Agricoltura, sistemi alimentari e COP30: un’altra occasione mancata

di Gianluca Brunori
Tra i delusi dell’esito della COP30 ci sono anche coloro che avevano auspicato che finalmente l’agricoltura e la sicurezza alimentare diventassero parte integrante delle politiche climatiche.
Già nel 2021 il Global Food System Summit aveva ribadito che la sostenibilità dei sistemi alimentari costituisce un prerequisito fondamentale per il raggiungimento dell’Agenda 2030, ricordando che quasi tutti gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dipendono direttamente dal modo in cui coltiviamo, trasformiamo, trasportiamo e consumiamo gli alimenti.
Da tempo viene confermato attraverso l’evidenza scientifica come l’aumento dell’insicurezza alimentare, il degrado dei suoli, la perdita di biodiversità e l’espansione dell’impronta climatica dell’agricoltura delineino un quadro in cui lo status quo non è più accettabile. La sicurezza alimentare globale non può dipendere dal modello di agricoltura prevalente, caratterizzato da un uso intensivo di fertilizzanti sintetici, antiparassitari, allevamenti su larga scala, monocolture e da una forte dipendenza da combustibili fossili lungo l’intera filiera, ma da una profonda trasformazione dei sistemi alimentari, basata su pratiche agroecologiche in grado di perseguire la diversificazione colturale, la riduzione dell’uso di input chimici, la rigenerazione dei suoli e la deglobalizzazione dei modelli di trasformazione e distribuzione.
Avviato durante la COP27 di BAKU, lo Sharm el-Sheikh Joint Work on Agricolture and Food Security (SJWA), un processo negoziale finalizzato all’integrazione delle politiche alimentari con le politiche climatiche, avrebbe dovuto rendere operativo un percorso per rendere vincolanti le raccomandazioni nei confronti dei Paesi aderenti, che ancora adesso concentrano gli incentivi pubblici su modelli produttivi che aggravano vulnerabilità e impatti climatici. Non essendo stato raggiunto un accordo sulla risoluzione proposta, si dovrà aspettare il 2026, anno di scadenza del processo negoziale, per capire se mai questo avrà un esito positivo.
Il documento negoziale, rimasto in bozza dopo la COP30, propone una visione sistemica dei sistemi alimentari, riconoscendo la centralità della sicurezza alimentare come priorità non negoziabile in un mondo colpito da crisi climatiche sempre più frequenti. Il documento sottolinea inoltre la vulnerabilità intrinseca dei sistemi agricoli agli impatti climatici, con particolare attenzione alle comunità rurali, alle popolazioni indigene e ai piccoli agricoltori, spesso privi delle risorse necessarie per adattarsi.
Il testo parte dal riconoscimento, ormai generalizzato all’interno della comunità scientifica, che il sistema agroalimentare globale contribuisce per circa un terzo alle emissioni di gas serra. Di conseguenza, la mitigazione nel settore agricolo viene considerata una componente essenziale di qualsiasi strategia climatica credibile. La bozza insiste su un approccio olistico, suggerendo interventi lungo tutta la catena del valore – produzione, trasformazione, trasporto, consumo e gestione degli sprechi – e valorizzando il ruolo dell’agroecologia e delle conoscenze tradizionali.
Il documento sottolinea l’urgenza di rafforzare la finanza climatica dedicata all’agricoltura e ai sistemi alimentari: solo una frazione marginale dei finanziamenti climatici globali, infatti, è oggi destinata al settore, e questa lacuna costituisce un ostacolo fondamentale alla realizzazione degli interventi necessari. Infine, propone una maggiore integrazione tra politiche climatiche, agricole, del suolo, della biodiversità e dell’acqua, riconoscendo che nessuno di questi ambiti può essere affrontato isolatamente.
La COP30, come noto, è stata attraversata da dinamiche che hanno inciso profondamente sull’esito finale. In primo luogo, la partecipazione significativa delle lobby dell’agro-alimentare, tra cui grandi produttori di fertilizzanti, multinazionali della carne e conglomerati dell’agrobusiness, ha esercitato una pressione costante per limitare gli impegni sulla mitigazione nel settore agricolo e per mantenere un approccio volontario e tecnocratico alle trasformazioni. Questo riflette una tendenza crescente registrata negli ultimi vertici climatici.
La mancata approvazione del documento conferma la delusione sugli esiti della COP30, e mette ancora più in evidenza la mancanza di una leadership in grado di guidare il sistema multilaterale verso proposte all’altezza delle sfide climatiche.
La necessità di riformare i sistemi alimentari resta un’urgenza globale. Riprendere il percorso richiederà la costruzione di alleanze inclusive tra agricoltori, comunità indigene, società civile e governi, la definizione di meccanismi finanziari dedicati e stabili, e l’adozione di una strategia multilivello capace di produrre accordi progressivi e modulari. L’esito della COP30 non chiude il discorso sul rapporto tra agricoltura e clima: ne sottolinea, al contrario, la centralità e la complessità.
Per approfondire
Crippa, M. et al. (2021), Food systems are responsible for a third of global anthropogenic GHG emissions, Nature Food.
De Schutter, O. (2020), The political economy of food systems transformation, Global Food Security.
Intergovernmental Panel on Climate Change (2019), Special Report on Climate Change and Land (SRCCL).
Gianluca Brunori è professore ordinario di Politica Alimentare presso l’Università di Pisa. Dal 2024 è Direttore del Centro Interdisciplinare Scienze per la Pace dell’ateneo e Presidente della Società Italiana di Economia Agraria.


