venerdì, Ottobre 18, 2024
AmbienteEconomia

A un anno dalle alluvioni in Emilia-Romagna: solo cambiamenti climatici?

di Andrea Vento

Nelle prime settimane del mese di maggio 2023 la Romagna e la provincia di Bologna, a seguito della prolungata permanenza di una vasta zona di bassa pressione definita in gergo meteorologico “palude barica”, sono state interessate da precipitazioni eccezionalmente copiose. Queste, insieme a fattori di altra natura, sono state fondamentali concause della rottura degli argini di numerosi fiumi che, nell’arco di quindici giorni, hanno allagato per ben due volte ampie porzioni della parte sud orientale della regione. Se a inizio mese erano esondati tre fiumi, Lamone, Senio e Sillaro, riversando 120 milioni di m3 di acqua nella pianura circostante, il 16 maggio la Protezione Civile emiliana rendeva noto che altri 18 corsi d’acqua avevano rotto gli argini, provocando il deflusso di una quantità tale di acqua da provocare allagamenti in ben 37 comuni (Carta 1).

Carta 1: Immagine satellitare che rappresenta in azzurro le zone alluvionate

La maggior parte delle zone inondate hanno in prevalenza assunto forma allungata e andamento parallelo, in quanto provenienti dagli alvei dei fiumi che nascono dall’Appennino, per digradare successivamente con percorsi “a pettine” verso la fascia costiera e sfociare nel Mar Adriatico.

L’entità delle precipitazioni

I bollettini meteo riferiscono che in Emilia-Romagna, fra il 1. e il 17 maggio 2023, sono caduti mediamente dai 300 ai 400 mm di pioggia, con picchi di 400-500 mm nel bolognese e in Romagna (Carta 2). Una quantità eccezionale corrispondente a circa la metà delle precipitazioni medie annue, che nella pianura emiliano-romagnola si attestano intorno ai 900 mm.

Carta 2: Carta pluviometrica dell’Emilia-Romagna con le precipitazioni cumulate registrate fra il 1 e il 17 maggio 2023, con indicati i valori puntuali e i confini dei territori comunali (Fonte: Arpae Emilia Romagna).

In particolare, nei giorni fra il 15 e il 17, le precipitazioni hanno raggiunto punte intorno ai 300 mm sull’Appennino e sulla collina forlivese, 150-200 mm in montagna e nell’area collinare delle province di Bologna e Ravenna e 150 mm sulla pianura fra Cesena e Forlì (carta 3). Secondo Mauro Rossi, ricercatore dell’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del Consiglio nazionale delle ricerche di Perugia (Cnr-Irpi): “Nelle aree più colpite in sole 24 ore sono cadute circa 1/5 delle precipitazioni medie annuali”. Fenomeni meteorologici sicuramente eccezionali, ma non del tutto inediti, che secondo i meteorologi si verificano una o due volte ogni 100 anni.

Carta 3: Carta pluviometrica dell’Emilia-Romagna con le precipitazioni cumulate registrate fra il 15 e il 17 maggio. In viola i 3 nuclei >200mm sui rilievi alle spalle di Forlì e Faenza (Fonte: Arpae Emilia-Romagna)

Le cause dei disastri ambientali causati dalle alluvioni sono state inizialmente ricondotte all’intensificazione dei cambiamenti climatici innescati dal riscaldamento globale di origine antropica, ormai avvicinatosi su scala globale alla soglia del 1,5° rispetto all’era pre-industriale, che è l’obiettivo più ambizioso di contenimento delle temperature fissato alla Cop25 di Parigi nel 2015.

Secondo il rapporto dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) – pubblicato il 17 maggio 2023 – esistono il 66% di possibilità che nel prossimo quinquennio la temperatura media terrestre superi per almeno un anno di 1,5 gradi la media dell’era preindustriale. Pochi dubbi (solo il 2%) sussistono sul fatto che i prossimi 5 anni saranno i più caldi di sempre con temperature medie annue comprese fra +1,2° e +1,8°. Un balzo in avanti estremamente preoccupante, visto che la media dell’anno più caldo, il 2016, si è attestata a +1,28°, peraltro abbondantemente superata nel 2023, secondo l’Organizzazione Meteorologica Mondiale.

