerra contro Hamas e in bombardamenti quotidiani su Gaza, dopo le stragi del 7 ottobre. Alle spalle di Blinken, le persone hanno mostrato cartelli su cui era scritto “No more dollars for Israel” (Basta soldi a Israele), mentre altri gridavano “Ceasefire now” (Cessate il fuoco subito), “Palestinians are not animals” (I palestinesi non sono animali) e “Shame on you all” (Vergognatevi). Il Segretario di Stato è stato costretto a interrompere più volte il suo discorso, mentre alcuni manifestanti venivano allontanati dall’aula dalla polizia.

Fonte: NBC News (estratto).

Tirana Hassan, Direttrice Esecutiva di Human Rights Watch, è intervenuta il 25 ottobre 2023 in una seduta della sotto-commissione “Diritti Umani” del Parlamento Europeo dedicata all’escalation in corso del conflitto israelo-palestinese. Nel suo intervento, interamente dedicato al rispetto del diritto internazionale umanitario ossia dei principi e delle regole applicabili ai conflitti armati, ha sottolineato l’importanza di condannare in modo inequivocabile gli atti di terrore commessi da Hamas e dalla Jihad Islamica il 7 ottobre. Ha posto l’accento sull’importanza di offrire sostegno alle vittime e alle loro famiglie, chiedendo il rilascio degli ostaggi e l’apertura di indagini su coloro che hanno commesso crimini di guerra. Hassan ha anche criticato la risposta di Israele alle azioni di Hamas, richiamando l’attenzione sulle conseguenze per la popolazione civile di Gaza dell’assedio totale della Striscia deciso dalle autorità israeliane. La Direttrice di HRW ha sottolineato che le violazioni del diritto a opera di una parte del conflitto non possono e non devono giustificare le violazioni del diritto dell’altra parte: nessuno è al di sopra del diritto internazionale umanitario. Hassan ha, infine, espresso preoccupazione per la diffusione di “doppi standard” in materia di diritti fondamentali e di rispetto del diritto, mettendo in guardia l’Unione Europea dal farli propri, rischiando così di perdere credibilità. 

Fonte: Human Rights Watch

In un discorso appassionato tenuto al Consiglio di Sicurezza il 24 ottobre 2023, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha lanciato un appello urgente alla comunità internazionale per il cessate il fuoco immediato in Medio Oriente. Nell’intervento ha sottolineato l’obbligo, per tutte le parti del conflitto, di proteggere i civili rispettando il diritto internazionale umanitario. Il Segretario Generale ha condannato senza riserve gli attacchi di Hamas nel Sud di Israele, ma ha invitato a riflettere sul fatto che tali attacchi “non sono avvenuti nel vuoto”, ma vanno compresi nel contesto della lunga storia di oppressione e violazione dei diritti vissuta, da più di 70 anni, dal popolo palestinese. Nonostante Guterres abbia ha chiarito che ciò non giustifica in nessun modo l’attacco di Hamas ai civili, il suo discorso ha suscitato le dure reazioni del governo israeliano, che ne ha chiesto le dimissioni ed ha annunciato che non darà più visti d’ingresso in Israele al personale delle Nazioni Unite. Seriamente preoccupato per la gravissima situazione umanitaria a Gaza, la cui popolazione è privata di beni e servizi essenziali alla vita a causa dell’assedio e dei bombardamenti dell’esercito israeliano, il Segretario Generale ha infine chiesto di garantire un flusso continuo di aiuti e di impegnarsi per un cessate il fuoco umanitario, ricordando che l’unica via per la pace e la stabilità nella regione è una soluzione politica del conflitto che riconosca la legittima aspirazione palestinese alla piena autodeterminazione così come le legittime esigenze israeliane di sicurezza. 

Fonte: Nazione Unite (estratto)

Non tutti gli ebrei appoggiano una soluzione militare del conflitto armato in corso tra Hamas e Israele, attirando l’attenzione sul contesto ovvero sul lungo e complesso conflitto israelo-palestinese, e sul necessario rispetto del diritto internazionale umanitario. L’organizzazione pacifista “Jewish Voice For Peace(Voce Ebraica per la Pace) ha promosso il 18 ottobre 2023 l’occupazione nonviolenta della hall del Campidoglio a Washington, sede del Congresso degli Stati Uniti. “Molti di noi – dichiarano – sono in lutto per i nostri amici e cari israeliani e palestinesi. Siamo in preda al dolore e al lutto, stiamo cercando di elaborare una settimana di orribili violenze che hanno lasciato feriti, traumatizzati, rapiti o uccisi molti dei nostri conoscenti. Ma ci rifiutiamo di lasciare che il nostro dolore venga strumentalizzato per giustificare l’uccisione di altri palestinesi. Come ebrei americani, chiediamo il cessate il fuoco immediato. Nessun genocidio in nostro nome!”. La polizia ha arrestato almeno 300 persone durante la protesta ed ha chiuso temporaneamente le strade di accesso al Campidoglio. Un gruppo di manifestanti ha proseguito la manifestazione a distanza. Le riprese hanno mostrato l’arresto dei manifestanti, alcuni dei quali indossavano magliette con la scritta “Not in our name”. I manifestanti hanno espresso la loro intenzione di inviare al Congresso un messaggio di disaccordo con le azioni dell’esercito israeliano e con il sostegno incondizionato espresso dall’amministrazione Biden al governo di Israele. 

Fonte: WUSA9

Centinaia di migliaia di dipendenti statali indiani, provenienti da varie parti del paese, si sono riuniti al Ram Lila Maidan di Delhi per chiedere il ripristino del vecchio regime pensionistico. Organizzata dal Movimento nazionale per il vecchio regime pensionistico (NMOPS), la manifestazione mira a spostare la responsabilità per l’attuazione della riforma dai vari stati regionali che compongono l’India al governo centrale. Il NMOPS ha anticipato l’avvio di una campagna denominata “Vote for Ops” – vota per le opposizioni – alle prossime elezioni se il governo centrale non ripristinerà il vecchio regime pensionistico. I leader dell’opposizione, tra cui Bhupinder Singh Hooda del Congresso e Sham Singh Yadav del BSP, hanno appoggiato la protesta. Il capo del governo di Delhi, Arvind Kejriwal, ha espresso il suo sostegno ai dipendenti pubblici in protesta, affermando che il governo della città ha già richiesto l’attuazione del vecchio regime pensionistico. Finora cinque Stati – Rajasthan, Chhattisgarh, Jharkhand, Punjab e Himachal Pradesh – sono tornati al vecchio sistema di previdenza sociale mentre il Bengala occidentale non lo ha mai adottato. 
 
Fonte: Oneindia News

Martedì 19 settembre 2023 l’esercito azero ha occupato militarmente il Nagorno-Karabakh, territorio da tempo conteso con la vicina Armenia. Riconosciuto internazionalmente come parte dell’Azerbaijan, il territorio è abitato in larghissima maggioranza da armeni e, dalla fine della prima guerra armeno-azera del 1994, si è organizzato nella Repubblica autonoma del Nagorno-Karabakh. Dopo diversi giorni di scontri tra l’esercito azero e gli indipendentisti, l’accordo per il cessate il fuoco è stato raggiunto con la resa dell’enclave armena. Il Nagorno-Karabakh contava una popolazione di circa 140 mila persone ma, tra i primi giorni degli scontri e l’inizio dell’occupazione azera, circa 100 mila persone si sarebbero messe in viaggio per raggiungere la vicina Armenia. Nikol Pashinyan, primo ministro armeno, ha fatto sapere che il paese è pronto ad accogliere i rifugiati, accusando l’Azerbaijan di voler condurre una vera e propria “pulizia etnica”: per tutelare i civili da una simile prospettiva, l’Armenia ha depositato una segnalazione alla Corte Internazionale di giustizia (ICJ) per il rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite contro le discriminazioni razziali. 

