Le sfide pedagogiche della didattica a distanza
di Cristina Morelli
Dopo più di quattro settimane di lockdown, come Animatore Digitale di uno degli Istituti Comprensivi più ampi della città di Pisa, posso tirare un po’ il fiato e riflettere su questa corsa ad “attrezzarsi digitalmente” per poter attuare la didattica a distanza e cercare di offrire, agli studenti e alle studentesse, uno spazio virtuale in cui poter ricreare, con tutti i limiti del caso, ciò che è venuto a mancare da un giorno all’altro: la possibilità di insegnare ed imparare in un’aula, guardandosi negli occhi.
Nella nostra realtà scolastica esisteva già una piattaforma e-learning gratuita e fruibile, ma pochi colleghi ne erano a conoscenza o non se ne curavano. Tanto che, quando dovevo presentare al collegio il Piano Digitale annuale, avvertivo sempre un certo disagio. A lungo le proposte per “digitalizzare l’istituto”, attraverso formazione ad hoc e l’impiego di strumenti per creare contenuti didattici formativi, sono state verbalizzate ma mai collegialmente comprese o attuate. Questo per diverse ragioni, la principale delle quali attribuibile alla mancanza di visione del management. Il risultato: piattaforma esistente, ma sfruttata dall’1% dei docenti e dal 13% degli studenti.
A dire il vero, non sono mai stata del tutto sola. Ho ritrovato e condiviso questo senso di disagio e frustrazione con la maggior parte dei colleghi Animatori Digitali intervenuti in un’incontro al Didacta, organizzato a Firenze dall’Ufficio Scolastico Regionale nell’ottobre 2019.
La necessità dettata dalla pandemia ha spinto, adesso, anche i più scettici e refrattari tra i docenti a seguire le direttive ministeriali in materia di didattica a distanza. Quelli che tuttora non credono che la tecnologia possa aiutare o fungere da supporto ad un apprendimento migliore; quelli che non hanno un indirizzo e-mail, se non quello istituzionale della scuola, ma non sanno che farne; quelli che non volevano fare video-lezioni perché “manca il rapporto umano con lo studente” e “non si può certo crearne uno virtualmente”. Ebbene, anche loro, hanno dovuto adeguarsi alla inesorabile scelta tra “didattica a distanza o “nessuna didattica”.
Per gli Animatori Digitali sono state settimane intensissime ma costruttive. In poco tempo è accaduto ciò che non è successo per anni: un piccolo miracolo, avvenuto troppo velocemente ma almeno accaduto, un’accelerazione di un processo già in atto ma che non riusciva a decollare a causa di ostacoli oggettivi (carenza di infrastrutture e attrezzature) e difficoltà soggettive legate alla forma mentis, alla difficoltà di mettersi in gioco, di lasciare la comfort zone, il noto per l’ignoto che contraddistingue ogni essere umano. Questo ha portato la maggior parte dei docenti a utilizzare una metodologia didattica comprovata e sperimentata, ma ancorata al passato.
Il direttore dell’ufficio scolastico per la Toscana, Ernesto Pellecchia, ha riferito alla stampa che in Toscana “le scuole di ogni ogni ordine e grado hanno raggiunto livelli eccellenti: 17 mila classi coinvolte, per un totale di circa 400mila studenti e oltre 45mila docenti, ovvero circa il 95% delle scuole toscane ha aderito alla didattica a distanza”1. Ciò significa che la tecnologia è stata una panacea ed ha risolto tutti i problemi riscontrati nell’integrazione delle Tecnologie Informatiche e della Comunicazione nel curriculum? Certamente no, ma questa situazione di emergenza ha obbligato tutto il personale scolastico ad affrontare il tema, creando uno spartiacque da cui partire per potenziare le competenze digitali, laddove già esistevano, o rinforzare quelle sviluppate in questi mesi.
A distanza di qualche settimana, anche nel mio istituto registro comunque opinioni contrastanti sulla didattica a distanza da parte dei docenti, dei genitori e degli studenti, opinioni che si creano a seconda del digital device, ovvero della specifica situazione sociale in cui si vive. Condividere un device, magari fornito dalla scuola, in una famiglia numerosa dove la connessione non è ottimale o non si dispone di una propria stanza, così come dover seguire lezioni online con familiari che hanno perso il lavoro o in famiglie che hanno avuto lutti causati dal Covid-19, non è certo il contesto ideale per uno studente. La scuola sta rispondendo alle difficoltà legate alla connettività e alla disponibilità dei device, i docenti si stanno formando per capire come gestire la lezione on line e creare modalità di insegnamento e contenuti pensati appositamente per l’ambiente digitale. Non è facile, ma si prova ad affrontare la sfida. Occorre tempo, soprattutto in situazioni dove non si è investito nella didattica digitale e nella formazione dei docenti per anni.
Proprio così: per anni. Non a caso la situazione è stata problematica soprattutto negli istituti dove si erano attuate poco o per nulla le azioni del Piano Digitale Nazionale, o comunque tali azioni erano state attuate in modo poco sistematico ed efficace, creando una disomogeneità nella disponibilità delle attrezzature e nella formazione dei docenti nello stesso istituto. Ritengo che a Pisa gli Istituti comprensivi abbiano sofferto maggiormente questo drastico e forzato passaggio al digitale, mentre gli Istituti di secondo grado siano riusciti ad adeguarsi al nuovo scenario in modo più fluido.
