martedì, Dicembre 3, 2024
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Il teatro e l’educazione alla pace nelle scuole

di Cecilia Moreschi

Ho avuto la fortuna di iniziare a lavorare con il Teatro Ragazzi nel 1996. Da allora non ho più smesso. Insieme alla logoteatroterapia, che opera sulle fragilità linguistiche e comunicative, il Teatro Ragazzi è la mia vita. In tutti questi anni ho conosciuto e lavorato con migliaia di bambini, bambine e adolescenti. Ciascuno di loro mi ha donato una parte di sé, ciascuno ha fatto un’esperienza preziosissima grazie al teatro. Le poche righe che seguono sono state scritte con il desiderio che in sempre più scuole (se non in tutte, perché no?) gli allievi e le allieve possano accedere a quest’incredibile esperienza utile a renderli uomini e donne più maturi, centrati, responsabili.

 

Dal teatro alla teatroterapia

Il teatro è l’arte del qui e ora, in cui si sperimenta al massimo il vivere l’attimo presente. È altresì la disciplina artistica che più di ogni altra mostra, esprime, elabora, sublima l’esistenza. Non esiste evento teatrale senza almeno un attore e uno spettatore, ovvero senza la presenza fisica, reale, di almeno due persone nello stesso posto, nello stesso momento.

Fin dal V secolo a.C. il teatro ha attinto a piene mani dal vissuto più profondo dell’essere umano, portando in scena vicende e personaggi in cui ciascuno può rispecchiare e catalizzare le emozioni, i conflitti, le dinamiche irrisolte, i sogni, le speranze, persino le follie.

Tutti i più grandi autori della storia del teatro hanno utilizzato le tavole del palcoscenico per rivelare al singolo e alla società che cosa si nasconde dietro le apparenze. Ecco anche perché le opere teatrali riuscite travalicano il tempo e lo spazio. Sono in grado di parlare ancora oggi al cuore e alla mente dello spettatore, operando sempre un cambiamento in chi assiste allo spettacolo. E hanno il coraggio di svelare le ipocrisie, di mostrare le dinamiche disfunzionali, di portare alla luce tutto ciò che alberga – rimosso, non espresso – nell’animo umano.

Durante il secolo scorso l’arte scenica è uscita dal suo luogo canonico e ha cominciato a essere utilizzata anche come mezzo e non solo come fine. Grandi autori quali Jacob Levi Moreno, Peter Slade, Sue Jennings, Jonathan Fox, Augusto Boal (giusto per citarne alcuni) hanno iniziato a servirsi del teatro in ambienti non convenzionali, utilizzandolo come terapia per la malattia mentale, il disagio sociale, la disabilità. Sono quindi nate le eccezionali esperienze dello Psicodramma, della Drammaterapia, del Playback Theatre, del Teatro dell’Oppresso. Un medico americano, Patch Adams, ha scoperto che l’arte del clown e la quasi inevitabile risata che questa fa scaturire, è in grado di attivare e stimolare il guaritore interno ovvero il sistema immunitario, in qualsivoglia paziente all’interno dell’ospedale (luogo che di certo non fa pensare al divertimento), gettando le basi per la comicoterapia e la figura del clown-dottore con tanto di naso rosso, stetoscopio e camice bianco.

Ma l’immensa potenza del teatro non si ferma qui. In tutto il mondo, accanto alle scuole di formazione o alle accademie per l’attore o il regista professionisti, vi sono validissime esperienze che permettono a chiunque di fare teatro, anche solo per un pomeriggio, qualche mese o alcuni anni della vita di chi vi partecipa. L’arte scenica è talmente permeata di elementi esistenziali da essere estremamente duttile e adattarsi a qualsivoglia contesto. Ecco pertanto che il laboratorio teatrale – momento di creazione artistica inteso come lavoro artigianale, fatto di azioni e sperimentazioni cui tutti concorrono – si fa in carcere, a scuola, nelle associazioni, nei centri ricreativi, nelle palestre, nelle case di cura per anziani, persino nei parchi o nelle piazze. Per partecipare a un laboratorio teatrale non occorre nulla che la natura non ci abbia già fornito in partenza: il corpo, la voce e il desiderio di “mettersi in gioco”. Non è necessario essere belli, alti, magri, con voce intonata o talento per il disegno. Non è necessario un fisico armonioso né la leggerezza utile a danzare, non serve la disposizione al disegno o alla pittura, non è affatto fondamentale l’orecchio musicale e la motricità fine atta a suonare uno strumento. Per fare teatro è sufficiente essere, esserci. Tutto il resto lo farà il/la regista, il gruppo dei pari, l’arte scenica stessa.