Fonte: Global News

A Cuba si è tenuto dal 19 al 25 settembre l’incontro del G77+Cina, cui hanno partecipato rappresentanti di 134 nazioni che, insieme, costituiscono circa l’80% della popolazione mondiale. Fondato nel 1964 dai 77 paesi detti “non allineati” rispetto alle due superpotenze della Guerra fredda, il G77 è cresciuto nel corso degli anni fino all’attuale formazione, includendo paesi dall’Africa all’Asia, dal Sud America ai Caraibi, uniti dal comune obiettivo di promuovere lo sviluppo e il ruolo globale del “Sud del mondo”. Tema centrale dell’incontro è stato il ruolo della scienza, della tecnologia e dell’innovazione e di come superare l’attuale monopolio di conoscenze detenuto dal Nord del mondo, nel quadro di un “nuovo ordine economico mondiale”

Antonio Guterres, Segretario generale delle Nazioni Unite, è intervenuto nella sessione di apertura del summit, aperto anche alla Repubblica Popolare Cinese, esortando i presenti a “farsi sentire nella lotta per un mondo più equo e inclusivo”. Miguel Diaz-Canel, presidente di Cuba, ha affermato che “dopo decenni in cui il Nord ha dettato le regole a livello globale, è ora che il Sud del mondo reclami una voce decisiva”, sottolineando come i paesi meno sviluppati siano anche i primi a subire le conseguenze di crisi di varia natura, “dalle iniquità commerciali e finanziarie al cambiamento climatico”.

Fonte: Al Jazeera English

A Lampedusa, uno dei principali punti di ingresso via mare verso l’Europa, il 12 settembre sono stati registrati 110 nuovi arrivi, per un totale di 5.112 persone. Il giorno successivo, gli approdi hanno coinvolto oltre 1.800 persone. Durante le complesse operazioni di approdo, 46 migranti soccorsi dalla motovedetta della Guardia Costiera hanno vissuto momenti di panico: molte persone sono finite in acqua e un neonato di soli 5 mesi ha perso la vita. Nei giorni successivi, la situazione sull’isola è stata segnata da vari episodi di tensione. Presso il porto gli agenti della Guardia di Finanza, in assetto antisommossa, sono intervenuti con una “carica di alleggerimento” quando centinaia di migranti hanno cercato di superare il cordone di sicurezza, esprimendo il desiderio di allontanarsi dal molo dopo un’estenuante attesa. Negli ulti i giorni l’hotspot di Lampedusa è arrivato a ospitare 6.762 migranti, a fronte di una capienza massima di 400 persone. Quando la Croce Rossa ha iniziato la distribuzione di viveri, un gran numero di migranti ha iniziato a scavalcare le barriere esterne dell’hotspot, mossi dalla preoccupazione che le razioni di cibo e di acqua potessero terminare. Nel frattempo, sotto il coordinamento della Prefettura di Agrigento, sono ripresi i trasferimenti dei migranti via mare e via aria verso la Sicilia e altre destinazioni italiane.

Fonte: Local Team

Nadia Hardman, ricercatrice di Human Rights Watch (HRW), presenta un inquietante rapporto che documenta gravi violazioni dei diritti umani commesse dalle guardie di frontiera saudite nei confronti di migranti, soprattutto etiopi ed eritrei, che cercano di entrare nel paese attraverso lo Yemen: uomini, donne e bambini sono presi di mira dalle guardie con esplosivi e armi da fuoco, subiscono abusi e torture, vengono rinchiusi in centri detentivi senza nessun tipo di servizi. Nell’illustrare la metodologia alla base del rapporto, Hardman ricorda che HRW raccoglie dati su violenze ed uccisioni alla frontiera saudita-yemenita dal 2014, registrando tuttavia una chiara escalation negli ultimi due anni: si è passati da episodi sporadici ad attacchi sistematici. La ricercatrice spiega, inoltre, che l’Arabia Saudita attrae i migranti in quanto l’economia nazionale offre loro diverse opportunità di lavoro, ma non dispone di un sistema d’asilo. Fondato sull’analisi di centinaia di video e fotografie realizzate dai migranti stessi, sulla mappatura delle rotte e delle area di confine e sull’identificazione dei luoghi di sepoltura delle vittime, il rapporto di HRW contiene prove che non possono essere ignorate. Da qui almeno due domande: perché solo molto di recente questo rapporto ha ricevuto attenzione dai media internazionali? Perché nessun governo, a partire da quelli occidentali, chiede alle massime autorità saudite di fare chiarezza sui contenuti del rapporto?

Fonte: France24 English

Tra il 26 e il 28 luglio si è verificato in Niger un colpo di stato militare: la Guardia presidenziale ha arrestato il presidente della Repubblica Mohamed Bazoum, eletto nel 2021, e ha insediato una giunta militare che vede come Capo di Stato il generale Abdourahamane Tchiani. Si tratta di uno sviluppo significativo per la regione del Sahel: è il quarto colpo di stato militare nell’area negli ultimi quattro anni. Diverse manifestazioni popolari hanno espresso, nei giorni seguenti, sentimenti antifrancesi e sostegno al cambio di regime, invocando in alcuni casi il supporto russo al paese. Non vi sono, tuttavia, prove conclusive di un collegamento diretto della Federazione Russa al colpo di stato. Le richieste internazionali di ripristinare il governo democraticamente eletto sono state ignorate. La Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS) ha ipotizzato un intervento militare nel paese a sostegno del deposto presidente, mentre i governi del Mali e del Burkina Faso hanno minacciato di rispondere con la forza a un simile intervento.

Fonte: Reuters.

Il 19 e 20 luglio 2023 si sono svolte manifestazioni popolari in varie città del Perù, tra cui Lima, Puno e Cusco. È la terza grande protesta nazionale contro il governo della presidente Dina Boluarte, subentrata lo scorso 7 dicembre a Pedro Castillo, destituito e arrestato per aver tentato di sciogliere il Parlamento che intendeva votare il suo impeachment. Le proteste sono organizzate da attivisti politici e sindacali, collettivi studenteschi, movimenti indigeni e ‘Ronderos’ (organizzazioni rurali di autodifesa, diffuse nelle zone interne del paese). I manifestanti chiedono il rilascio di Castillo, l’indizione di nuove elezioni, la riforma della Costituzione risalente ai tempi della dittatura di Fujimori e la partenza delle truppe statunitensi presenti nel paese dagli anni 2000. La repressione delle proteste è stata molto dura: da dicembre almeno 60 persone sono state uccise, soprattutto nelle zone a forte presenza indigena, e centinaia di persone sono state arrestate.

Fonti: Euronews, Al Jazeera, El País.

Centinaia di potenziali richiedenti asilo provenienti dall’Africa subsahariana sono bloccati da giorni al confine tra Tunisia e Libia. Da una parte, il governo tunisino ha adottato politiche estremamente dure – inclusi veri e propri respingimenti collettivi verso il deserto – contro le persone in viaggio, alimentando l’ostilità della popolazione locale contro i migranti, sempre più spesso oggetto di violenze. Dall’altra parte, le guardie di frontiera libiche si rifiutano di fare entrare nel paese i migranti respinti dalla Tunisia, che si trovano in condizioni assai precarie, privi di acqua, cibo e assistenza medica. La situazione molto critica ha attirato l’attenzione delle istituzioni e delle organizzazioni internazionali. Human Rights Watch ha richiesto aiuti umanitari immediati per le persone bloccate al confine. Tuttavia, la risposta dei due governi è stata finora inadeguata, né emerge la loro intenzione di modificare le proprie politiche, col risultato che l’onere dell’assistenza alle persone in viaggio continua a ricadere in gran parte sulle ONG locali e internazionali

Fonte: Al Jazeera English.