Mi chiedo perché si sia dovuto aspettare l’esplosione della pandemia, invece di avviare per tempo un processo di digitalizzazione graduale di cui avrebbe beneficiato tutta la comunità scolastica, in primis gli studenti. Loro dovrebbero essere il core, il focus che motiva ogni scelta didattica e manageriale all’interno di ogni scuola. Peccato che nei Piani Territoriali dell’Offerta Formativa di tutti gli Istituti si ritrovino intenti di questo genere che, in moltissimi casi, sono rimasti lettera morta.
Come mai soltanto nell’emergenza si ottengono risposte? Il Piano Digitale Nazionale è stato lanciato nel 2016. Gli Animatori Digitali sono figure istituite fin da allora. Eppure, soltanto nell’emergenza se ne sta rivalutando e valorizzando pienamente la funzione. Questo ritardo chiama in causa il ruolo dei dirigenti che sono, in ultima istanza, i responsabili dell’apprendimento degli studenti. Anche i migliori lavoratori non possono affrontare, da soli, cambiamenti di questa portata senza la guida di un buon “stratega”, che segua un piano di sviluppo chiaro e ben strutturato, a breve e a lungo termine.
È forse la mancanza di leadership e di personale dirigente nella scuola che ha portato, nel corso degli ultimi anni, a questa situazione? Credo di si. Dirigenti scolastici in reggenza su più scuole pro-tempore con problemi organizzativi, logistici, con una scarsa conoscenza delle situazioni difficili ed annose in cui versava quell’istituto in cui si ritrovavano, avrebbero dovuto occuparsi anche della “digitalizzazione”? Qualcuno lo ha fatto, qualcun altro meno. Non c’è da stupirsi dei risultati modesti, caso mai destano meraviglia i risultati positivi. A Pisa due scuole sono state insignite della certificazione “Digital Schools of Pisa” – il Liceo Statale “Giosuè Carducci” e l’I.I.S. “Da Vinci-Fascetti” e una in provincia – I.T.C.G.Fermi di Pontedera – che si basa sugli alti standard delle “Digital Schools of Distinctions” irlandesi e sulla roadmap europea delle “Digital Schools of Europe”. Qualcuno, dunque, ci ha creduto ma troppo pochi per fare la differenza.
Ciononostante gli studenti e le studentesse hanno reagito positivamente alla didattica a distanza. Lo conferma anche un sondaggio effettuato su 15.000 studenti della scuola primaria e secondaria dal Sole-24 ore. Gli intervistati, nonostante le difficoltà tecniche e relazionali poste dalla didattica a distanza, hanno apprezzato la buona volontà dei loro docenti tanto da promuoverli con ottimi voti (9/10). La figura del docente è stata rivalutata e valorizzata perché gli studenti ne hanno riconosciuto l’impegno.
La sfida ora è ricreare virtualmente la Zona di Sviluppo Prossimale2. Per farlo è necessario creare nuove modalità di interazione e coinvolgimento. Non si può pensare di trasferire la lezione frontale in classe in una lezione online. Se la letteratura sulle modalità di insegnamento e apprendimento efficaci hanno dimostrato che occorre un metodo misto, in cui convivono e si intrecciano lezione frontale, didattica laboratoriale, didattica collaborativa, debate, ecc., la domanda è: come ricreare questa situazione online? Quali strumenti usare? Come valutare le competenze raggiunte dagli studenti? Sarà sufficiente la valutazione numerica o, forse, la valutazione autentica può meglio rispondere a questo nuovo scenario? Tante domande a cui ora (e, si spera, anche dopo il Coronavirus) docenti e scuole sono chiamate a fornire una risposta efficace.
Concludo con un’ulteriore riflessione. Mi chiedo fino a che punto i docenti, data l’eccezionalità e la drammaticità della situazione mondiale, stiano applicando quella qualità essenziale, a mio modesto parere, di ogni educatore: l’empatia. Essere empatici significa essere in grado di assumere la prospettiva degli altri e, dunque, essere tolleranti, comprensivi, “accoglienti”, rinunciando a portare avanti la programmazione annuale a tutti i costi. Dovremmo saperlo tutti, oramai: “il programma”, in senso stretto e rigido, non esiste più. Eppure, non so se questo aspetto sia così scontato, soprattutto nella scuola non dell’obbligo. Food for thought, si dice in inglese. Riflettiamoci, care/i colleghe/i. Alla prossima video-chiamata!
Cristina Morelli è docente di lingua inglese e Animatore Digitale
Note
1 Il Tirreno, 18 aprile 2020.
2 “Zona di Sviluppo Prossimale” è una nozione psico-pedagogica introdotta per la prima volta da Lev Vygotskij. Serve a definire l’ambito delle attività di apprendimento che il discente è in grado di svolgere da solo e i potenziali di apprendimento attivabili nel momento in cui, invece, è sostenuto da un adulto competente (ndr)