A proposito di quanto avvenuto nel maggio 2023, il fisico meteorologo Carlo Cacciamani aveva confermato che “l’eccezionalità dei fenomeni, l’anomalia delle temperature sono tutti segnali di quanto sia cambiato il clima. Nella prima metà di maggio abbiamo visto il massimo della pioggia accumulata in pochi giorni negli ultimi 40 anni. Dal 1. maggio sono caduti in questa regione più di 400 millimetri di pioggia, circa la metà di quanto piove nelle aree pianeggianti dell’Emilia-Romagna in un anno. Come ampiezza potrebbe essere il primo evento nella storia di questa regione. Ripeto che la particolarità è stato l’uno-due, ovvero due fenomeni molto intensi a distanza di pochi giorni e non di mesi”. Cacciamani concludeva affermando che “l’emergenza climatica ci insegna che fenomeni intensi come questo possono aumentare rispetto a 50 anni fa”.

Anche il meteorologo Pierluigi Randi, presidente dell’Associazione meteo professionisti (AMPRO), all’indomani delle alluvioni, aveva evidenziato l’aggravamento in corso dei cambiamenti climatici: “Se andiamo indietro nel tempo negli ultimi due anni abbiamo avuto tre eventi estremi di segno opposto: due anni di siccità grave e poi in quindici giorni due eventi di pioggia estrema. Questo è un segnale chiaro della crisi del clima: un singolo episodio non è attribuibile al surriscaldamento, ma eventi estremi in sequenza, di un segno o dell’altro, sì. Tre indizi fanno una prova. Non è normale avere due eventi a distanza così breve: di solito hanno tempi di ritorno secolari, mai successo che si verifichino così vicini, in appena due settimane”.

Le politiche di gestione del territorio

Ampliando, tuttavia, la sfera di analisi alle politiche di pianificazione territoriale, agli interventi di manutenzione dei fiumi e alla prevenzione del dissesto idrogeologico, emerge come i cambiamenti climatici, seppur tra le cause scatenanti, non risultino unici responsabili dei disastri ambientali che a inizio maggio 2023 hanno provocato la morte di 17 persone e lo sfollamento di ben 36.000 abitanti dalle loro residenze, oltre a ingentissimi danni alle infrastrutture, alle coltivazioni, alle aziende e alle abitazioni, stimati a metà giugno 2023 dalla Regione Emilia-Romagna in 8,9 miliardi di euro.

Una conferma in tal senso arriva dalle affermazioni di Francesca Giordano, ricercatrice dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra): “Dare la colpa solo al cambiamento climatico è un modo per non volerci prendere la responsabilità di quanto sta accadendo. Le alluvioni e le frane (oltre 280) derivano da una combinazione di eventi, nel cui ambito i cambiamenti climatici amplificano le conseguenze dei dissesti di un territorio molto fragile. Errori legati a una gestione non attenta del territorio stesso, a partire dalla insufficiente manutenzione dei corsi d’acqua fino all’eccessivo consumo di suolo”.

Dal rapporto dell’Ispra “Condizioni di pericolosità da alluvione in Italia” apprendiamo che l’Emilia-Romagna risulta di gran lunga la regione con le maggiori percentuali sia di territorio potenzialmente allagabile che di popolazione esposta al rischio alluvione. Sulla base di 3 livelli di pericolosità, in Emilia-Romagna le zone a rischio medio (P2 – MPH) di allagamento ricoprono il 45,6% della superficie regionale (grafico 1), dove risiede oltre il 60% di popolazione, con Ravenna e Ferrara che risultano le province con le più elevate porzioni di territorio inondabile; sommando le aree comprese nei tre livelli di probabilità si arriva rispettivamente a 100% e 80% di popolazione a rischio in queste province.