Che siano bambini e bambine, adolescenti, giovani o no, chiunque partecipi a un laboratorio o a un corso teatrale gode dello stesso piccolo miracolo: all’uscita della lezione sorridono, chiacchierano come vecchi amici. Si respira un clima di leggerezza, affiatamento, cordialità. E anche persone diversissime fra loro (per età, estrazione sociale, orientamento politico, esperienze lavorative, ambiente familiare e socio-culturale) per il solo fatto di aver trascorso un paio d’ore nella stessa stanza a condividere la medesima esperienza, hanno ormai acquisito un terreno comune, un momento tanto profondo quanto autentico, che fa da imprescindibile collante fra tutti anche a distanza di tempo.

 

Il teatro a scuola e l’educazione alla pace

Ormai sono davvero numerosi gli istituti scolastici di ogni ordine e grado che hanno inserito il laboratorio teatrale nella propria offerta formativa. All’interno di esso, ciascuno sperimenta il mettersi in gioco, l’essere altro da sé, l’esporsi davanti a tutti nello spettacolo finale, e molto altro ancora.

Se utilizzata come strumento di crescita e di educazione alla pace per l’età evolutiva, l’arte scenica permette all’insegnante, al/alla regista, all’animatore/animatrice teatrale, di far fare una splendida esperienza ai bambini o ai ragazzi con i quali lavorerà. Un’esperienza di vita vera, piena, entusiasmante, rispettosa di se stessi, degli altri e dell’ambiente. Un’esperienza della vita come dovrebbe essere. Un’esperienza di pace e dei modi per costruirla, mantenerla, ripararla.

All’interno del laboratorio teatrale a scuola vengono svolti numerosi giochi ed esercizi per allenare il corpo e la mente degli allievi allo stare in scena. Spesso si inizia con giochi veri e propri, a squadre o meno, dove si allena fra le altre cose la capacità di saper vincere e saper perdere, e la tolleranza alle frustrazioni.

Le attività interessano varie aree. Solitamente si inizia da esercizi per aumentare la consapevolezza del proprio corpo, attivando la propriocezione e quindi l’abitare armoniosamente dentro se stessi. Tutte le proposte che riguardano l’esplorazione e la gestione dello spazio, hanno come focus il trovare il proprio spazio senza invadere quello altrui. Gli esercizi che si fanno a coppia, come lo specchio e le sue infinite variazioni, esercitano il contatto oculare, il vedere l’altro, l’aspettare i suoi tempi, l’accordarsi a lui/lei. Numerosi giochi hanno a che fare con la costruzione della fiducia: non solo stimolano il fidarsi dell’amico/a attore/attrice e del gruppo, ma implementano il prendersi cura delicatamente ma fermamente gli uni degli altri.

L’interpretazione di personaggi diversi permette l’empatia e lo sperimentare altri punti di vista, validi quanto il nostro. L’autenticità richiesta all’attore/attrice quando recita, allena alla verità, al rifuggire la falsità. L’interpretazione di personaggi prevaricatori, aggressivi, mediocri, manipolatori, permette a ciascuno di esprimere le proprie pulsioni più negative, in un contesto protetto dove tutto accade per finta e non ci sono conseguenze sulla vita reale. L’essere altro da sé aiuta a liberarci delle maschere sociali imposte dalla professione, dal ruolo o dalla condizione in cui viviamo tutti i giorni, maschere  (figlio, studente, amico) che a volte possono risultare un po’ strette, specialmente per le valutazioni che le possono accompagnare (bravo, disordinato, chiacchierone, svogliato, disinteressato…). Inoltre, in scena si conoscono e si sperimentano quasi tutte le emozioni che albergano nel nostro animo, con le relative sfumature. Si possono rivivere, reinterpretandoli, episodi della nostra vita in cui non siamo stati in grado di dire o fare ciò che avremmo voluto o dovuto.