Robert Kennedy Jr., figlio di Robert e nipote di John F. Kennedy, è intervenuto il 20 giugno 2023 al Saint Anselm College in Goffstown, nel New Hampshire, con un discorso dedicato alla politica estera statunitense e alla necessità di costruire la pace. Ha espresso, in questo frangente, opinioni controcorrente rispetto all’attuale governo di Washington e a un clima che, nell’introduzione, ha definito di censura e di silenziamento del dissenso. “Gli Stati Uniti hanno utilizzato l’Ucraina come una pedina nella loro guerra per procura contro la Russia”, ha affermato. “Washington, sostenendo militarmente Kiev, ha volutamente ignorato molte opportunità per risolvere la situazione in modo pacifico”. Il nipote di JFK ha ricordato più volte le esperienze e gli insegnamenti di suo zio: “Mi ha insegnato che per risolvere una situazione di conflitto bisogna mettersi nei panni del proprio avversario”. Aggiungendo: “le preoccupazioni della Russia sull’aspirazione dell’Ucraina a entrare nella NATO sono legittime, ma gli Stati Uniti le hanno ignorate. Hanno compreso che il coinvolgimento di Kiev nell’Alleanza Atlantica avrebbe comportato una risposta violenta da parte della Russia, ma la verità è che gli Stati Uniti hanno ingannato la Russia stessa, promettendo di non espandere la NATO verso Est nel 1992”. Robert Kennedy Jr. ha concluso il suo intervento indicando nella rinascita di un vasto e forte movimento per la pace una delle condizioni essenziali per scongiurare l’escalation militare, anche nucleare, della guerra in corso in Ucraina.

Fonte: CISP.

Chi è il Gruppo Wagner? Sandra Gathmann, giornalista di Al-Jazeera English, spiega come è nato, chi ne fa parte, in quali operazioni è stato impiegato dal governo russo e perché la guerra in Ucraina ha cambiato il loro ruolo. Il Gruppo Wagner viene descritto come una società di sicurezza privata, che ha agito per conto del governo russo in vari conflitti armati e contesti di crisi: la Siria, il Mali, la Repubblica Centroafricana, il Mozambico, ma anche il Venezuela. Sebbene sia spesso descritto come “gruppo mercenario”, si tratta in realtà di una rete di società, compresi alcuni intermediari finanziari, collegati tra loro in modo assai poco trasparente. Si ritiene che il fondatore del gruppo sia Dmitry Utkin, ex ufficiale delle forze speciali russe, e che una delle figure principali dietro il gruppo sia Evgeny Prigozhin, un oligarca russo con stretti legami con il Presidente Putin. Il reportage fornisce interessanti informazioni sul “modello di business” della rete, come ad esempio lo sfruttamento delle risorse naturali del paese “ospite” in cambio di sicurezza e protezione. In Ucraina, il Gruppo Wagner ha operato come unità militare informale dell’esercito russo, reclutando ampiamente anche dalle carceri russe. Il potere acquisito sul campo in Ucraina ha alimentato le ambizioni di Prigozhin e acceso aperte tensioni con i capi dell’esercito regolare, costituendo il terreno su cui è maturata la recente “rivolta” contro Mosca. 

Fonte: Al Jazeera English

Perché alcune delle guerre più letali del mondo non vengono raccontate dai media? Questo il tema di un recente articolo pubblicato su Foreign Policy dal corrispondente di guerra indiano Anjan Sundaram, invitato da Democracy Now a rispondere a varie domande sull’argomento. Secondo Sundaram, nonostante i progressi tecnologici legati alla diffusione dei mass media e della rete, conflitti come quello in corso nella Repubblica Centrafricana sono avvolti nella più totale oscurità: spesso non ne conosciamo gli attori, chi viene attaccato, chi combatte e perché. L’oscuramento mediatico di tali zone di guerra è la conseguenza di un sistema di informazione internazionale ancora strutturato da rapporti coloniali e focalizzato sugli interessi geopolitici delle grandi potenze, soprattutto occidentali: “I corrispondenti stranieri volano dalle capitali globali, come Washington e Londra, più o meno in luoghi simili in momenti simili, per raccontarci più o meno le stesse storie”. Il reporter invita tuttavia ad andare oltre le critiche al sistema mediatico occidentale e invita gli stessi giornalisti del Sud del mondo a colmare questo gap informativo e offrire al mondo un nuovo sistema mediatico globale, equo e multipolare.

Fonte: Democracy Now

Decine di persone sono rimaste ferite nel nord del Kosovo, dove la polizia e le forze peacekeeping della NATO si sono scontrate con gruppi di etnia serba, che costituiscono la maggioranza nell’area. I serbi hanno cercato di impedire ai sindaci e ai funzionari di etnia albanese di entrare negli edifici municipali. I funzionari sono stati nominati dopo le elezioni locali del mese scorso, che sono state boicottate dai serbi e hanno registrato un’affluenza inferiore al 3,5%. Le manifestazioni di protesta sono diventate violente lunedì 29 maggio 2023. Deutsche Welle ha intervistato Florian Bieber, professore di Storia e politica dell’Europa sudorientale all’Università di Graz, che ha risposto a domande sulle cause del conflitto e sui suoi possibili sviluppi.

Fonte: Deutsche Welle News

All’inizio di maggio 2023 la città di Imphal, situata nello Stato indiano del Manipur, è stata teatro di violenti scontri tra membri dei gruppi etnici Kuki (cristiani) e Meitei (induisti). Le violenze hanno causato almeno 55 morti e 260 feriti ricoverati in ospedale: la maggior parte dei pazienti presentava gravi ferite da proiettile o lesioni alla testa causate da bastoni. Si sono verificati, inoltre, numerosi incendi di abitazioni e saccheggi di armi nelle caserme. Secondo quanto riferito da funzionari dell’ospedale e dell’esercito indiano, gli scontri etnici hanno causato lo sfollamento di circa 23.000 civili, costretti a fuggire dalle violenze. All’origine delle tensioni la decisione del governo di attribuire ai Meitei, che rappresentano metà della popolazione, lo status di “gruppo protetto”.

Fonte: Business Standard

La mattina del 20 aprile 2023 in Burkina Faso, nel villaggio di Karma, si è consumato un massacro: nonostante il governo burkinabé dichiari ufficialmente 60 vittime, la comunità locale conta tra i 130 e i 150 morti. Sulla base delle testimonianze dei sopravvissuti, un gruppo di militari armati ha fatto ingresso nel villaggio, suscitando inizialmente la gioia degli abitanti felici di vedere “i loro soldati”; ma la gioia che è stata presto spezzata dagli spari e dall’esecuzione degli abitanti del villaggio che non sono riuscito a fuggire. Ad oggi non si hanno ancora informazioni precise su chi fossero gli uomini armati autori del massacro: l’ipotesi a oggi più accreditata è che fossero militari affiliati ai Jihadisti o Jihadisti travestiti da militari dell’esercito regolare. Alcuni dei sopravvissuti sono stati intervistati da Al-Jazeera.

