Ultimo rapporto UNCHR sui fenomeni di sfollamento climatico
a cura di Martina Oliveri
L’ultimo rapporto pubblicato dall’UNCHR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, e presentato il 12 novembre scorso durante la COP29 a Baku in Azerbaigian, evidenzia come la crisi climatica abbia un peso sempre più determinante nelle migrazioni forzate, amplificando l’impatto dei conflitti armati e aggravando ulteriormente le condizioni di vita per milioni di persone.
Attualmente, sono oltre 120 milioni le persone che hanno dovuto abbandonare i loro territori di residenza a causa di conflitti armati e delle conseguenze del cambiamento climatico: si tratta del numero più elevato mai stimato finora, raddoppiato negli ultimi 10 anni. Le persone più colpite sono quelle che vivono in paesi altamente a rischio climatico come Sudan, Siria, Etiopia, Haiti, Myanmar e Somalia.
Il cambiamento climatico non soltanto intensifica gli altri determinanti delle migrazioni forzate, ma rende il ritorno nel paese d’origine sempre più difficile. Negli ultimi 10 anni, gli eventi meteorologici estremi e i disastri climatici, come inondazioni, siccità prolungata e ondate di calore, hanno ridotto 220 milioni di persone nella condizione di sfollati interni: questo numero enorme corrisponde a 60.000 sfollati al giorno.
Secondo il rapporto dell’UNHCR, entro il 2040 il numero di paesi che dovranno affrontare rischi estremi legati al cambiamento del clima passerà da 3 a 65, la maggior parte dei quali ospiterà rifugiati e sfollati interni. Allo stesso modo, si prevede che entro il 2050 la maggior parte degli insediamenti e dei campi di rifugiati sperimenteranno il doppio dei giorni di caldo estremo.
È il caso del Sudan, in cui i conflitti interni hanno costretto milioni di persone a fuggire. Tra questi, 700.000 sono arrivati in Ciad, il quale ha ospitato rifugiati per decenni, ma adesso è uno dei paesi più esposti ai cambiamenti climatici. Allo stesso tempo, molti di coloro che sono fuggiti dalle aree di combattimento, ma sono rimasti all’interno del Sudan, rischiano di essere costretti a fuggire nuovamente a causa delle gravi inondazioni che hanno colpito il paese.
Situazione analoga in Myanmar, in cui il 72% dei rifugiati ha cercato sicurezza in Bangladesh, dove i rischi naturali, come cicloni e inondazioni, sono classificati come estremi.
Il rapporto sottolinea che, sebbene la situazione sia grave, esistono soluzioni per prevenire scenari ancora peggiori. Per affrontare efficacemente la crisi è necessario adottare approcci integrati che considerino la protezione delle persone vulnerabili, con particolare attenzione alle questioni di genere. È urgente proteggere le persone sfollate, includere i loro bisogni e le loro esperienze all’interno delle politiche climatiche e investire nella resilienza/resistenza climatica, specialmente in contesti fragili e segnati dai conflitti.
Sebbene la situazione sia estremamente critica, questo rapporto mostra che soluzioni sostenibili sono disponibili, anche se richiedono un impegno effettivo da parte delle istituzioni e forme efficaci di solidarietà internazionale. Gli scenari peggiori possono essere evitati, grazie ad approcci integrati che tengano conto dei diversi fattori di rischio in gioco.
Il rapporto si conclude, dunque, con un forte appello all’azione: proteggere le persone in fuga dall’impatto del cambiamento climatico e delle catastrofi naturali, applicando e adattando gli strumenti giuridici e politici esistenti; includere le voci e le esigenze specifiche delle popolazioni sfollate e delle comunità ospitanti nelle decisioni su finanziamenti e politiche sul clima; investire nella costruzione di una resilienza climatica dove i bisogni sono maggiori, soprattutto in contesti fragili e di conflitto armato; accelerare la riduzione delle emissioni di anidride carbonica per prevenire i disastri climatici e per scongiurare o ridurre al minimo ulteriori spostamenti.
Martina Oliveri è laureata in Economia Aziendale e svolge attualmente il Servizio Civile Universale presso il Centro Interdisciplinare “Scienze per la Pace” dell’Università di Pisa.