Il teatro allena inoltre al qui e ora, al vivere pienamente l’attimo presente: agli attori è sempre richiesta una totale attenzione e partecipazione a quel che si sta facendo, anche se si tratta di assistere alla scena di un altro. Il corpo impara nuovamente a respirare nella maniera corretta, a rilassarsi, a usare la giusta quantità di energia senza eccedere per poi stancarsi. La voce fuoriesce naturalmente senza forzature o chiusure. Ciascuno sperimenta la propria bellezza espressiva e le infinite capacità comunicative non verbali del proprio corpo: basta il movimento di una mano, uno sguardo, le spalle che si curvano, un angolo della bocca che si solleva, ed ecco che inizia un nuovo messaggio, una nuova storia da raccontare.

Recenti studi compiuti da eminenti neurologi descrivono la neuroplasticità del cervello e insistono sul fatto che, a qualsiasi età e in qualsiasi condizione, il cervello sia in grado di modificarsi a seconda delle esperienze vissute, sia positive che negative. Pertanto, l’esperienza teatrale, che coinvolge inevitabilmente corpo, mente, emozioni, può davvero incidere sui comportamenti funzionali futuri delle nuove generazioni.

 

Si va in scena

Ogni laboratorio teatrale che si rispetti termina con uno spettacolo finale, nel quale gli attori hanno la possibilità di esibirsi davanti al pubblico. Il percorso verso l’esibizione conclusiva e la stessa performance finale sono l’occasione per altre, importanti esperienze.

Innanzitutto il gruppo si trova a lavorare insieme per un obiettivo comune: tutti hanno il medesimo scopo e si impegnano per quello. Si attiva una grande collaborazione nella ricerca e successivo prestito di vestiti, accessori e oggetti per la scena.

L’assegnazione dei personaggi da parte del/della regista è un momento delicato: occorrerà fare in modo che ciascuno/a accetti la propria parte senza rimanere male perché desiderava quella dell’amico/a. Io di solito utilizzo questa formula, soprattutto all’interno della scuola primaria: ogni alunno/a ha la possibilità di dirmi quale personaggio della vicenda che abbiamo scelto proprio non gli/le piace, e io rispetterò il suo desiderio di non interpretare suddetto personaggio, ma fra tutti gli altri potrò assegnare quello che ritengo adatto. Gli allievi hanno così la possibilità di esprimere almeno in parte i propri desideri. Inoltre, cosa ancor più importante, il numero delle battute assegnate a ciascuno/a dev’essere pressoché lo stesso. All’interno della scuola, infatti, hanno tutti gli stessi diritti di stare in scena e mostrare i propri talenti. Non è assolutamente tollerabile che un’attrice abbia trenta battute e un’altra solo sei o sette. Proprio per questo motivo, mi ritrovo spesso a scrivere il testo drammaturgico insieme agli attori, per “cucire” loro addosso la parte che si troveranno a interpretare. Nell’età evolutiva, infatti, è il testo che si deve accordare all’attore/attrice e mai il contrario.

Nei miei 25 anni di lavoro con il teatro ragazzi, ho vissuto centinaia di bellissime esperienze. Ma forse la più significativa è stata quella del 2005.

In quell’anno, con quattro classi quinte della scuola primaria dove stavamo lavorando, io e la mia collega A. Sartori decidemmo di scrivere insieme ai ragazzi un copione sulla pace, dal titolo Se ci fosse stata la pace. La storia si basava su un semplice assunto: non esistono scelte obbligate, e se i grandi della storia avessero compiuto scelte diverse, tante guerre, soprusi, prepotenze, schiavitù, potevano essere evitate.