Grafico 1: Percentuale di territorio delle regioni italiane (istogramma) e relative medie nazionali (diagramma lineare tratteggiato) interessato dai 3 livelli di probabilità di alluvione: alta (P1 – HPH), media (P2 – MPH) e bassa (P3 – LPH). (Fonte: Ispra)

Manutenzione del territorio e prevenzione del dissesto idrogeologico

Nella relazione sulla gestione del rischio idraulico e di quello di alluvione del luglio 2022, la Corte dei Conti rendeva noto che lo Stato italiano investe in modo insufficiente nella prevenzione del dissesto idrogeologico: nel ventennio 1999-2019, di fronte a un sensibile aumento dei fenomeni meteorologici estremi, sono stati stanziati solamente 7 miliardi di euro per 6.000 progetti, a fronte di una richiesta di 26 miliardi. Una cifra irrisoria per un paese dal territorio geologicamente giovane e non assestato nel quale, a fine 2021, il 94% degli 8.000 comuni italiani, secondo l’Ispra, risultava a rischio dissesto idrogeologico ed erosione costiera, con un incremento annuale del 4% e addirittura del 19% rispetto al 2017.

Per quanto riguarda il solo rischio alluvione in Italia, più pertinente alla nostra ricerca, sempre l’Ispra afferma che nel 2020 in 426 comuni oltre il 90% della popolazione residente risulta esposta a tali fenomeni e in 260 addirittura il 100% dei residenti, in pratica 12,2 milioni di persone, corrispondenti al 20,6% della popolazione italiana. Non casualmente le aree a rischio più elevato risultano l’intera pianura emiliano-romagnola e quella veneta lungo l’area deltizia del Po, oltre a zone della Toscana e della Calabria.

In tale situazione di particolare fragilità del territorio, combinata a carenza strutturale di finanziamenti, erano stati stanziati dal Pnrr sotto la voce “Misure per la gestione del rischio alluvione e la riduzione del rischio idrogeologico” 2,49 miliardi di euro, pari al solo 1,3% del totale dei fondi previsti dal Piano per il nostro Paese, allo scopo di rafforzare le misure di prevenzione attraverso un programma di azioni strutturali e non. Le risorse stanziate, destinate a progetti per ridurre il rischio di alluvioni, frane e messa in sicurezza i territori con interventi di riqualificazione, monitoraggio e prevenzione, risultano suddivise fra due capitoli di spesa.

La linea A, di competenza del ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica, dedicata alla “Messa in sicurezza, al monitoraggio e alla prevenzione” prevedeva interventi nelle aree a maggior rischio con l’obiettivo finale di esentare da rischi 1,5 milioni di persone, per i quali erano stati stanziati – ma al momento dell’alluvione non ancora assegnati – 1,29 miliardi di euro, in quanto il processo di selezione dei progetti avrebbe dovuto concludersi solo a fine 2023. Mentre la linea B, di competenza della Protezione civile, è dedicata al ripristino delle infrastrutture già danneggiate da precedenti eventi calamitosi, nel cui ambito, degli 1,2 miliardi stanziati dal Piano (pari al 48,2% del totale), 1,15 miliardi erano già stati assegnati ai 1.725 progetti selezionati. La parte del leone è stata di appannaggio della Lombardia con 136,9 milioni di euro per 320 progetti, seguita proprio dall’Emilia-Romagna con 98 milioni per 222 progetti, a testimonianza delle numerose devastazioni già subite e del grado di pericolosità in cui versava da tempo il suo territorio regionale. Seguono la Sicilia con 97 milioni per 48 progetti, il Veneto con 84,4 milioni per 26 progetti e la Toscana con 84,3 milioni per 37 progetti. Il ridotto numero di interventi di queste ultime regioni, compresi fra il 15 e 20% dei progetti previsti per l’Emilia-Romagna, a sostanziale parità di finanziamenti totali, conferma lo stato di deterioramento diffuso del territorio della regione al centro di questo studio. Il consumo di suolo.

