sabato, Novembre 23, 2024
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Colombia in rivolta: la repressione del governo non ferma le proteste

Un’ondata di forti proteste sta attraversando la società colombiana, suscitata dalle riforme di stampo neoliberista annunciate dal governo. Nella ricostruzione di due osservatori sul campo, tradotta e ripubblicata su dinamopress da Revistas Amazonas, le riforme governative vorrebbero far fronte alla drammatica situazione economica e sanitaria del paese, a partire dal sistema fiscale, ma stanno causando un generico aumento dei costi sui prodotti di prima necessità che colpisce le fasce più deboli della popolazione. Sebbene il governo avesse annunciato l’intenzione di rivedere le riforme contestate, da giorni migliaia di colombiani sono scesi in strada per protestare. La repressione della polizia e dell’esercito è stata brutale, con decine di morti e feriti negli scontri, in un clima di forte intimidazione. Immediata la condanna dell’Onu e delle associazioni per i diritti umani per la grave lesione del diritto di manifestare, per altro in nome di una vera riforma della società colombiana, ispirata alla giustizia sociale ed economica.

 

 

di Adriana Villareal García e Natalia Hernandez Fajardo

 

Cinque giorni di sciopero in tutto il paese contro le riforme neoliberiste. Il governo militarizza le città e scatena la repressione contro i manifestanti. Gravissima la situazione a Cali dove è avvenuto un massacro. La polizia spara sui manifestanti, almeno 21 morti, centinaia di feriti e arresti, sistematiche violazioni dei diritti umani. Il Presidente annuncia la revisione della riforma fiscale, ma va avanti su quella sanitaria e pensionistica. E la mobilitazione non si ferma.

Da cinque giorni consecutivi le strade di decine di città colombiane si sono trasformate nello scenario delle proteste del Paro Nacional contro il pacchetto di proposte di legge neoliberiste; la riforma fiscale, quella sanitaria e quella pensionistica, presentate dal governo Duque. Le proteste, seguite immediatamente dalla brutale repressione dello Stato, culminata nel massacro di Cali del 29 e 30 aprile, sono cominciate lo scorso 28 aprile e non si sono mai fermate. La giornata del Primo Maggio ha visto centinaia di migliaia di persone nelle strade di tutte le grandi città del paese e anche per oggi sono stati annunciati blocchi stradali, cortei e scioperi in tutta la Colombia a partire dalla prime ore del mattino.

Ieri sera, il presidente Duque ha annunciato il ritiro della riforma fiscale, con l’intenzione di ripresentare il testo al Congresso con delle revisioni al momento non meglio specificate. Gli organizzatori dello sciopero affermano che si tratta di una importante «battaglia vinta ma che non ci fermeremo fino a che non verrà ritirato dal governo l’intero pacchetto di riforme, che include quella della sanità, del lavoro e delle pensioni, fino a quando non ci sarà giustizia per le persone assassinate, arrestate e ferite in questi giorni di mobilitazione, fino a quando non saranno smilitarizzate le città».

Le organizzazioni per la difesa dei Diritti Umani hanno lanciato un appello alla comunità internazionale in solidarietà per il popolo colombiano in lotta, chiedendo di fermare immediatamente l’attacco militare portato avanti dal governo nei confronti di chi sta esercitando il proprio legittimo diritto alla protesta sociale.

La crisi sanitaria scatenata dalla pandemia, oltre ad aver causato la morte di almeno 60mila persone (con migliaia di convalescenti), ha portato il tasso di povertà al 42%, aggravando drammaticamente la situazione sociale di un paese dove per settori importanti della popolazione la fame è una realtà quotidiana.

È in questo contesto che il governo del presidente Ivan Duque ha annunciato una riforma fiscale in linea con le richieste del Fondo Monetario Internazionale che implicherebbe l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità e ridurrebbe la possibilità di l’accesso ai servizi pubblici.

Oltre a questo brutale piano di tagli e all’aumento del costo della vita, il governo propone un’ulteriore riforma che aggraverà la privatizzazione del sistema sanitario, imponendo tagli agli ospedali pubblici e introducendo varie norme, tra cui la polizza aggiuntiva per patologia, in assenza della quale la persona non sarà assistita, assegnando maggiore potere discrezionale sulle tariffe alle EPS, le entità prestatrici di servizio sanitario, attentando così contro il diritto dellǝ colombianǝ ad avere una vita degna e sana.

