Vivere bene rispettando i limiti del pianeta: una rassegna degli studi post-crescita
di Lucrezia Maffucci
È possibile migliorare il benessere delle comunità umane senza affidarsi alla crescita economica, in modo da rispettare i limiti ecologici del pianeta? Questa è la domanda alla base degli studi sul cosiddetto “post-growth”: un paradigma economico alternativo a quello attuale, che mira a superare la dipendenza da una crescita infinita, privilegiando l’equilibrio ecologico e la giustizia sociale.
Un gruppo internazionale di ricercatori e ricercatrici ha presentato recentemente sulla rivista The Lancet una rassegna dei principali temi di ricerca emersi nel settore nel corso degli ultimi anni: un punto di partenza importante per tutte e tutti coloro che sono impegnati per la giustizia sociale e ambientale.
Dai limiti ecologici alla crescita alla crisi climatica
Gli autori e le autrici partono dall’analisi dei limiti della crescita economica di un paese in relazione alla disponibilità di risorse ambientali.
Uno dei primi modelli a simulare i trend di crescita economica e demografica in funzione delle risorse è stato il “World 3“, sviluppato nel 1972. Le simulazioni indicavano per la prima volta il “collasso della società” come uno scenario plausibile, in assenza di interventi sulle politiche di sfruttamento delle risorse. Alcuni economisti, tuttavia, suggerivano che l’aumento dei prezzi, dovuto alla scarsità di risorse, avrebbe incentivato lo sviluppo tecnologico e la ricerca di risorse alternative.
Tali modelli iniziali di previsione spesso non riescono a cogliere appieno gli effetti delle innovazioni tecnologiche, poiché queste sono difficili da anticipare basandosi esclusivamente su dati del passato. Inoltre, confrontando i dati di questi modelli con i trend reali, si è compreso che il collasso delle società sarebbe stato accelerato dall’inquinamento, più che dalla carenza di risorse. Questo dato è in linea con il problema che risulta essere il più pressante per l’umanità presente e futura, ossia il cambiamento climatico.
Le riflessioni sul post-growth hanno, non a caso, ritrovato grande impulso nel quadro dell’attuale crisi climatica. Negli studi più recenti emerge un ampio consenso sul fatto che gli impatti ecologici globali delle attività umane, comprese le emissioni di gas serra principali responsabili del cambiamento climatico, non stiano diminuendo. In particolare, la crisi climatica ha un impatto negativo sul sistema economico mondiale: si stima che, col tasso di riscaldamento attuale, ogni aumento di temperatura di 1°C comporti una perdita del 12% del PIL globale.
La controversia sulla “dissociazione”
Gli studi post-growth si sono interrogati a lungo sulla possibilità di dissociare la crescita economica, misurata attraverso il PIL, dall’aumento delle emissioni di carbonio e dal material use, ovvero il consumo di risorse materiali come materie prime e combustibili fossili.
È possibile distinguere tra “dissociazione relativa”, in cui il PIL cresce a un tasso più elevato rispetto alle emissioni e al consumo di risorse, e “dissociazione assoluta”, in cui l’incremento del PIL coincide con una riduzione delle emissioni e del material use. Tuttavia, a livello globale, un obiettivo di dissociazione assoluta non appare ancora realistico.
Gli autori e le autrici analizzano criticamente questo nesso. Per quanto riguarda le risorse, diverse teorie le collegano al PIL: la teoria dell’effetto di rimbalzo (rebound effect), ad esempio, suggerisce che il progresso tecnologico nell’efficienza d’uso delle risorse non si traduce necessariamente in una loro diminuzione, poiché la riduzione dei costi legata a una maggiore efficienza può stimolare un aumento della domanda.
Inoltre, varie ricerche internazionali indicano che man mano che le economie crescono iniziano a delocalizzare sempre più la produzione agricola e industriale e si affidano alle importazioni. Pertanto, anche se lo sfruttamento di materie prime all’interno del paese diminuisce, l’impatto ecologico totale continua ad aumentare.
Ci sono stati momenti in cui una scissione assoluta è sembrata possibile: il problema è che questi momenti coincidevano con quelli di minore crescita. In generale, più la crescita economica di un paese è bassa più la scissione appare fattibile.
Diversi modelli economici mostrano come gli investimenti in infrastrutture a basso impatto ecologico e in azioni di mitigazione climatica potrebbero essere in grado di aumentare la crescita, mobilitando risorse che altrimenti resterebbero inutilizzate. Occorre, tuttavia, considerare che se questa “ecologizzazione” si basa su fonti in ultima istanza non rinnovabili, le innovazioni tecnologiche da sole non saranno in grado di sostenere contemporaneamente la crescita e la riduzione delle emissioni.
Benessere umano e limiti sociali alla crescita
A sostegno della prospettiva post-growth non si invocano soltanto i limiti ecologici: oltre un certo livello di reddito, infatti, il PIL non migliora ulteriormente il benessere umano. Secondo la tesi del “costo sociale”, superata una certa soglia di PIL i costi della crescita (come l’inquinamento, il traffico veicolare, i problemi di salute mentale, il disagio sociale) potrebbero superare i benefici economici.
