




La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, a pochi giorni dal femminicidio di Giulia Cecchettin, ha chiamato più di 500.000 persone nelle strade di Roma e di altre città. Promotrice del 25 novembre è stata, anche quest’anno, “Non una di meno”: il percorso transfemminista avviato nel 2016, ispirato dalla campagna “Ni una di menos” nata in Argentina l’anno prima.
Partito dal Circo Massimo verso Piazza San Giovanni, il corteo romano ha visto una “marea” di donne di tutte le età, identità e provenienze, con la presenza di uomini solidali, consapevoli della necessità di promuovere una mascolinità alternativa a quella patriarcale: nei casi più gravi, questa mascolinità “tossica” conduce al femminicidio (107 in Italia nell’anno in corso) ma, nella “normalità” quotidiana, alimenta stereotipi, discriminazioni e abusi troppo spesso sottovalutati.
Da molti interventi è emersa la consapevolezza che la violenza contro le donne non è una disgrazia, ma rispecchia la struttura della società: non ha solo natura fisica, ma anche economica, politica, culturale e psicologica. In questo senso, la guerra è stata denunciata come “l’espressione più alta del patriarcato”. Le misure adottate dal governo sono state criticate per la loro natura repressiva o ideologica, come tali inefficaci rispetto alle cause del problema e distanti dai bisogni delle donne: un reddito di autodeterminazione, garanzie per il diritto all’abitare, una vera educazione alle differenze nelle scuole, un accesso libero all’aborto.
La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne è stata istituita nel 1999 dalle Nazioni Unite per ricordare le sorelle Mirabal – Patria, Minerva e Maria Teresa : tre attiviste politiche dominicane uccise il 25 novembre 1960 per ordine del dittatore Rafael Leónidas Trujillo.
Fonti: Agenzia Dire, Open, il manifesto.