Fonte: Al Jazeera English

Le violenze armate in Sudan stanno spingendo sempre più persone ad abbandonare le proprie case e cercare rifugio nei paesi vicini. Questo video diffuso dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per il Rifugiati (UNHCR) dà conto dei primi flussi di profughi sudanesi: nelle prime due settimane di scontri almeno 20.000 persone hanno sconfinato verso il Ciad, la maggior parte donne e bambini. L’UNCHR sta fornendo riparo temporaneo, ma le risorse sono limitate e i bisogni numerosi e molto probabilmente in crescita. È importante che la comunità internazionale presti attenzione a questa crisi umanitaria e fornisca il supporto necessario per proteggere i rifugiati sudanesi. Nel frattempo le Nazioni Unite hanno diffuso i dati sugli sfollati interni nel paese (oltre 330.000) e hanno aggiornato il numero dei profughi (più di 100.000). Se gli scontri dovessero prolungarsi, le Nazioni Unite stimano che più di 800.000 persone potrebbero fuggire dal paese in direzione del Ciad, dell’Egitto e del Sud Sudan.

Fonte: UNHCR

Dal 15 aprile 2023 la capitale del Sudan, Khartoum, è teatro di scontri armati tra l’esercito nazionale e le Forze di sostegno rapido (RSF) del generale Mohamed Hamdane Daglo, vice capo del Consiglio Sovrano del Sudan, conosciuto come Hemedti. La “rivoluzione sudanese” del 2018-2019, che ha messo fine al regime di Omar al-Bashir iniziato nel 1989, aveva avuto il suo punto di svolta nel colpo di stato guidato dagli stessi capi dell’esercito e delle RSF oggi in conflitto per il controllo del paese. Le conseguenze degli scontri, in corso soprattutto intorno all’aeroporto e ai palazzi del potere, sono avvertite duramente dalla popolazione civile: iniziano a mancare cibo, acqua ed elettricità e molti cercano di scappare da Khartoum. I primi dieci giorni di combattimento avrebbero causato almeno 100 morti e un migliaio di feriti, ma il bilancio è difficile da verificare. Le divergenze politiche tra i due leader militari riguardano la gestione della “transizione” alla democrazia e l’applicazione dell’accordo-quadro firmato il 5 dicembre scorso, a partire dalle questioni relative alla sicurezza e alla riforma militare: il comandante dell’esercito vorrebbe integrare rapidamente le RSF nei propri ranghi, mentre Hemedti vorrebbe un calendario più lungo, che potrebbe durare fino a dieci anni. Le dispute, ora scoppiate in violenza armata, hanno fermato il passaggio dal governo militare a quello civile, previsto per il primo aprile scorso.

Fonte: Al Jazeera English

Per la seconda notte consecutiva, tra il 5 e il 6 aprile 2023, la polizia israeliana ha fatto irruzione nella moschea di Al-Aqsa sparando sparando granate assordanti e proiettili d’acciaio rivestiti di gomma contro i fedeli palestinesi in preghiera per il Ramadan. La moschea è il terzo luogo più sacro ai musulmani dopo la Ka’ba a La Mecca e la Moschea del Profeta a Medina. A seguito della vittoriosa Guerra dei sei giorni, Israele ha inglobato de facto la parte araba di Gerusalemme, compresa la Spianata delle Moschee: il controllo della moschea di Al-Aqsa è stato attribuito dagli occupanti alla Fondazione islamica dei Waqf (Islamic waqf trust), a cui è stata garantita la piena indipendenza nei confronti del governo israeliano. Essendo la moschea un luogo santo per la religione musulmana, l’entrata alla moschea deve essere approvata dai controlli della giurisdizione dell’amministrazione della Waqf, al fine di non violarne la santità.

La polizia israeliana ha fatto irruzione nella moschea di Al-Aqsa e ha aggredito i fedeli musulmani, alcuni dei quali sono rimasti feriti. La polizia israeliana parla di “allontanamento di alcuni agitatori” che avrebbero introdotto “bastoni, pietre e fuochi d’artificio”: sono stati fermati più di 350 palestinesi. Immediata la risposta di Hamas, che ha denunciato l’azione come “un crimine senza precedenti”, invitando i palestinesi in Cisgiordania “ad andare in massa alla moschea di Al-Aqsa per difenderla”. Il portavoce del presidente dell’autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas ha avvertito il governo di Israele che questa mossa “supera tutte le linee rosse e porterà a una grande esplosione”.

Fonte: Al Jazeera English

Negli ultimi dieci giorni di marzo in diverse parti del continente africano – precisamente in Kenya, Sudafrica, Senegal e Tunisia – si sono varificate forti manifestazioni di protesta. Molteplici eppure simili le ragioni dei manifestanti: l’Africa sta vivendo, più di altre parti del mondo, il peso del caro vita soprattutto dei generi alimentari. Queste preoccupazioni immediate si sommano all’insoddisfazione per i governi in carica. Questo servizio offre una ricostruzione panoramica e sintetica dei diversi contesti, facendo emergere similitudini e differenze.

Fonte: WION

A due settimane dalla strage di Cutro del 26 febbraio 2023, che ha visto le autorità italiane accusate di non aver corroso l’imbarcazione su cui viaggiavano 200 persone, la ONG di salvataggio in mare Sea Watch ha pubblicato sui suoi social gli audio delle conversazioni telefoniche avute con le autorità libiche e italiane: ne emerge il disimpegno del Centro di coordinamento del soccorso marittimo della Guardia Costiera di Roma rispetto a un barcone in difficoltà nelle acque del Canale di Sicilia, con 47 persone a bordo. L’imbarcazione ha inviato un SOS nella notte dell’11 marzo ad Alarm Phone; la mattina del giorno dopo l’aereo della Sea Watch, Sea Bird, avvista l’imbarcazione e lancia un mayday che viene raccolto dal mercantile Basilis L. Un’ora dopo Sea Bird ricontatta il mercantile per fornirgli le coordinate aggiornate della posizione della barca. Ma dal Basilis L. rispondono che sono in contatto con il Centro di coordinamento del soccorso marittimo della Guardia costiera di Roma (Mrcc) che li ha invitati a seguire le indicazioni della Guardia costiera libica, la quale «ci ha detto di procedere» verso l’obiettivo. Alle 16.51 Sea Bird contatta il Centro di coordinamento del soccorso marittimo di Tripoli per sapere se sta inviando mezzi da Bengasi per soccorrere l’imbarcazione. «Non abbiamo motovedette da mandare», fanno sapere dalla Libia. Alle 17.06 l’equipaggio di terra del Sea Bird contatta Mrcc di Roma per sapere sviluppi sul caso. «Avete un aggiornamento della situazione?», chiede la Guardia costiera . «No, il nostro aereo ha lasciato la scena», è la risposta di Sea Bird. «Ma – aggiunge – abbiamo appena chiamato il Centro di coordinamento della Libia in quanto autorità competente e ci hanno informato che hanno provato a mettersi contatto con l’autorità portuale di Bengasi, ma che non ci sono riusciti e nessuna nave si è mossa in soccorso. Ora l’imbarcazione è seguita solo dal mercantile di cui vi abbiamo informato. Chi è responsabile ora per questo caso visto che il centro libico non è in grado di rispondere?». «Ok, grazie per l’informazione, bye», è la risposta di Roma, che evidentemente riattacca il telefono. I soccorsi sono stati alla fine prestati: 17 persone sono state tratte in salvo, 30 sono scomparse. «L’intervento di soccorso è avvenuto – spiega la Guardia Costiera in una nota – al di fuori dell’area di responsabilità Sar italiana registrando l’inattività degli altri Centri Nazionali di coordinamento e soccorso marittimo interessati per area».