Nel rapporto annuale “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici” realizzato dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (Snpa) il 26 luglio 2022, l’ultimo prima delle alluvioni, veniva messo in evidenza come il consumo di suolo in Italia nel 2021 avesse raggiunto il valore più elevato dell’ultimo decennio, con una media di 19 ha al giorno, pari a 70 km2 annui totali. La superficie cementificata ricopriva all’epoca del rapporto ormai 21.485 km2 di suolo nazionale, poco meno dell’estensione della stessa Emilia-Romagna, dei quali 5.400, un territorio pari a quello della Liguria, occupato solamente da edifici.

In una situazione di consumo accelerato a livello nazionale, che ha fatto salire la cementificazione nel 2021 al 7,13% della superficie italiana, la Regione Emilia-Romagna arrivava all’8,9%, pari a 2.003 km2, posizionandosi al quarto posto dopo Lombardia (12,12%), Veneto (11,90%) e Campania (10,49%) (Tabella 1).

Tabella 1: consumo di suolo in Italia e nelle regioni nel 2021 (Fonte: Ispra).

Una tendenza in atto da decenni che veniva confermata anche nel 2021, quando con un consumo di suolo annuo di 658 ha, pari al 10,5% dell’incremento nazionale (6.331 ha), l’Emilia-Romagna è risultata la terza regione per nuove aree cementificate dopo Lombardia (883 ha) e Veneto (684 ha). La situazione a livello delle singole province metteva tristemente in evidenza anche Ravenna, la più colpita dalle alluvioni, che risultava la terza dopo Reggio Emilia e Modena (Carta 4) per consumo di suolo con 114 ha sottratti, pari al 17,3% del totale dell’incremento regionale (Tabella 2). Ravenna, inoltre, nel 2021 ha conquistato il triste primato a livello regionale per maggior consumo di suolo annuo in rapporto alla superficie, con un valore di 6,13 metri quadrati per ettaro, al cospetto di una media regionale di meno della metà, pari a 2,92 m2/ha (Tabella 2, ultima colonna a destra).

Carta 4: densità di suolo consumato in m2/ha nelle province italiane fra il 2020 e 2021 (Fonte: Ispra/Snpa).

Tabella 2: consumo di suolo in Emilia Romagna e nelle sue province nel 2021 (Fonte: Ispra).

Dall’analisi dei dati emerge, dunque, un allarmante fenomeno di lungo corso, in base al quale il territorio nazionale subisce annualmente un progressivo processo di cementificazione (ben 77 km2 +10% anche nel 2022 secondo i dati del Snpa) che sottrae irrimediabilmente decine di chilometri quadrati di terreni naturali, finendo per sottrarre prezioso spazio alle aree di espansione dei fiumi, sempre più costretti in alvei angusti a causa dell’espansione di infrastrutture di trasporto, aree urbanizzate e strutture della logistica. Non è casuale che l’Emilia-Romagna detenga il triste primato della maggior superficie edificata nelle aree alluvionali: nel 2021 sono stati infatti cementificati 78,6 ha nelle zone ad alta pericolosità idraulica e 501,9 ha a media, corrispondenti a oltre la metà di consumo di suolo nazionale con quel livello di pericolosità (carta 5 e carta 8 a sx); è stato incredibilmente consumato suolo anche nelle aree protette (2,1 ha) e in quelle a rischio di frana (11,8 ha).

Carta 5: localizzazione del suolo consumato in Emilia Romagna nel 2021 (Fonte: Arpae Emilia-Romagna)

La “Disciplina regionale sulla tutela e l’uso del territorio”

Il compromesso quadro ambientale appena descritto, relativo al territorio regionale dell’Emilia-Romagna, risulta principalmente riconducibile sia all’incessante processo di realizzazione di nuove infrastrutture della logistica e dei trasporti, che alla sostanziale inefficacia delle normative in vigore finalizzate al contenimento del consumo di suolo, in primis l’attuale legge urbanistica regionale sulla tutela e l’uso del territorio, la n. 24 del 2017.

