sabato, Dicembre 21, 2024
DirittiGeneri

Misurare il patriarcato nelle sue dimensioni economico-sociali e culturali

Il concetto di patriarcato è complesso e a volte sfuggente, ma le sue conseguenze sono chiaramente visibili nella nostra società, soprattutto in termini di disuguaglianze di genere che colpiscono sia le donne sia gli uomini. Per affrontare questa problematica in Italia è stato sviluppato un indice di patriarcato, presentato a Roma nel luglio 2024 alla 32ª conferenza della International Association for Feminist Economists (IAFFE). L’indice è stato progettato per integrare gli strumenti già esistenti, come l’Indice di Uguaglianza di Genere (GEI) dell’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere, e si concentra sugli aspetti più nascosti della disuguaglianza di genere. L’indice di patriarcato si basa su quattro dimensioni principali: il grado di patrilocalità, il dominio degli uomini sulle donne, il predominio delle generazioni anziane su quelle più giovani e il dominio socioeconomico. Questi aspetti sono stati identificati e quantificati attraverso una combinazione di dati che riguardano atteggiamenti sociali, comportamenti individuali e norme culturali. La metodologia si ispira a studi precedenti, adattandoli al contesto italiano per evidenziare le dinamiche specifiche del patriarcato nel paese. Gli indicatori rivelano, in generale, una particolare resistenza al cambiamento in ambiti come la maternità e il part-time involontario, oltre a una scarsa tolleranza verso l’aborto. I risultati dell’analisi rivelano inoltre un significativo divario tra Nord e Sud Italia. Le regioni settentrionali registrano punteggi mediamente più bassi, indicando una minore presenza di stereotipi patriarcali, mentre il sud presenta valori più elevati, segnalando una forte persistenza di modelli patriarcali. Il nord-est, con 17 punti su 40, è l’area meno patriarcale, mentre il sud raggiunge 29 punti, riflettendo una condizione di maggiore disuguaglianza, soprattutto nel mercato del lavoro e nella sfera familiare.

 

di Erica Aloè, Marcella Corsi, Giulia Zacchia

Il concetto di patriarcato è astratto, ma le sue conseguenze sono visibili e sostanziali nella società in un elenco infinito di eventi che riguardano principalmente la vita delle donne, ma non escludono nemmeno l’esperienza di vita degli uomini.

Definendo un indice di patriarcato per l’Italia – che abbiamo poi presentato all’interno della trentaduesima conferenza della International Association for Feminist Economists (Iaffe), che si è tenuta dal 3 al 5 luglio 2024 a Roma presso l’Università Sapienza – ci siamo proposte di descrivere il patriarcato, da un punto di vista economico, come un aggregato complesso, basato su diversi stereotipi, rappresentati da una serie di variabili relative a comportamenti individuali e norme sociali, classificate in quattro domini: il grado di patrilocalità [1], il predominio degli uomini sulle donne, il predominio delle generazioni più anziane su quelle più giovani e il dominio socioeconomico.

Per come è strutturato, potrebbe integrare il più famoso Indice di uguaglianza di genere (Gei), calcolato dall’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere (Eige), come misura che si concentra sulla parte “invisibile” della disuguaglianza di genere.

 

Definire il patriarcato

Definire il patriarcato non è un compito facile. Come ha scritto recentemente Nancy Folbre, “patriarcato e patriarcale sono parole usate per descrivere la disuguaglianza di genere (…). Sebbene le loro esatte definizioni rimangano controverse, solitamente etichettano gli accordi sociali che danno agli uomini eterosessuali maturi il potere sugli altri. (…). Il sostantivo ‘patriarcato’ (come ‘capitalismo’) descrive un’entità che sta da sola o separata, come un sole circondato da pianeti soggetti alla sua forza gravitazionale”.

Nel tentativo di misurare il patriarcato – per la prima volta in assoluto – nel nostro paese, abbiamo dovuto scegliere con molta attenzione quali “pianeti” considerare e siamo partite dagli stereotipi sui ruoli delle donne e degli uomini, ancora molto forti in tutta Italia.