I paesi con migliori politiche occupazionali, sistemi di welfare più efficaci, servizi pubblici più efficienti e reti sociali più forti mostrano una maggiore soddisfazione di vita, dimostrando che le relazioni umane influiscono sul benessere più del reddito. Esistono anche indicatori alternativi al PIL come il Genuine Progress Indicator (GPI) che misurano il benessere umano attraverso parametri più articolati e ricchi.
Un semplice calo delle performance economiche non garantisce di per sé benefici. Il post-growth si interroga, quindi, su quali condizioni sociali e politiche debbano essere istituite per promuovere alti livelli di benessere a basso impatto ambientale, considerando non solo (o non tanto) il PIL ma anche le molte e complesse dinamiche del benessere umano.
Stagnazione e limiti economici della crescita
Un altro tema centrale nel paradigma post-growth riguarda la stagnazione e i limiti economici della crescita. I paesi capitalistici ad alto reddito presentano periodicamente situazioni di crisi. In molti di questi paesi dove il PIL pro-capite è diminuito, sono fortemente cresciute le diseguaglianze interne e la crescita della produttività è rallentata.
Gli economisti hanno cercato di spiegare queste tendenze in vari modi: alcuni attribuiscono il fenomeno al declino dei rendimenti marginali con la crescita economica, mentre altri lo considerano il risultato di altre dinamiche, come la riduzione del tasso di fertilità e il passaggio dall’industria manifatturiera ai servizi. C’è poi chi sostiene che la terziarizzazione di queste economie sia legata a uno scambio iniquo di lavoro con i paesi a basso e medio reddito, dove l’alto tenore di vita dei primi è sostenuto dal lavoro agricolo e industriale sottopagato dei secondi.
Questo rallentamento nella crescita, sebbene sia positivo per l’ambiente, pone una sfida fondamentale: i sistemi politici attuali, infatti, dipendono dalla crescita per la loro stabilità, rendendo la stagnazione e la crisi una vera e propria minaccia istituzionale. La domanda cruciale diventa quindi: come possiamo mantenere la coesione sociale e la legittimità degli ordinamenti politici in assenza di crescita economica?
In questo contesto, un tema centrale è certamente quello della crescita delle disuguaglianze. Secondo Thomas Piketty, quando la crescita del PIL è inferiore al rendimento del capitale, la ricchezza tende a concentrarsi nelle mani dei più abbienti. Per contrastare questa tendenza, si suggeriscono tassazioni fortemente progressive, investimenti pubblici nei servizi fondamentali e in settori ad alta intensità di lavoro, il rafforzamento dei sindacati e la riduzione dei divari salariali.
Il paradigma post-growth ritiene che modelli macroeconomici ispirati alla giustizia sociale e ambientale, finalizzati all’equità e al benessere umano, possano contribuire a contrastare le disuguaglianze e promuovere modelli occupazionali più soddisfacenti, a partire dalla riduzione dell’orario di lavoro e dall’introduzione di forme di reddito universale.
Gli autori e le autrici discutono in questo quadro la possibilità di “accordi post-growth“, in cui le nazioni collaborino tra loro per politiche sostenibili e socialmente vantaggiose. Iniziative come il “Wellbeing Economy Governments partnership” (che include Scozia, Islanda, Nuova Zelanda, Galles, Finlandia e Canada) e il “Fossil Fuel Non-Proliferation Treaty” (una sorta di accordo internazionale per la riduzione dello sfruttamento del fossile) costituiscono dei primi tentativi concreti di promuovere modelli economici alternativi.
Dipendenza dalla crescita economica
Nel sistema attuale, la crescita economica è vista come essenziale per creare occupazione, ridurre le disuguaglianze attraverso la redistribuzione e finanziare i servizi pubblici. In questo quadro, il problema è come ridurre la dipendenza dalla crescita continuando a sostenere il welfare.
Negli anni del secondo dopoguerra la crescita economica, unita a politiche di redistribuzione del reddito, è stata usata in Europa occidentale per ridurre i conflitti sociali. Ma cosa succederebbe se la crescita finisse e si invertisse in una decrescita non controllata? Alcuni temono che potrebbe portare all’instabilità o all’autoritarismo, mentre altri pensano che potrebbe aprire la strada a nuove forme di democrazia più partecipative.
Questi scenari fortemente alternativi dipendono, in ultima analisi, dalla modalità con cui si adottato e implementano le politiche economiche, sociali e ambientali. La domanda a cui occorre rispondere, dunque, diventa questa: è possibile raggiungere un buon livello di benessere usando meno risorse rispetto a quelle oggi utilizzate dai paesi ad alto reddito, in modo da rispettare i limiti ecologici del pianeta?
Vivere bene entro i limiti ecologici del pianeta
Gli studi rivelano che alcuni paesi a medio reddito raggiungono risultati sociali simili o superiori a quelli dei paesi ad alto reddito, pur consumando meno risorse. Tuttavia, nessun paese garantisce il benessere sociale entro i limiti delle risorse planetarie, sebbene alcuni, come la Costa Rica, si avvicinino a questo obiettivo. Il problema risiede nel fatto che i paesi più ricchi offrono un elevato benessere, ma in modo diseguale, e superano i limiti ecologici: viceversa, per garantire una vita dignitosa a tutte e tutti occorrerebbe un modello economico-sociale alternativo.