Dalla ricerca “L’inarrestabile avanzata del cemento”, realizzata da Legambiente nell’agosto del 2022, che rielabora i dati dell’ISPRA, emerge come l’incapacità del provvedimento legislativo regionale di contenere il consumo di suolo sia causata, da un lato, dalle proroghe temporali alla sua effettiva applicazione e, dall’altro, dalle varie deroghe ai limiti di consumo di suolo stabiliti. Infatti, a fine 2021, la soglia del consumo di suolo del 3% rispetto a quello già utilizzato nel 2017, previsto della legge 24/2017, risultava già oltrepassata da ben 21 comuni a seguito della proroga (al 1 gennaio 2022) dell’approvazione da parte dei comuni dei Piani Urbanistici Generali (Pug) e delle deroghe per la realizzazione di “opere pubbliche o di interesse pubblico”, previste dall’articolo 53 della legge in questione, la quale non definendo esplicitamente il concetto di “interesse pubblico” funge da “cavallo di Troia” per far rientrare sotto tale denominazione persino gli hub privati della logistica.

Alla luce di ciò, non risulta probabilmente casuale che nel quindicennio 2006-2015 in Emilia-Romagna sia stato destinato quasi 400 ha di suolo naturale alla logistica, il doppio della media nazionale, guadagnandosi il poco invidiabile primato tra tutte le regioni italiane. Al termine del rapporto Legambiente arriva alla perentoria conclusione che “questa è la prova ulteriore di come la legge 24/2017, così come è stata progettata, non ha posto un freno al consumo di suolo”, cristallizzandone la sostanziale inefficacia.

Il dossier “Consumo di suolo 2023” in Emilia-Romagna pubblicato da Legambiente il 14 giugno del 2023 analizza, a cinque anni dalla sua entrata in vigore, gli effetti della legge urbanistica regionale (LR 24/2017) alla luce dell’approvazione dei Piani Urbanistici Generali (Pug), l’unico strumento normativo di cui le amministrazioni comunali sono chiamate a dotarsi per la gestione sistemica del territorio e il contenimento della cementificazione. Dai dati pubblicati rileviamo come, nonostante l’approvazione dei Pug sia stata prorogata al 1 gennaio 2022 e l’entrata in vigore al 1 gennaio 2024, il processo di adeguamento degli strumenti di pianificazione territoriale risulti ancora molto arretrato.

A marzo del 2023, infatti, dei 330 comuni della Regione Emilia-Romagna solo 13 avevano approvato i Pug, mentre ben 177 risultavano ancora in “fase di studio preliminare”, dedotta almeno dall’acquisizione della cartografia necessaria alla stesura dei Piani stessi, con addirittura 57 comuni che non avevano ancora provveduto a richiederla, non avendo in sostanza nemmeno avviato il Piano. I restanti 83 comuni invece si suddividevano fra le varie fasi dell’iter che portano all’approvazione (Tabella 3). Rimarcando anche le numerose, e già citate, deroghe alla soglia di incremento del 3% rispetto al 2018, Legambiente conclude l’ampio dossier che analizza anche varie criticità locali affermando che “la situazione che abbiamo fotografato con il nostro studio dimostra che gli obiettivi assunti dalla Regione Emilia-Romagna con l’approvazione della legge urbanistica del 2017 non sono stati ancora raggiunti e che, al contrario, il fenomeno del consumo di suolo continua ad affliggere la nostra regione”.

Tabella 3: Comuni dell’Emilia Romagna rispetto alla fase attuativa dei Pug a marzo 2023 (Fonte: Legambiente)

