Profilazioni razziali e forze dell’ordine: cosa dice il rapporto ECRI sull’Italia
a cura di Federico Oliveri
Lo scorso 22 ottobre la Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI), istituita all’interno del Consiglio d’Europa, ha pubblicato il suo ultimo rapporto sull’Italia, frutto del sesto ciclo di monitoraggio su 23 paesi membri. Ne è seguito un acceso dibattito politico interno, focalizzato quasi esclusivamente sulle parti del rapporto dedicate ai casi di “profilazione razziale” attribuiti, secondo numerose testimonianze raccolte, alle forze dell’ordine che prenderebbero di mira soprattutto persone Rom e nere.
Non si tratta, come pure si è affermato da parte del governo, di una generica accusa alle forze dell’ordine italiane di essere razziste, ma di una critica puntuale e circostanziata relativa a pratiche di profilazione razziale, proibite da norme nazionali, europee e internazionali. Tali pratiche consistono, in generale, nell’utilizzo di criteri razziali, etnici o nazionali per raccogliere informazioni e assumere decisioni relative a individui identificati, sulla base del loro aspetto esteriore o di altre caratteristiche, come appartenenti a determinati gruppi. Nel caso specifico, si tratta di controlli e fermi di polizia basati unicamente sull’origine etnica delle persone.
La profilazione razziale è vietata per varie ragioni etico-giuridiche. Tale pratica viola alcuni principi fondamentali degli ordinamenti democratico-costituzionali, come l’uguaglianza, la dignità personale e la non discriminazione. Essa implica, infatti, una generalizzazione pregiudizievole nei confronti di un intero gruppo di persone, esposte più di altri a controlli o specifici trattamenti solo perché ritenute appartenere a quel gruppo, definito su base razziale, etnica o nazionale. La profilazione razziale contribuisce a perpetuare stereotipi negativi su determinati gruppi etnici, rafforzandone l’esclusione e minando la loro fiducia nelle istituzioni. Le persone sottoposte a profilazione razziale possono subire gravi danni psicologici, avvertendo l’identificazione subita con umiliazione, paura e senso di ingiustizia.
L’ECRI è un organo indipendente di monitoraggio in materia di diritti umani, istituito nel 2002 all’interno del Consiglio d’Europa, la prima e più importante organizzazione internazionale europea istituita dopo la Seconda guerra mondiale per difendere la democrazia, lo stato di diritto e i diritti di tutti/e coloro che vivono nei suoi stati membri, attualmente 46.
L’ECRI è specializzata in questioni relative alla lotta contro il razzismo, la discriminazione (che sia basata su “razza”, origine etnica, colore della pelle, cittadinanza, religione, lingua, orientamento sessuale e identità di genere), la xenofobia, l’antisemitismo e l’intolleranza. È composta da membri indipendenti e imparziali, designati per la loro autorevolezza e per le loro riconosciute competenze in materia.
Nell’ambito dei suoi compiti statutari, l’ECRI svolge periodiche attività di monitoraggio paese per paese, finalizzate ad analizzare la situazione in ciascuno degli stati membri in materia di razzismo e intolleranza, per poi formulare raccomandazioni e proposte su come affrontare i problemi individuati.
I rapporti dell’ECRI non sono frutto di indagini o prove testimoniali. Si tratta di analisi basate su informazioni raccolte da un’ampia varietà di fonti. La visita in loco dei membri della Commissione fornisce l’occasione di incontrare direttamente le parti interessate, governative e non, al fine di raccogliere informazioni precise e aggiornate.
Prima di adottare un rapporto, l’ECRI si confronta con le autorità nazionali e consente loro, se lo ritengono necessario, di formulare commenti sulla bozza del rapporto, al fine di correggere eventuali errori fattuali. A conclusione di tale confronto, le autorità nazionali possono richiedere, qualora lo ritengano opportuno, che le loro osservazioni siano allegate al rapporto finale.
I rapporti relativi ai paesi inclusi nel sesto ciclo di monitoraggio si concentrano su tre temi: l’effettiva parità nella titolarità e nell’accesso ai diritti, i discorsi e i crimini d’odio, il grado di integrazione e inclusione delle comunità più a rischio. A questi tre temi si aggiungono tematiche proprie di ciascun paese.
Dall’adozione del quinto rapporto dell’ECRI sull’Italia, risalente al 18 marzo 2016, l’ultimo rapporto nota come siano stati fatti progressi e si siano sviluppate buone pratiche in vari ambiti. Il rapporto nota, ad esempio, come siano “stati compiuti sforzi significativi per mettere in guardia i giovani dai pericoli dell’incitamento all’odio online, in particolare con campagne di sensibilizzazione e attività condotte dalla Polizia Postale e delle Comunicazioni nelle scuole e in altri luoghi frequentati dai giovani”. E rileva come siano state “adottate diverse misure per aumentare la capacità degli agenti delle forze dell’ordine di contrastare i crimini dell’odio, tra cui una serie di corsi di formazione e pubblicazioni su questo tema”.
Il rapporto dell’ECRI registra anche come siano “stati fatti sforzi per garantire l’accesso dei migranti all’assistenza sanitaria, in particolare attraverso la formazione di mediatori culturali nel settore sanitario, attività di sensibilizzazione e altre misure volte a fornire informazioni sui servizi sanitari ai migranti” e constata come il numero di Rom che vivono in insediamenti informali è diminuito “grazie, almeno in parte, ai progetti di transizione abitativa realizzati dagli enti locali”.