Fonte: Corriere della Sera

La notte tra il 23 e il 24 febbraio 2023 si è svolta un’edizione straordinaria della Marcia per la Pace Perugia-Assisi, nella ricorrenza dell’attacco russo all’Ucraina. Proponiamo una sintesi del servizio realizzato dal Fatto Quotidiano, raccogliendo alcune delle tante voci del popolo della pace: voci diverse, ma unite nel chiedere il cessate il fuoco, lo stop all’invio di armi e l’avvio di un vero percorso diplomatico. Per prevenire lo scoppio di una terza guerra mondiale.

Fonte: il Fatto Quotidiano

All’Assemblea dell’Unione Africana (UA), tenutasi a Addis Abeba il 18 e il 19 febbraio 2023, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha elogiato le numerose iniziative dell’UA volte a realizzare l’Agenda 2063, un progetto per l’Africa del futuro, ed ha richiamato le opportunità ma anche le numerose e grandi sfide con cui si confronta oggi il continente.

Fonte: United Nations

Quando si parla di sterminio e campi di concentramento, ciò che viene subito in mente sono camere a gas, uomini costretti al lavoro forzato e sagome in fila l’una dietro l’altra. Poco si dice sulla vita delle donne all’interno dei lager: hanno vissuto in maniera differente l’orrore dei lager rispetto agli uomini e questo perché, oltre la paura delle fucilazioni e della morte finale, c’era anche la paura delle violenze sessuali. Nella Germania nazista era in vigore la “Legge per la protezione del sangue e dell’onore tedesco” che vietava ogni relazione sessuale tra tedeschi ed ebrei, ma per le guardie lo stupro era un’arma per umiliare e annullare una persona. C’è poi un altro aspetto dell’esperienza femminile di cui si parla pochissimo: com’era l’esperienza delle mestruazioni all’interno dei campi? A lungo, anche per le sopravvissute, è stato difficile parlarne. La vergogna di sanguinare davanti a tutti era enorme, per non parlare delle scarse condizioni igieniche. Eppure le mestruazioni all’interno dei lager diventarono anche una ragione di solidarietà reciproca tra le donne: le più grandi aiutavano le più piccole, che spesso non avevano idea di come gestirle.

Fonte: Fanpage.it 

Migliaia di persone hanno partecipato lo scorso 24 gennaio alla Marcia nazionale di protesta indetta a Lima dalla Confederazione generale dei lavoratori del Perù, con l’adesione dei movimenti indigeni e contadini e dei movimenti universitari del paese. I manifestanti chiedono le dimissioni dell’attuale presidente Dina Boluarte, una nuova Costituzione ed elezioni anticipate immediate. La crisi nel paese è scoppiata il 7 dicembre scorso quando l’ex presidente Pedro Castillo è stato arrestato per aver tentato di sciogliere il Congresso, che a sua volta aveva votato per destituirlo e metterlo sotto accusa. Dopo la rimozione di Castillo, esito di un lungo scontro tra il governo e il parlamento, la vicepresidente Dina Boluarte ha rilevato l’incarico diventando il sesto presidente del Perù in cinque anni. Le proteste hanno finora causato più di 50 morti.

Fonte: El Tiempo

Ultima Generazione è un movimento italiano di disobbedienza civile nonviolenta che, dal 2021, unisce semplici cittadine e cittadini preoccupati per il futuro del nostro pianeta, sempre più minacciato dal cambiamento climatico e dall’inazione dei governi. Il movimento si caratterizza per le sue forme di protesta dirompenti, che includono blocchi del traffico, azioni dirette nei musei, sui palazzi pubblici o sui luoghi del potere. Questo video dà voce agli attivisti e alle attiviste del movimento che, oltre a ribadire le ragioni della loro mobilitazione per il clima, spiegano come i loro interventi siano l’espressione di una riflessione collettiva ed esprimano un preciso codice etico nonviolento. Come i disobbedienti civili di altre epoche, anche gli attivisti e le attiviste di Ultima generazione sono pronte ad accettare le conseguenze umane e penali dei loro gesti: reazioni di rabbia, denunce e carcere sono state messe in conto. Sanno che creano conflitto, ovvero che portano alla luce un conflitto non adeguatamente riconosciuto tra umanità e natura: ma il punto dell’azione nonviolenta, spiegano, è come stare dentro il conflitto, riconoscendo l’altro e sollecitandone la presa di coscienza, sospendendo la “normalità” della vita quotidiana a fronte della prospettiva della catastrofe climatica.

Fonte: Fanpage.it 

Da settimane, in Kosovo, la tensione tra minoranza serba e quasi due milioni di abitanti di etnia albanese di religione musulmana non fa che salire di intensità. L’ultimo episodio: il ferimento di due giovani serbi, a colpi di arma da fuoco, la sera della vigilia del Natale ortodosso. Questo episodio ha fatto scendere in piazza alcune migliaia di serbi kosovari che hanno chiesto maggiore sicurezza. Il presidente serbo Aleksandar Vučić era pronto ad inviare in Kosovo dei contingenti ma la sua richiesta è stata respinta dalla NATO e questo in base a una risoluzione adottata nel 1999, secondo la quale solo la Missione Keyfor dell’Alleanza Atlantica è autorizzata a monitorare e garantire sicurezza a tutte le minoranze residenti in Kosovo.

Fonte: TG2000

Non una di meno, la sezione italiana dell’omonimo movimento transfemminista mondiale, ha organizzato a Roma lo scorso 26 novembre l’annuale manifestazione in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Ad aprire il lungo corteo lo striscione “Basta guerre sui nostri corpi”, lo slogan che ha contraddistinto l’iniziativa di quest’anno. Molti interventi hanno messo in evidenza come, in un contesto segnato dalla crisi post-pandemica e dall’economia di guerra, il governo italiano porti avanti politiche anti-sociali e minacci le conquiste di libertà e di autodeterminazione del movimento femminista. Chiara la denuncia delle partecipanti: ancora una donna su tre in Italia subisce violenze, in gran parte in ambito domestico o da parte di ex partner.

Fonte: il Fatto Quotidiano

All’incontro “Pace e guerra. Costruire un’alternativa possibile”, svoltosi nell’Aula Magna della Sapienza lo scorso 11 ottobre, ha partecipato anche la professoressa Enza Pellecchia, intervenendo sui rischi sempre incombenti di una possibile guerra nucleare e sugli sforzi internazionali per la messa al bando delle armi atomiche.

Fonte: CISP – Università di Pisa

Vince il si al referendum sul nuovo diritto della famiglia a Cuba con il 66,87% dei voti. Il testo riconosce il matrimonio tra persone dello stesso sesso e la maternità surrogata. Il nuovo diritto di famiglia contempla anche l’adozione da parte di coppie omosessuali, il divieto di matrimonio precoce e affronta la violenza di genere. Era la prima volta che i cittadini votavano in un referendum per l’approvazione di una legge e la terza volta che si svolgeva con una consultazione generale. Il no ha ottenuto il 33% dei voti. L’astensione è stata al 25%.

Fonte: Euronews

Dopo la morte della ventiduenne Mahsa Amini, arrestata e picchiata dalla “polizia morale”, alcune donne iraniane hanno protestato tagliandosi simbolicamente i capelli e bruciando i loro veli. Alle proteste si sono uniti anche molti giovani uomini, che in piazza hanno chiesto libertà e giustizia.