“Stiamo dimostrando coi fatti, già dopo un solo anno, che crescita e sviluppo possono camminare insieme a rispetto e salvaguardia del territorio”. La dichiarazione del Presidente della Regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, a un anno dall’entrata in vigore della Legge 24/2017, ritenuta già a suo tempo dall’opinione pubblica regionale ottimistica e prematura, al riscontro oggettivo della situazione è risultata anche infondata e fuorviante, accertato che il primo binomio (crescita e sviluppo), se non rigidamente regolamentato nell’ottica dell’interesse pubblico e della tutela dell’ambiente, procede a un passo decisamente più spedito del secondo (rispetto e salvaguardia del territorio), presentando il conto in termini di morti e devastazioni ambientali. A ogni buon conto, a far chiarezza sulle reali finalità della 24/2017 e sull’operazione di marketing orchestrata al fine camuffarle è recentemente intervenuto il nuovo presidente di Legambiente Emilia-Romagna, Davide Ferraresi che, dati alla mano, ha disvelato l’effimera operazione di piccolo cabotaggio mediatico: “Quella della legge che azzera il consumo di suolo è stata una strategia comunicativa, è evidente che la realtà va in tutt’altra direzione”.

Come ci confermano i dati del consumo di suolo relativi ai comuni dell’Emilia-Romagna nell’anno 2021, nel cui contesto risultano fra i più elevati a livello regionale con valori mai mediamente inferiori al 9%, sono superiori in buona parte al 15% e con punte addirittura sopra il 30% (carta 6), soprattutto in riviera e lungo in tratto romagnolo della via Emilia.   

Carta 6: Percentuale totale di suolo consumato nei comuni dell’Emilia Romagna anno 2021

Le opere di intervento sul corso dei fiumi

L’Emilia-Romagna, fra il 2015 e il 2022, ha ricevuto finanziamenti pari a 190 milioni per la realizzazione di 23 casse di espansione fluviale, delle quali, al momento dell’alluvione, solo 12 funzionavano a pieno regime (più altre due in misura parziale), mentre le restanti nove erano ancora in fase di realizzazione. Nello specifico, per quanto riguarda la situazione di due dei fiumi che sono esondati rileviamo che per il Senio, affluente di destra del Reno che scorre quasi interamente nella provincia di Ravenna, avrebbero dovuto funzionare due casse, a beneficio dei comuni di Castel Bolognese, Cotignola, Lugo e Fusignano. Tuttavia, a maggio 2023, di cassa ne era stata realizzata solamente una, peraltro senza essere collegata al fiume (quindi, di fatto, priva di efficacia). Per quanto riguarda il fiume Lamone, che scorre sostanzialmente parallelo al Senio sfociando, però, direttamente in mare a nord di Ravenna, due casse di espansione erano in funzione vicino a Faenza, ma l’amministrazione comunale aveva rilasciato permessi edilizi per costruire a ridosso dell’alveo.

Il rapporto della Commissione tecnica e la certificazione dei danni da parte dell’Ue

L’esaustivo e completo documento pubblicato il 15 dicembre 2023 dalla Commissione tecnica coordinata dal professor Alfredo Brath su incarico della giunta Bonaccini evidenzia come le inondazioni generate dall’esondazione di 23 corsi d’acqua abbiano interessato una superficie di 540 kmq, causando 65.598 (Carta 7) frane e danneggiando 1950 infrastrutture stradali, pari al 3,6% dell’intero reticolo stradale delle 6 province coinvolte.

Carta 7: Densità delle frane (n°/Kmq) avvenute a seguito delle piogge di maggio 2023.

Il rapporto mette inoltre in risalto la stretta relazione fra rischio idraulico e consumo di suolo: l’Emilia-Romagna risulta la regione con la maggiore superficie compresa nelle aree a pericolosità media (aree P2) pari a oltre il 45% del totale (Carta 8 a sinistra), nella quale la percentuale di territorio naturale occupato dalle attività umane risulta la più elevata a livello nazionale, con valori in prevalenza fra il 9-15% ma con aree fra il 15 e il 30% e punte oltre il 30% (Carta 8 a destra e Carta 6).