Preoccupante è anche la situazione umanitaria in tutto il paese: secondo dati pubblicati dalla Justicia Especial para la Paz [Jep, organo di giustizia transizionale competente sulle questioni legate al conflitto armato, ndt] da quando sono stati firmati gli Accordi di Pace [gli Accordi di L’Avana, siglati dall’ex-presidente Santos con rappresentanti delle ormai disciolte Forze armate rivoluzionarie colombiane – Esercito popolare nel 2016, ndt], 904 leader sociali e difensorǝ dei Diritti umani e 276 ex-combattenti delle Farc-Ep sono statǝ assassinatǝ.

La complessità del contesto sociale e della crisi economica, sociale ed umanitaria che il paese sta vivendo, ed una proposta di legge che di fatto difende ed estende i privilegi e gli esoneri fiscali delle multinazionali e del capitale finanziario, fanno sì che «l’83% della popolazione sostiene lo Sciopero e le sue forme di protesta», come ha dichiarato la leader sociale Olga Quintero, membro del Comitato operativo nazionale dell’organizzazione politica Marcha Patriótica.

La giornata di mobilitazione del 28 aprile si è aperta con l’abbattimento della statua del colonizzatore spagnolo Sebastián de Belalcázar da parte del popolo indigeno Misak ed è continuata con il blocco delle principali arterie autostradali del paese, portato avanti da comunità indigene, contadine e afro-discendenti.

Negli ultimi anni le mobilitazioni indigene, afro e contadine si sono unite a quelle di studentǝ, organizzazioni sindacali, popolari e di quartiere, espressione dell’ampiezza della composizione sociale che manifesta la propria opposizione alle politiche che attaccano il benessere del paese. Ma il governo, con il sostegno di parlamentari e dirigenti politici locali, ha preferito adottare una linea militaristica invece di dare risposte al malessere generalizzato che vive il paese.

A partire dalla giornata del Primo Maggio le città di Pasto, Popayán, Bogotá, Medellín, Montería, Soacha, Cali, Pereira, Bucaramanga, Buenaventura e molte altre aree rurali sono state militarizzate e sono state teatro di una crudele repressione statale. Quel giorno migliaia di persone hanno reclamato la smilitarizzazione della città, la fine immediata della violenza contro lǝ leader sociali, lǝ ex-combattenti e i popoli indigeni, il ritiro definitivo della riforma fiscale e sanitaria e la fine del sostegno statale alle grandi imprese, che persistono nel saccheggio e l’accaparramento dei territori che appartengono alle comunità indigene e afro-discendenti.

Le comunità in lotta e diverse organizzazioni per la difesa dei Diritti umani hanno denunciato la violazione delle garanzie previste dalla costituzione in materia di protesta sociale. Sono anche state rilevate infiltrazioni di agenti in abiti civili, che hanno compiuto atti vandalici volti a giustificare le aggressioni delle forze armate. Anche altre irregolarità nell’operato della polizia sono state denunciate dalla Organizzazione non governativa Temblores e dalla rete Defender la Libertad, come per esempio l’utilizzo di armi non convenzionali proibite dal Diritto umanitario internazionale, la detenzione di 672 persone, la maggior parte delle quali in stato di arresto in strutture non istituzionali, eseguite da ufficiali non identificabili; 940 casi documentati di violenza poliziesca, 208 feriti, 18 lesioni oculari, 10 casi di stupro, casi di tortura e 42 casi di violenze e abusi contro giornalisti di media indipendenti e difensori dei diritti umani. La repressione della forza pubblica si è particolarmente accanita contro lǝ manifestanti della città di Cali, uno degli epicentri dell’esplosione di protesta sociale.

La capital del Valle del Cauca è una delle principali città colombiane con due milioni e mezzo di abitanti, colpiti duramente dalla crisi economica e pandemica, e da un vertiginoso aumento della povertà tale da raggiungere in poco tempo tassi elevatissimi. Secondo gli ultimi dati, addirittura la metà della popolazione vive attualmente sotto la soglia di povertà (la cifra è aumentata dal 21% del 2019 al 36% nel 2020, con un 13% di indigenti, dati DANE).

Blocchi stradali di tutti gli accessi della città, ponti e autostrade, mobilitazioni nei quartieri, cortei dalle università e nel centro della città si sono ripetuti per ore senza sosta. Nelle giornate di protesta sono state assaltate istituzioni bancarie, centri commerciali e mezzi di trasporto pubblico, saccheggi nei supermercati e negozi si sono ripetuti in diversi quartieri. Nella notte, la polizia ha sorvolato con elicotteri la città, sono stati interrotte le forniture di elettricità in diversi quartieri popolari e ci sono stati colpi di arma da fuoco e repressioni poliziesche fino a tarda notte.