Fonte: CISP Università di Pisa

Il 25 luglio 2022 un gruppo di attivisti e attiviste torinesi di Extiction Rebellion ha “scalato” il Palazzo della Regione Piemonte per appendere uno striscione all’esterno del balcone, con la scritta “Benvenuti nella crisi climatica. Siccità: è solo l’inizio”. L’azione è durata diverse ore: nonostante l’intervento delle forze dell’ordine, due ragazze erano riuscite a incatenarsi all’inferriata del balcone, prima di essere allontanate. Gli attivisti e le attiviste sono state denunciate e la questura ha notificato loro, immediatamente o nei giorni successivi, fogli di via per un periodo di un anno. Il video registra la testimonanza di una delle attiviste del movimento colpite dalla repressione.

Fonte: Pressenza Italia

Nel giugno del 2022 il Po ha registrato il livello dell’acqua più basso degli ultimi settant’anni, secondo quanto riporta l’Autorità di bacino distrettuale. Questa livello di siccità è dovuto principalmente alla mancanza di abbondanti piogge nel Nord Italia durante lo scorso inverno, il settore che ne risente di più è quello agricolo. La siccità, infatti, ha causato il fenomeno del cuneo salino: l’acqua del mare è entrata nel delta del fiume e nelle falde acquifere, rendendo le risorse idriche della zona inutilizzabili per le coltivazioni.

Fonte: CISP Università di Pisa

Con il 50,44 % dei voti, Gustavo Petro è il nuovo presidente della Colombia, sostenuto da una coalizione dei partiti di sinistra e dei movimenti indigeni, ecologisti e femministi. Francia Márquez è la prima vice-presidente afrodiscendente del paese. Nel suo discorso la neo-eletta ha ringraziato tutte e tutti coloro che hanno consentito questa svolta storica, rivendicando il carattere popolare del nuovo governo e ricordando i punti centrali del programma: pace, giustizia sociale, lotta al patriarcato e al razzismo.

Fonte: Zona Joven Colombia

Ogni anno, il 29 maggio, migliaia di gruppi israeliani di estrema destra partecipano alla cosiddetta “Marcia delle Bandiere”, dando luogo a provocazioni e violenze ai danni della popolazione palestinese. La marcia festeggia l’occupazione di Gerusalemme Est – la parte araba e musulmana della città, destinata a diventare capitale dello Stato palestinese secondo le Nazioni Unite – avvenuta con la Guerra dei sei giorni nel 1967.

Fonte: Al Jazeera English

Questo gruppo di giornalisti messicani si preparava a protestare contro la recente uccisione di un collega, durante la protesta altri due sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco nello stato di Veracruz. Yessnia Mollinedo Falconi e Sheila Johana García Olivera furono uccise da assassini non identificati. Le loro uccisioni portano a 11 il bilancio delle vittime dei giornalisti messicani nel 2022.

Fonte: ODN

Un tribunale turco ha condannato all’ergastolo l’attivista per i diritti umani e filantropo Osman Kavala, con l’accusa infondata o almeno molto controversa di aver tentato di rovesciare il governo col fallito colpo di stato del 2016. Tra le “prove” dell’attività sovversiva di Kavala, anche il supporto finanziario al movimento di protesta nato nel 2013 intorno alla difesa di Gezi Park. Sempre con l’accusa di aver appoggiato il tentativo di rovesciare il governo, la giuria di tre giudici ha condannato anche altri sette imputati a 18 anni di carcere ciascuno, ordinandone l’arresto immediato.

Fonte: Al Jazeera

L’industria militare del controllo delle frontiere e dei migranti è in grande espansione, tra droni, robot e sistemi biometrici, e alimenta un importante giro d’affari ignorando le conseguenze negative della militarizzazione dei controlli sulle persone e sui loro diritti. PresaDiretta ha prodotto un reportage sulla Grecia, laboratorio europeo delle nuove politiche della sorveglianza di frontiera.

Fonte: Rai

Il Pakistan, unico paese musulmano dotato di armi nucleari, attraversa una fase di forte instabilità politica. Il capo del governo Imran Khan, vincitore alle elezioni del 2018, ha perso la maggioranza parlamentare dopo che alcuni partiti della coalizione gli hanno ritirato il sostegno. La mozione di sfiducia che lo attendeva non è stata inizialmente discussa: il vice presidente dell’Assemblea nazionale, sostenitore di Khan, ha rifiutato di metterla ai voti sostenendo che fosse incostituzionale, in quanto frutto di “interferenze straniere”. Il riferimento polemico era agli Stati Uniti, “infastiditi” dalla politica estera indipendente del governo, di vicinanza alla Cina e dialogo con la Russia.

Imran Khan ha poi perso la fiducia in Parlamento per due voti, cedendo il governo all’opposizione in attesa delle elezioni generali, che dovranno svolgersi entro i prossimi sei mesi. Dopo il voto di sfiducia, in diverse città si sono avute manifestazioni di sostegno all’ex capo del governo.

Fonte: Al Jazeera

Il 15 marzo scorso il ministero dell’istruzione afghano aveva annunciato che le scuole sarebbero state riaperte per tutti gli studenti, comprese le ragazze. Successivamente, lo stesso ministero ha annunciato che le scuole secondarie femminili sarebbero rimaste chiuse, affermando che occorreva ancora decidere sul tipo di divise che le studentesse avrebbero dovuto indossare. La decisione ha provocato la delusione di famiglie e studentesse. La strada verso una normalizzazione della situazione in Afghanistan, dopo il ritorno al potere dei Talebani, sembra ancora lunga e accidentata: diritti e libertà delle donne continuano a essere violati.

Fonte: BBC News

Yelena Osipova, un’anziana attivista sopravvissuta all’assedio nazista di Leningrado durante la seconda guerra mondiale, è stata allontanata da un gruppo di polizia a San Pietroburgo mentre protestava contro la guerra in Ucraina. Migliaia di persone hanno sfidato le minacce della polizia e inscenato proteste in tutta la Russia. Le autorità hanno una bassa tolleranza per le manifestazioni, e la partecipazione a questi eventi può avere gravi conseguenze tra cui multe, arresti e persino imprigionamenti.

Fonte: The Guardian

Gli sfollati siriani nei campi lottano per provare a scaldarsi nel migliore dei modi, lavorando o stando vicini a un fuoco improvvisato, mentre una tempesta di neve colpisce la regione, costringendoli a subire le intemperie del freddo. Milioni di persone vivono così oramai da anni con solo delle tende per ripararsi, subendo le peggiori situazioni climatiche, un vero dramma per il popolo siriano.

Fonte: Al Jazeera

È passato più di un decennio da quando il sito Wikileaks ha pubblicato centinaia di migliaia di documenti e video riservati, alcuni dei quali hanno rivelato possibili crimini di guerra statunitensi: per questo il fondatore di Wikileaks, Julian Assange, è da anni sotto processo e adesso corre il rischio di essere estradato negli Stati Uniti a seguito di una decisione dell’Alta Corte del Regno Unito del dicembre 2021.

Assange ha trascorso sette anni come rifugiato politico presso l’ambasciata ecuadoriana a Londra ma, alla fine, è stato arrestato nel 2019. La prima settimana di gennaio 2022, i sostenitori di Assange hanno segnato il suo millesimo giorno di reclusione nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, a Londra. Il caso è seguito in tutto il mondo come esempio di libertà di stampa sotto attacco.