Carta 8: A sinistra la carta tematica delle aree a pericolosità intermedia (P2). A destra quella della percentuale di suolo consumato nelle aree a pericolosità idraulica nel 2022 (Fonte: Ispra)

Gli eventi calamitosi del maggio 2023, come abbiamo visto riconducibili sia a fattori di natura meteorologico-ambientale, sia a gravi responsabilità umane legate alle politiche di gestione e utilizzo del territorio e dei fiumi, avendo interessato una delle aree economicamente più dinamiche a livello nazionale oltre che ad elevata densità abitativa, hanno arrecato danni a 70.000 persone e 16.000 aziende, la cui stima certificata dall’Unione Europea è stata rivista al ribasso rispetto alla prima della Regione in 8,5 miliardi di euro, ripartiti in 5 miliardi per la parte pubblica e 3,5 per quella privata.

Conclusioni

Il rapporto “Alluvione, un anno dopo” pupplicato dalla regione Emilia-Romagna il 10 maggio 2024 arriva alla conclusione che gli eventi catastrofici dell’anno precedente rappresentano: “Uno spartiacque fra passato e futuro nel settore della difesa idraulica e idrogeologica del territorio”. Infatti, come sostiene Luca Carra, direttore di Scienza in rete: “Non è pensabile costruire e ricostruire come si è fatto finora”. Secondo gli esperti, i cambiamenti climatici e gli eventi sempre più estremi impongono un radicale cambio di paradigma nella pianificazione delle aree urbane e delle campagne: ridurre drasticamente l’edificazione, risparmiare al minimo il consumo di nuovo suolo, lasciare spazio naturale alla divagazione degli alvei fluviali, non costruire argini artificiali a ridosso dei corsi d’acqua (soprattutto quelli pensili) ma arretrare ove possibile quelli naturali, e costruire casse di espansione dei fiumi per offrire spazio alle piene.

In piena di fase di cambiamenti climatici, gli scienziati sostengono che di fronte all’intensificarsi degli eventi estremi è necessario passare rapidamente alla realizzazione di opere di adattamento, in linea con quanto stabilisce il “Piano speciale di interventi contro le situazioni di dissesto idrogeologico”, in attesa di approvazione da parte del parlamento. Una pianificazione integrale realizzata congiuntamente dai più autorevoli centri di ricerca e università nazionali per mettere in sinergia le competenze necessarie per un “nuovo modello di ricostruzione e di gestione del territorio” facendo ricorso alle soluzioni basate sulla natura (nature-based solution).

Un piano sicuramente ambizioso che potrebbe rappresentare un punto di svolta nella politica di pianificazione territoriale e che potrà realizzarsi efficacemente solo sotto un’autorevole e competente regia pubblica, togliendo agli interessi privati le indebite prerogative che sono riusciti a ricavarsi grazie alla connivenza con le amministrazioni locali.

L’alluvione del maggio 2023 ha messo inequivocabilmente in risalto tutte le fragilità e l’insostenibilità ambientale, sociale e pure economica, visti i danni arrecati, del modello di gestione territoriale dell’Emilia-Romagna. Una situazione talmente critica da spingere il presidente regionale Stefano Bonaccini a una dichiarazione che non è passata inosservata nei settori sociali e scientifici più attenti alle problematiche ambientali e fra la popolazione colpita: “Nelle zone alluvionate non si costruirà più. Non si tratta di una scelta da eroi ma di una lezione che abbiamo imparato dalla tragedia di maggio”.

Nell’attesa che la giunta dia seguito concreto alle dichiarazioni del suo presidente, in Emilia-Romagna e non solo, sono in molti a chiedersi come lo stesso Bonaccini intenda recidere, o quantomeno allentare, i rapporti con le lobby, dai costruttori edili alla logistica, dai trasporti alla grande distribuzione, che fino ad oggi hanno avuto buon gioco nel consumo sfrenato di suolo in regione.

Non è sicuramente opera agevole ripensare a un modello di sviluppo che sino a oggi ha fatto leva sull’utilizzo del suolo per l’estrazione di valore dai territori a detrimento dell’ambiente, della popolazione e delle piccole attività economiche e a tutto vantaggio delle grandi imprese.

Andrea Vento è tra i fondatori del Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati (GIGA) e insegna geografia nell’Istituto “A. Pacinotti” di Pisa. E-mail: andreavento2013@gmail.com.