Allo spettacolo avevamo invitato anche l’allora sindaco di Roma, Veltroni, e si può ben immaginare l’eccitazione di tutte e tutti quando arrivò la comunicazione che il primo cittadino sarebbe venuto a vedere lo spettacolo.

Gli attori erano 85, tutti nella stessa palestra con me a dirigerli e provare lo spettacolo, dopo aver finito di redigere le ultime scene. Uno dei giorni delle prove, un trio di maschi vivacissimi non la smetteva di chiacchierare e infastidire le compagne sedute accanto. Perdo la pazienza, sto per allontanarli bruscamente quando (per fortuna!) riesco a fermarmi. Faccio un bel respiro e abbasso il tono di voce, dicendo loro che l’argomento dello spettacolo che stavamo per recitare davanti alle famiglie, e addirittura al sindaco, riguardava il fare scelte diverse. Quindi, io per prima avrei fatto una scelta diversa: invece di mandarli fuori, avrei chiesto loro di fare ancora uno sforzo di attenzione e cercare di non disturbare gli amici che stavano provando. I tre ragazzi, dal canto loro, potevano fare una scelta diversa rimandando le chiacchiere al momento di uscire da scuola. Le compagne potevano fare una scelta diversa smettendo di offendersi e riprenderli, e così via. Tutti noi, in ogni momento della nostra vita, facciamo scelte, consapevoli o meno, e pertanto possiamo intervenire su di esse, modificando il nostro comportamento per il nostro bene e quello degli altri.

Inutile dire che lo spettacolo andò benissimo. I nostri 85 ragazzi furono eccezionali, il sindaco salì sul palco per dire qualche parola (affermò che aveva assistito non a uno spettacolo teatrale bensì a un “kolossal”) e si complimentò con ciascuno di loro.

Da quell’anno ho sempre scelto tematiche che parlassero di pace (“La torta in cielo”), di ecologia (“L’uomo che piantava gli alberi”), di amicizia (“Il mago di Oz”), di rispetto delle diversità (“Fra la terra e l’acqua”), di perdere tempo (“Momo”, “L’isola del tempo perso”), dei diritti dei bambini (“Il giornalino di Gian Burrasca”, “Il giardino segreto”), trasformando i classici della letteratura per ragazzi in altrettanti copioni teatrali. Alcuni di essi sono stati poi pubblicati da WriteUp Books nel volume Teatro a scuola.

Ogni storia ha fornito alla classe la possibilità di riflettere, di dialogare, di approfondire vari argomenti, di costruire collegamenti con la propria vita o l’attualità. Con la fase laboratoriale prima e lo spettacolo poi, il teatro può davvero essere un percorso meraviglioso di crescita e di educazione alla pace e al rispetto. Tutti, ma proprio tutti lo dovrebbero fare.

 

 

Bibliografia essenziale

Conte T., Luzzati E., Facciamo insieme teatro, Laterza, Bari, 2001.

Damasio A., L’errore di Cartesio Adelphi, Milano, 1995.

Moreschi C., Teatro a scuola, WriteUp Books, Roma, 2019.

Rizzolatti G., Sinigaglia C., So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Raffaello Cortina, Milano, 2006.

Rodari G., Grammatica della fantasia, Einaudi, Milano, 2013.

Savoia M., Scaramuzzino G., Tutti giù dal palco, Salani, Firenze, 1998.

Siegel D. J., Payne Bryson T., Dodici strategie rivoluzionarie per favorire lo sviluppo mentale del bambino, Raffaello Cortina, Milano, 2012.

 

 

Cecilia Moreschi è docente di Discipline dello Spettacolo nel corso di laurea in logopedia, presso l’Università di Roma “Sapienza”; è esperta di teatro ragazzi, è teatroterapista presso il Centro di Audiofonologopedia e ideatrice della Logoteatroterapia.