Da una ricerca di Ipsos, realizzata nel 2018 per il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, emerge una visione di un paese con forti disuguaglianze di opportunità legate all’origine familiare, e in cui il duro lavoro conta certamente per avere successo nella vita, ma conoscere le persone giuste sembra essere altrettanto importante, e provenire da una famiglia culturalmente valida o ricca, anche se in misura minore. Una società quindi percepita come diseguale, in cui le caratteristiche ascritte valgono quasi quanto le competenze e le abilità acquisite.

Parlando nello specifico delle differenze di opportunità tra uomini e donne, l’idea diffusa è che siano stati fatti dei progressi nella condizione femminile, ma che la discriminazione di genere e gli stereotipi che l’accompagnano siano ben lontani dall’essere superati, soprattutto in due ambiti specifici: il mercato del lavoro e la sfera personale/familiare, in particolare in presenza di figli/e.

I dati dell’indagine mostrano una forte aderenza agli stereotipi di genere, che si concentrano soprattutto sugli aspetti legati alla maternità e le cui radici vanno quindi oltre i confini del mercato del lavoro e si riferiscono alla sfera delle scelte personali e familiari. La maternità è infatti considerata una “zavorra” per le donne, che impedisce loro di affermarsi in ambito professionale, in quanto ritenute ancora le principali responsabili della cura della famiglia: circa la metà delle persone intervistate ritiene che le donne con figli piccoli non debbano lavorare (53%) e poco meno della metà (44%) pensa che, anche se lavorano, debbano avere la principale responsabilità della cura della famiglia. Circa un terzo della popolazione è convinto che la maternità sia l’unica esperienza che permette a una donna di realizzarsi completamente.

L’adesione agli stereotipi è particolarmente alta tra giovani, persone con un basso livello di istruzione e persone situate nel Centro e nel Sud Italia (Figura 1). Circa il 40% delle persone intervistate ha una visione più attenuata, mentre gli stereotipi di genere sembrano essere molto meno condivisi da un terzo (32%) delle persone intervistate: opinioni di questo tipo sono più diffuse tra donne, casalinghe, studenti, e persone con un livello di istruzione più elevato.

Alto (28%) Medio (40%) Basso (32%)
Principalmente:
  • gruppo di età (16-24 anni)
  • Centro e Sud Italia
  • Basso livello di istruzione
Principalmente:
  • uomini
  • gruppo di età (25-55)
  • Nord Italia
Principalmente:
  • donne
  • gruppo di età (oltre 55 anni)
  • casalinghe e studenti
  • persone senza figli
  • laureati e diplomati

Figura 1: livello di adesione agli stereotipi verso le donne nella sfera personale e familiare in Italia. Fonte: Ipsos (2018)

 

L’indice di patriarcato 

La creazione di un indice di patriarcato per l’Italia è stata ispirata da tre studi precedenti. Abbiamo preso come punto di riferimento per i nostri calcoli l’indice composito sviluppato da Gruber e Szołtysek nel 2016. Si tratta di una misura composita indicizzata per valutare l’organizzazione e le relazioni familiari nell’Europa storica (a cavallo tra il 1800 e il 1900). Questo indice si basa su quattro domini: il dominio degli uomini sulle donne, il dominio della generazione più anziana su quella più giovane, il grado di patrilocalità, e lo sbilanciamento numerico dei sessi (preferenza per i figli maschi).

Seguendo l’esempio di una ricerca condotta da Abhishek Singh ed altri, il nostro studio integra la sfera socio-economica nella misurazione del patriarcato, riconoscendo gli squilibri sociali ed economici tra uomini e donne nelle famiglie, sia in termini di retribuzioni che di controllo sul denaro e sull’istruzione. Infine, come nello studio di Ajit Zacharias ed altri, questa analisi considera la rilevanza dell’ideologia patriarcale attraverso i dati provenienti da indagini sugli atteggiamenti di genere.

A nostra conoscenza, nessuno ha mai calcolato un indice di patriarcato per l’Italia. Abbiamo deciso di farlo per le quattro macroregioni italiane (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro e Sud). Utilizziamo le macroregioni piuttosto che le regioni perché questo rende i risultati più facilmente accessibili al pubblico e perché uno dei dataset che utilizziamo fornisce solo questo livello di disaggregazione.