A fronte di questi progressi, misurati rispetto alle raccomandazioni incluse nell’ultimo rapporto dedicato all’Italia, l’ECRI ha segnalato varie criticità su vari fronti, tra cui casi di “razzismo e intolleranza all’interno delle forze dell’ordine”. Si riportano integralmente, qui di seguito, i paragrafi dal 91 al 95 del rapporto dedicati al tema, affinché si possa avviare sulle pratiche discriminatorie rilevate all’interno delle forze dell’ordine italiane un dibattito pacato e informato, a partire dai rilievi e dalle raccomandazioni avanzate dalla Commissione.
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Durante la sua visita in Italia, la delegazione dell’ECRI è venuta a conoscenza di molte testimonianze sulla profilazione razziale da parte delle forze dell’ordine in particolare verso la comunità Rom e le persone di origine africana. Queste testimonianze di frequenti fermi e controlli basati sull’origine etnica sono confermate anche dai rapporti delle organizzazioni della società civile [tra cui ASGI ed ERRC] e di altri organismi di monitoraggio internazionali specializzati. Tuttavia, le autorità non raccolgono dati adeguatamente disaggregati sulle attività di fermo e di controllo della polizia, né sembrano essere consapevoli dell’entità del problema, e non considerano la profilazione razziale come una forma di potenziale razzismo istituzionale. La profilazione razziale ha effetti notevolmente negativi, in quanto genera un senso di umiliazione ed ingiustizia per i gruppi coinvolti provocando stigmatizzazione e alienazione. È inoltre dannosa per la sicurezza generale in quanto diminuisce la fiducia nella polizia e contribuisce a non denunciare reati.
L’ECRI ritiene pertanto che le autorità debbano sottoporre le pratiche di fermo e di controllo/perquisizione della polizia ad un esame indipendente. Tale esame dovrebbe essere condotto con la partecipazione attiva delle organizzazioni della società civile pertinenti e dei rappresentanti dei gruppi potenzialmente esposti alle pratiche di profilazione razziale. Tali esami dovrebbero essere utilizzati per sensibilizzare i funzionari delle forze dell’ordine sulle pratiche che possano potenzialmente condurre alla profilazione razziale con effetti nocivi sulla fiducia dei cittadini nella polizia nonché per identificare modelli indicativi di razzismo istituzionale all’interno delle forze dell’ordine, in particolare nei confronti dei Rom e delle persone di colore / di origine africana.
L’ECRI raccomanda, in via prioritaria, che le autorità commissionino prontamente uno studio completo e indipendente con l’obiettivo di individuare e affrontare qualsiasi pratica di profilazione razziale da parte delle forze dell’ordine che riguardi in particolare i Rom e le persone di origine africana, alla luce della Raccomandazione di Politica Generale dell’ECRI n. 11 sulla lotta al razzismo e alla discriminazione razziale nell’ambito delle attività di polizia e della Raccomandazione Generale n. 36 del Comitato delle Nazioni Unite sull’eliminazione della discriminazione razziale in materia di profilazione razziale da parte delle forze dell’ordine.
Inoltre, l’ECRI osserva che la fiducia da parte dei gruppi di interesse è significativamente minata anche da una serie di accuse di cattiva condotta della polizia nei confronti di persone appartenenti a minoranze etniche. Ad esempio, in uno studio condotto nel 2022 tra persone con esperienza di migrazione, in cui è stato chiesto agli intervistati in quale tipo di ufficio pubblico avessero subìto la maggior parte delle discriminazioni, i commissariati di polizia sono stati la risposta più comune (con il 45,8% degli intervistati che hanno subito discriminazioni) [secondo un rapporto del 2023, curato da ASGI e dal Centro Studi Migrazioni nel Mediterraneo]. I migranti hanno riferito, ad esempio, il rifiuto dell’accettazione delle loro richieste di asilo senza un motivo, di avere subito la distruzione dei loro documenti, di aver subito abusi verbali durante le procedure negli uffici immigrazione dei commissariati di polizia e, in alcuni casi, di aver subito violenze da parte degli agenti di polizia. L’ECRI ha anche ricevuto segnalazioni di vari tipi di abusi da parte della polizia nei confronti dei Rom, compresi i bambini Rom, con insulti e violenze, anche durante le operazioni di polizia nei loro insediamenti. Uno dei casi più gravi ha riguardato un intervento di polizia che ha lasciato un uomo Rom in coma, in seguito al quale quattro agenti di polizia sono stati accusati di tortura, falsa testimonianza e tentato omicidio.
In questo contesto, l’ECRI si rammarica del fatto che negli ultimi anni poco o niente sia stato fatto per garantire una maggiore responsabilità nei casi di abusi razzisti o LGBTI-fobici commessi da agenti della Polizia di Stato, Carabinieri e altri agenti delle forze dell’ordine. L’ECRI invita le autorità ad istituire un gruppo di lavoro che coinvolga l’UNAR, i funzionari pubblici dei servizi e delle istituzioni competenti, i pubblici ministeri ed i rappresentanti della società civile al fine di esaminare i modi e i mezzi per sviluppare meccanismi di responsabilità effettivi nei casi di abusi di polizia a sfondo razzista e LGBTI-fobici, anche attraverso l’istituzione di un organismo indipendente di supervisione della polizia.
Federico Oliveri è Senior Fellow del Centro Interdisciplinare “Scienze per la Pace” dell’Università di Pisa. Ha insegnato “Filosofia della pace” nel corso di laurea in “Scienze per la Pace” dell’Università di Pisa e insegna “Informatica giuridica” nel corso di laurea in Scienze giuridiche per l’innovazione organizzativa e la coesione sociale dell’Università di Camerino.