La ricerca suggerisce che la riorganizzazione dei sistemi di approvvigionamento, attraverso infrastrutture, tecnologie e istituzioni adeguate, insieme alla riduzione delle disuguaglianze, potrebbe soddisfare i bisogni umani con un minor consumo di energia e risorse. Ad esempio, i servizi pubblici e una maggiore equità migliorano il benessere senza aumentare il consumo.
Alcuni modelli indicano che i bisogni di 10 miliardi di persone potrebbero essere soddisfatti con livelli di energia compatibili con l’obiettivo climatico di un aumento delle temperature medie al di sotto di 1,5°C. L’adozione di misure combinate potrebbe ridurre l’uso di materiali del 56%, l’energia del 40-60% e le emissioni del 70%, consentendo di raggiungere emissioni nette zero. Se queste politiche sono teoricamente possibili e socialmente vantaggiose, perché non vengono perseguite?
Le analisi post-growth riconoscono che i paesi a basso reddito dovrebbero godere di livelli di benessere simili a quelli dei paesi ricchi, anche incrementando la produzione se necessario. Tuttavia, ciò solleva questioni di sostenibilità, poiché l’obiettivo è raggiungere questi traguardi senza superare i limiti ecologici del pianeta.
Una delle sfide principali consiste nel ridurre l’uso globale delle risorse in modo equo, tenendo conto del fatto che i paesi ricchi si basano su un elevato consumo di risorse e lavoro provenienti dal Sud globale, sfruttando il loro potere finanziario e geopolitico. Questo sistema iniquo priva i paesi più poveri delle risorse necessarie per soddisfare i bisogni locali e realizzare uno sviluppo autonomo.
Una transizione verso obiettivi di post-crescita nei paesi ricchi potrebbe avvantaggiare i paesi più poveri, riducendo lo sfruttamento delle loro risorse. Tuttavia, poiché molti paesi a basso reddito dipendono dalle esportazioni verso i paesi ricchi per sostenere l’occupazione e ripagare i debiti, una riduzione della domanda nei paesi ricchi potrebbe danneggiarli, a meno che non vengano adottate politiche adeguate.
Conclusioni
Come emerge dalla rassegna, la ricerca post-growth ha sviluppato una nuova generazione di modelli macroeconomici ecologici, ma anche strumenti per esplorare la coesione sociale e il benessere in assenza di crescita economica continua. Questi modelli dimostrano la fattibilità generale di percorsi alternativi alla crescita infinita, ma richiedono un importante lavoro di adattamento a contesti economici e geografici diversi da quelli europei e nordamericani.
Mentre i paesi ad alto reddito possono ridurre il consumo e riorganizzare i sistemi di approvvigionamento, i paesi a basso reddito richiedono approcci specifici, come lo sviluppo di energie rinnovabili decentralizzate, agricoltura rigenerativa e servizi pubblici essenziali.
Al tempo stesso, una riduzione della domanda di risorse naturali da parte dei paesi ricchi potrebbe danneggiare i paesi esportatori del Sud globale, richiedendo l’introduzione di meccanismi di compensazione. Inoltre, le istituzioni finanziarie internazionali dovrebbero essere riformate per sostenere modelli di sviluppo alternativi e governare l’indebitamento senza ricorrere a politiche di privatizzazione e di austerità, come spesso avvenuto nei decenni passati.
La ricerca post-crescita ha già prodotto importanti risultati, incrociando riflessioni economiche ed ecologiche, ma richiede l’integrazione di altre discipline, come la sociologia, l’antropologia o la medicina, per sviluppare approcci realmente transdisciplinari.
Numero di soglie sociali raggiunte rispetto al numero di confini biofisici trasgrediti per 92 Paesi nel 2015, in base al PIL pro capite. Idealmente, i Paesi si troverebbero nell’angolo in alto a sinistra, dove attualmente non si trova nessun Paese. Attualmente, i Paesi ad alto reddito raggiungono obiettivi sociali, ma a scapito del superamento dei confini planetari. I dati sociali e biofisici sono di Fanning et al. (2022) e i dati sul PIL pro capite (misurato in dollari USA nel 2015) sono della Banca Mondiale. Le 11 soglie sociali riguardano la soddisfazione della vita, l’aspettativa di vita, la nutrizione, i servizi igienici, la povertà di reddito, l’accesso all’energia, istruzione secondaria, sostegno sociale, qualità democratica, uguaglianza e occupazione. I sei limiti biofisici sono per le emissioni di CO2, il fosforo, l’azoto, il cambiamento del sistema terra, l’impronta ecologica e l’impronta materiale. PIL=prodotto interno lordo.
Lucrezia Maffucci è studentessa di Archeologia dell’Università di Pisa. Attualmente è collaboratrice part-time del Centro Interdisciplinare “Scienze per la Pace”.