Data la gravità della crisi umanitaria, le organizzazioni per la difesa dei Diritti umani hanno tenuto una conferenza stampa la sera del 30 aprile a Cali, trasmessa da Red de Derechos Humanos Francisco Isaias Cifuentes, per determinare la responsabilità «politica nella catena di comando delle forze dell’ordine e chiedere accertamenti sulle responsabilità di chi ha dato l’ordine alle forze di pubblica sicurezza di compiere abusi e atti di delinquenza».

Il bilancio della giornata di proteste nella capitale della regione Valle del Cauca è drammatico: 84 persone in stato di arresto, otto persone assassinate dalla polizia (altre sei denunce in fase di verifica), tre persone desaparecidas, 28 gravemente ferite e una donna stuprata da agenti del reparto di polizia anti-sommossa – Esmad. A questo si aggiungono innumerevoli richieste di sostegno psicologico per chi ha subito molestie, abusi sessuali e psicologici dalle forze dell’ordine. Per completare una situazione già drammatica, il ministro della Salute, nella stessa giornata, ha annunciato l’interruzione del programma di vaccinazione a Cali, come ulteriore pressione contro lǝ manifestanti.

È stato lanciato un appello alla solidarietà internazionale per denunciare la politica autoritaria del governo colombiano e le organizzazioni internazionali sono state chiamate a pronunciarsi a favore d’un cessate il fuoco. Seguendo la stessa linea, il coordinamento sociale e politico di Marcha Patriótica ha richiesto il sostegno internazionale per denunciare i fatti accaduti alla Corte penale internazionale e alla Corte interamericana dei diritti umani e per sostenere il legittimo diritto alla mobilitazione sociale. I movimenti sociali e popolari rivendicano nei loro comunicati la necessità di ristabilire la divisione dei poteri nello Stato, che è stata sospesa dall’esecutivo dal 28 aprile per esercitare un uso indiscriminato della forza nei territori urbani e rurali, denunciando ancora una volta la politica anti-democratica e autoritaria del governo di Iván Duque.

Il Paro Nacional è l’espressione di un popolo in mobilitazione per la difesa della vita, della salute, dell’educazione, dei territori e del diritto al dissenso, un popolo che si ribella con dignità contro l’arbitrio del governo. Sono queste caratteristiche fondamentali per una democrazia, che però vengono negate in Colombia, dove è ormai all’ordine del giorno la violazione sistematica dei Diritti umani, del diritto alla vita degna e all’integrità fisica dellǝ leader sociali, dellǝ dirigenti sindacali, comunitari, delle organizzazioni universitarie e della popolazione in generale.

In questi giorni lo slogan «A parar para avanzar» [«scioperare/fermarsi per andare avanti», in spagnolo gioca sul doppio senso di «parar» come fermarsi e come «scioperare», ndt] nato dalle mobilitazioni del 2019 contro il governo che portarono a mesi di intense mobilitazioni fino allo scoppio della pandemia, è tornato a risuonare nel paese.

Nell’ambito di questo processo sociale ed organizzativo si inserisce lo slogan del popolo Misak «A tumbar para avanzar, con la fuerza de la gente» [«abbattere – le statue – per avanzare con la forza della gente”, ndt] per «abbattere i governi che hanno da sempre usato la violenza contro i popoli e contro tuttǝ lǝ colombianǝ», come ha dichiarato Edgar Velasco, segretario del movimento Autoridades Indígenas del Sur Occidente (Aiso).

In un dibattito organizzato da Centro de memorias étnicas (Centro di memorie etniche), Edgar Velasco ha concluso l’intervento così: «riusciremo a portare avanti questa lotta solo con proteste di massa e scioperi permanenti. Invitiamo tuttǝ a tessere alleanze e a mobilitarci nelle città e nelle strade chiamando una minga [spazio di organizzazione, assemblea e resistenza indigena ancestrale, ndt] in ogni settore, per costruire un governo a partire da noi e per noi, con l’appoggio e la solidarietà politica, giuridica e accademica necessaria per fronteggiare le minacce che incombono ogni giorno su questo paese».

Poche ore fa, la Minga indigena, afro e contadina del Cauca ha iniziato una carovana verso la città di Cali per sostenere la lotta popolare contro il governo, annunciando la possibilità di una carovana fino alla capitale del paese nel caso in cui il governo non ritirasse il pacchetto di riforme. La protesta dilaga ed eccede l’opposizione alle singole riforme, sotto accusa è il governo e un sistema politico ed economico ingiusto che sta massacrando il paese.

 

Fonte: dinamopress, 3 maggio 2021