Fonte: Al Jazeera

Uriel, fuggito dal suo paese in guerra nel cuore dell’Africa, ha attraversato il Sahara per arrivare in Libia, dove è stato chiuso per tre anni in un centro di detenzione. Sopravvissuto, è riuscito ad arrivare in Italia dove è stato assegnato a un centro di accoglienza per richiedenti asilo, facendo i conti con l’applicazione del “Decreto sicurezza” del 2018.

Con la regia di Guido Massimo Calanca e Daniele Vicari, e la sceneggiatura di Sarita Fratini, il video è costruito anche con immagini realizzate da decine di migranti, raccolte da giornalisti e attivisti. Un documento prezioso per comprendere la realtà della migrazione e le conseguenze dei confini sulle persone.

Fonte: Gedi Visual

Greta Thunberg, intervenuta alla Marcia per il clima, ha usato parole dure contro la conferenza: “non è un segreto che la COP26 sia un fallimento. Dovrebbe essere ovvio che non possiamo risolvere una crisi con gli stessi metodi con cui ci siamo entrati”. E ha aggiungendo: “I potenti possono continuare a vivere nella loro bolla piena delle loro fantasie, come quella di una crescita infinita su un pianeta finito o quella di soluzioni tecnologiche che risolveranno improvvisamente la crisi”.

Fonte: HyperBros.com

Phoebe Weston, divulgatrice scientifica esperta di questioni ambientali, ha spiegato alcuni dei concetti-chiave del “gergo climatico”, per offrire strumenti utili a comprendere la posta in gioco della COP26 di Glasgow.

Fonte: The Guardian

Il 15 ottobre 2021 è stato presentato al Senato della Repubblica il primo rapporto della Coalizione Italiana Libertà e Diritti civili (CILD) sui Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR), ovvero i centri di detenzione amministrativa per migranti privi di documenti di soggiorno. Il Rapporto, intitolato “Buchi neri. La detenzione senza reato nei CPR”, intende far luce sulle forti criticità che caratterizzano in Italia i centri di questo tipo, nella prospettiva di un loro superamento.

Fonte: Radio Radicale

Più di 10.000 persone hanno trovato un riparo di fortuna sotto un viadotto nel Texas del Sud, dopo aver passato la frontiera tra gli Stati Uniti e il Messico. Questa importante presenza di potenziali richiedenti asilo ha aperto, innanzitutto, una crisi umanitaria date le cattive condizioni igienico-sanitarie dell’area inadatta ad accogliere così tante persone. La maggior parte dei migranti è di origine haitiana e si trovava già in Messico da prima del terremoto che ha colpito l’isola il mese scorso. Il governo federale ha nel frattempo espulso, tramite accordi con gli stati d’origine, molti dei migranti raccoltisi sotto il viadotto terxano.

Fonte: Global News

Il ritorno al potere dei Talebani sta spingendo migliaia di afgane e afgani a lasciare il paese. Dall’Afghanistan si continua a fuggire, per chiedere protezione internazionale all’estero, da più di vent’anni: la nascita dell’Emirato Islamico certamente costituisce, per tante e tanti, un nuovo motivo per lasciare il paese. La prima destinazione, comunque, sono gli Stati limitrofi o quei pochi paesi con cui si stanno costruendo dei corridoi umanitari. Questo video ricostruisce nelle linee generali la risposta di alcuni paesi asiatici alle persone che stanno lasciando l’Afghanistan in queste settimane.

Fonte: South China Morning Post

Il 9 luglio durante la cerimonia di consegna dei diplomi alla Scuola Normale Superiore di Pisa, tre studentesse (Virginia Magnaghi, Virginia Grossi e Valeria Spacciante) hanno contestato “la retorica dell’eccellenza e della meritocrazia”. Una riflessione sulle criticità profonde e sulla precarietà lavorativa che segnano il mondo della formazione, sempre meno orientato alla produzione di beni comuni e di relazioni, in nome della competizione e del profitto secondo un modello aziendalistico.

Fonte: Libero pensiero

Un potente incendio è divampato sulla superficie del Golfo del Messico a causa di una perdita di gas da un condotto sottomarino a poca distanza da una piattaforma di estrazione di proprietà della compagnia petrolifera di stato messicana Pemex. Le immagini dello spettacolare e inquietante incendio, che ha fatto ribollire di fiamme arancioni la superficie dell’oceano, sono diventate rapidamente virali il 2 luglio. Il fuoco è stato domato e la condotta riparata nel giro di circa due giorni.

Fonte: The Independent

In Mali prosegue la fase di grande instabilità politica: i membri del governo provvisorio sono stati arrestati a seguito di un colpo di stato militare, il secondo nel giro di 9 mesi. Quali sono le cause profonde del ciclo di instabilità che attraversa il paese? E quali possono essere le strategie di risoluzione dei conflitti che periodicamente conducono a tali cambi violenti di governo? La giunta militare ora in carica manterrà la promessa di indire nuove elezioni il prossimo anno?

Fonte: WION

Lo scorso 14 maggio, nel quadro delle riprese ostilità tra Hamas e Israele, un attaco aereo israeliano ha distrutto a Gaza un intero palazzo che ospitava, tra l’altro, gli uffici della Associated Press e di Al Jazeera. I militari avevano annunciato l’attacco, intimando di abbandonare il palazzo, poco più di un’ora prima dell’impatto dei missili. Su questa e altre azioni militari condotte dall’esercito israeliano nella striscia di Gaza nel corso delle due settimane di conflitto armato è stata richiesta l’istituzione di una Commissione d’inchiesta da parte delle Nazioni Unite.

Fonte: Guardian News

#NoMoreMatildas​ è una campagna dell’Asociación de Mujeres Investigadoras y Tecnólogas. L’obiettivo è denunciare le conseguenze del cosiddetto “Effetto Matilda”: il nome viene dall’attivista statunitense per il suffragio femminile Matilda Joslyn Gage, e si riferisce al fenomeno per cui, specialmente in campo scientifico, il risultato del lavoro di ricerca compiuto da una donna viene in tutto o in parte attribuito a un uomo. Questo video-cartone vuole essere di ispirazione per le donne che vogliono studiare e fare ricerca in ambito scientifico, nonché per tutte e tutti coloro che si impegnano per il pieno riconoscimento del valore delle donne scienziate.

Fonte: #NoMoreMatildas

L’India vede da mesi una massiccia mobilitazione contadina ed operaia contro le leggi anti-contadine promosse dal governo. The Guardian dà voce a Pushpinder Pal, uno dei migliaia di contadini accampati per protesta lungo oltre 15 chilometri delle principali strade di Delhi, per chiedere al governo che ritiri o modifichi sostanzialmente la propria posizione, accusata di favorire l’agrobusiness e impoverire ulteriormente i piccoli e medi coltivatori. Nel frattempo, il 12 gennaio, la Corte Suprema dell’India ha deciso di fermare temporaneamente l’implementazione delle leggi agrarie al centro della protesta, incaricando una commissione di esperti di redigere uno studio sull’impatto delle nuove norme.

Fonte: The Guardian

Cresce la tensione tra la regione del Tigray e il governo centrale etiope: è possibile che il conflitto si estenda ad altri territori dell’area e si produca un’emergenza umanitaria, in parte già in corso, per le tante persone costrette a lasciare le proprie case per sfuggire alla violenza. Il reportage della BBC analizza le principali cause del conflitto, presenta i soggetti che ne sono protagonisti, duscute le possibili prospettive di soluzione.