 

Figura 2: le quattro dimensioni del patriarcato in Italia. Per un confronto si vedano Gruber e Szołtysek (2016), Singh et al. (2022) e Zacharias et al. (2022).

 

Nel complesso, la distribuzione dei punti di patriarcato nel paese mostra una differenza significativa tra il Sud e il resto del territorio nazionale. La forza del patriarcato varia da indicatore a indicatore. Il “dominio degli uomini sulle donne” mostra un ampio divario tra il Sud e il resto del paese.

Il Sud ha registrato 37 punti di patriarcato, mentre il resto delle regioni ha riportato circa 20 punti. Il “dominio della generazione più anziana su quella più giovane” è forte in tutto il paese. Nel dominio della “patrilocalità”, il Nord e il Centro hanno valori vicini, mentre il Sud ha un divario di 4-5 punti con le altre regioni. Nel “dominio socio-economico”, ancora una volta, il Sud accumula il maggior numero di punti di patriarcato. Le maggiori differenze tra il Sud e il resto d’Italia si registrano per il “divario di genere nel part-time involontario” e per la “percentuale di popolazione che non giustifica mai l’aborto”.

L’indice di patriarcato è stimato sommando la media degli indicatori di ciascun dominio per ogni regione (tabella 2). L’indice può variare tra un minimo di 0 e un massimo di 40 punti. Il Nord-Ovest, il Nord-Est e il Centro si collocano al di sotto della mediana. Il Nord-Est registra il punteggio più basso (17/40). D’altra parte, il Sud ha riportato un indice di quasi tre quarti dei punti di patriarcato (29/40), registrando una forte presenza di stereotipi patriarcali.

 

Figura 3: indicatore di patriarcato per l’Italia. Fonte: Aloè, Corsi, Zacchia (2024)

 

La definizione di un indice di patriarcato per l’Italia è uno strumento, basato su evidenze empiriche, per informare il mondo della ricerca, della politica e la società civile sulla portata degli atteggiamenti discriminatori di genere che, se monitorati in modo coerente nel tempo, potrebbero dimostrare come il livello di cambiamento degli stereotipi di genere possa essere utilizzato come tattica critica per promuovere l’equità di genere.

Applicando l’indice di patriarcato all’Italia, i risultati confermano, ancora una volta, il noto dualismo Nord-Sud. Le regioni del Nord e del Centro ottengono risultati molto vicini e mostrano che, anche se gli stereotipi patriarcali sono ancora presenti e forti, il patriarcato sta diventando minoritario. All’opposto, il Sud presenta ancora modelli patriarcali forti e maggioritari.

 

Riferimenti bibliografici

Aloè, E., Corsi, M., Zacchia, G. (2024). Measuring Patriarchy in Italy, Review of Political Economy, pp. 1-18

Folbre, N. (2021). The Rise and Decline of Patriarchal Systems. An Intersectional Political Economy. Verso.

Gruber, S. and Szołtysek, M. (2016). The Patriarchy Index: A Comparative Study of Power Relations across Historical Europe, The History of the Family, 21(2), pp. 133-174.

IPSOS (2018). Stereotipi e diseguaglianze di genere in Italia

Singh, A., Chokhandre, P., Singh, A.K., Barker, K.M., Kumar, K., McDougal, L., James, K.S., and Raj, A. (2022). Development of the India Patriarchy Index: Validation and Testing of Temporal and Spatial Patterning. Social Indicators Research, 159: pp. 351– 377.

Zacharias, A., Masterson, T., Rios-Avila, F., Nassif Pires, L., Oduro, A., Desta, C., Myamba, F., and Dramani, L. (2022). Measuring the Strength of Patriarchal Household Structures and Patriarchal Ideology. mimeo.

 

Note

[1] In antropologia sociale, istituzione o usanza (detta anche virilocalità), secondo la quale i figli maschi continuano a risiedere, anche dopo il matrimonio, con le loro famiglie, nel territorio o nel villaggio del padre o comunque presso di lui; si contrappone alla matrilocalità o uxorilocalità.

 

Fonte: inGenere, 25 novembre 2024.