Fonte: BBC News Africa

Cori Bush è la prima deputata afroamericana eletta in Missouri al Congresso degli Stati Uniti. Ha ottenuto una grande vittoria, riportando più del 75% dei voti nel Primo Distretto dello Stato, che include la città di St. Louis. Nel suo primo intervento dopo i risultati elettorali Cori Bush ha ricordato il suo essere madre single, infermiera, già affetta da Covid-19, nera per incoraggiare tutte e tutti a prendere in mano la propria vita e trasformarla, trasformando il sistema dell’oppressione e dell’ingiustizia sociale. “Questo è il nostro momento, finalmente, per iniziare a vivere, a crescere, a svilupparci. Il mio messaggio, oggi, è rivolto a ogni persona Black, brown, migrante, queer, trans, ossia a ogni persona esclusa dalle opportunità a causa di un sistema oppressivo: io sono qui per servirvi”.

Fonte: Guardian News

A fronte di una nuova, preoccupante diffusione del virus anche in Italia, presentare accuratamente e discutere pubblicamente i dati disponibili sulla pandemia costituisce la premessa necessaria per politiche efficaci e mirate di contrasto, ma anche per una più consapevole e piena assunzione di responsabilità da parte della cittadinanza e del sistema produttivo.

Fonte: Coronavirus – Dati e Analisi Scientifiche

Ruth Bader Ginsburg, RBG, nella sua lunga carriera culminata con la nomina alla Corte Suprema degli Stati Uniti, ha segnato profondamente la cultura giuridica e la società statunitensi. La sua stessa presenza nel massimo organo giurisdizionale del paese (solo 4 donne in tutto sono state finora giudici della Corte Suprema) ha rappresentato un segnale importante nella lotta contro le barriere che impediscono alle donne l’accesso a professioni tradizionalmente riservate agli uomini. Negli anni Settanta, in qualità di avvocato impegnato nell’American Civil Liberties Union, RBG ha contribuito in modo decisivo a far riconoscere le discriminazioni di genere come violazioni della clausola della “equal protection” sancita dal 15° emendamento. Come giudice, ha proseguito il suo impegno sia per l’eguaglianza e l’autodeterminazione delle donne, anche in tema di libertà riproduttiva, che per l’eguaglianza delle persone LGBTQ.

Fonte: The New York Times

La deputata democratica Alexandria Ocasio-Cortez interviene in aula al Congresso degli Stati Uniti per stigmatizzare l’aggressione verbale sessista ricevuta dal collega repubblicano Ted Yoho che, dopo quanto accaduto, ha porto le sue scuse solo in maniera forzata e comunque formale. L’intervento contiene, oltre all’esperienza personale della deputata, una attenta analisi del meccanismo e delle cause socio-culturali del discorso d’odio a sfondo sessista.

Fonte: NowThis News

Martedì 23 giugno è stato presentato il nuovo numero di Micromega interamente dedicato alla questione pandemia e al futuro che ci aspetta: “Dopo il virus, un mondo nuovo?”. Ingrid Colanicchia, giornalista di MicroMega, si è confrontata con Chiara Saraceno e Barbara Leda Kenny sull’impatto di genere del Covid.

Fonte: Micromega

La pandemia, la sua gestione e la costruzione del futuro, richiedono riflessioni complesse sul senso della salute e del benessere, che coinvolgano tutti i settori della nostra esistenza e mettano in relazione la sfera umana con quella animale e naturale, di cui gli esseri umani sono parte. In vista del Festival della Salute Globale, che si svolgerà a Padova dal 12 al 15 novembre 2020, l’artista e testimonial Saba Anglana ha dialogato con Barbara Bonomi Romagnoli, responsabile comunicazione del Network Italiano Salute Globale, su come comunicare la salute globale e i diritti umani.

Fonte: Editori Laterza

Le pandemie del passato hanno avuto varie ondate di infezioni, le successive spesso più gravi delle prime. Cosa ci possono insegnare, con le dovute e significative differenze, le varie ondate della influenza spagnola? Il servizio della CNBC International presenta alcuni elementi di riflessione.

Fonte: CNBC International

La riflessione di Matteo Duchini, studente dell’istituto Gadda Rosselli di Gallarate, sugli esami di maturità che iniziano il 17 giugno 2020 in tutta Italia: “Non ce li siamo immaginati così, eppure eccoci qua. Questa maturità non sarà mai solo nostra, perché abbiamo dovuto condividerla con un virus”.

Fonte: Corriere.it

Le conseguenze economico-sociali della crisi da Coronavirus sono già avvertite in molti paesi del mondo: lo segnalano il numero delle attività chiuse, l’aumento della disocupazione, il calo dei consumi. Ma come sarà l’economia del dopo Covid-19? Il rallentamento della crescita cinese, in particolare, potrà avere effetti importanti sul sistema produttivo globale. L’Economist presenta in maniera analitica ma accessibile i principali problemi in campo.

Fonte: The Economist

Cosa succede ai tempi del Covid-19 agli stranieri nei Centri per il Rimpatrio (CPR), negli hotspot, nelle navi dove dovrebbero svolgere la quarantena? Il loro trattenimento è legale? Confronto a quattro, orianizzato da CILD, la Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili.

Fonte: Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili

Molti leader politici, statunitensi e non solo, affermano che “siamo in guerra contro il Covid-19“. La metafora militare però non è assolutamente adeguata a descrivere ciò che sta succedendo, né serve a ripondere alla crisi in corso. Anzi: l’enorme spesa militare è, nel caso degli Stati uniti, una delle con-cause della crisi, nella misura in cui assorbe risorse pubbliche che potevano (e potrebbero) essere impiegate per potenziare il sistema sanitario.

Fonte: Quincy Institute for Responsible Statecraft

Quanto è lunga la storia del nostro rapporto con le pandemie? Come le abbiamo affrontate nel corso del tempo? In che modo sono cambiate le modalità con cui le abbiamo affrontate? Ed oggi, come la nostra società sta vivendo questo momento eccezionale? Silvio Paone, dottore di ricerca in malattie infettive, intervista Mauro Capocci, docente di storia della medicina e storia della scienza all’Università di Pisa.

Fonte: Coronavirus – Dati e analisi scientifiche

Alessandra Scagliarini, professoressa di malattie infettive degli animali domestici all’Università di Bologna, e referente del suo ateneo nel Network Italiano delle Università per la Pace, interviene sul tema “Curare il pianeta, curare noi stessi”. Un’occasione per riflettere sulle cause e sugli effetti della pandemia da COVID-19.

Fonte: Università di Bologna

Come si può prevenire il contagio da COVID-19 in contesti a risorse limitate? Ecco come Medici con l’Africa Cuamm si sta preparando nell’ospedale di Tosamaganga, in Tanzania, e come si struttura il suo impegno nel paese, dal ministero della salute fino all’intervento nelle comunità. Ce lo raccontano i medici sul campo, Agata Miselli e Gaetano Azzimonti, e Alessandra Canneti e Giovanni Torelli dal coordinamento di Dar Es Salaam.

Fonte: Medici con l’Africa Cuamm

Seconda parte di una intervista alla Direttrice Regionale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per l’Africa, Dr. Matshidiso Moeti. Nei giorni in cui la pandemia iniziava a diffondersi in modo significativo anche in Africa, la Direttrice è intervenuta per spiegare come l’OMS sta sostenendo i vari paesi africani nell’afrontare la crisi sanitaria.

Fonte: AFRICA RENEWAL

Mercoledì 11 marzo 2020, il Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Dr. Tedros Adhanom Ghebreyesus, dichiara in una storica conferenza stampa che quella da COVID-19 è, a tutti gli effetti, una pandemia.

Fonte: Global News