venerdì, Luglio 11, 2025
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Guerra, città e rimozione: rileggere “Storia naturale della distruzione” di W.G. Sebald


 

di Sonia Paone

Pubblicato nel 1999 e tradotto in italiano nel 2004, Storia naturale della distruzione è uno dei testi più significativi di Winfried Georg Sebald, scrittore tedesco naturalizzato britannico, figura centrale della letteratura europea del secondo Novecento. Il volume raccoglie, in forma modificata, le conferenze tenute dall’autore a Zurigo, alla fine del 1997, sul tema “Guerra aerea e letteratura”.

Nel primo saggio, che dà il titolo alla raccolta, Sebald affronta un nodo irrisolto della memoria collettiva tedesca: il bombardamento sistematico delle città tedesche da parte degli Alleati durante la Seconda guerra mondiale e il silenzio letterario e storiografico che lo ha avvolto nel dopoguerra.

Sebald ricorda, rifacendosi ai dati ufficiali, che la sola Royal Force sganciò un milione di tonnellate di bombe in quattrocentomila incursioni, delle cento trentuno città attaccate molte vennero quasi rase al suolo, fra i civili le vittime della guerra aerea furono 600.000, tre milioni e mezzo di edifici andarono distrutti e oltre sette milioni di civili si ritrovarono senza una casa, secondo le stime ufficiali dell’epoca rimasero senza casa alla fine del conflitto.

A ogni abitante di Colonia e a ogni abitante di Dresda toccarono rispettivamente 31,4 e quasi 43 metri cubi di macerie pro capite, ma di questo immenso dramma non c’è traccia nella letteratura tedesca del dopo guerra. Le eccezioni sono pochissime: il romanzo postumo di Heinrich Böll, Der Engel schwieg (L’angelo tacque), ambientato in una Colonia distrutta, offre uno dei pochi ritratti intensi della devastazione, con toni esistenziali e antiretorici. Non a caso, il libro venne pubblicato solo nel 1992, a decenni di distanza dalla sua stesura.

Sebald si chiede: perché la distruzione delle città è stata rimossa dalla coscienza pubblica? Perché la letteratura tedesca non ha elaborato in modo adeguato questo trauma? Con uno stile sobrio e meditativo, l’autore denuncia una forma di rimozione collettiva, che ha impedito un’elaborazione autentica del dolore e delle responsabilità.

Storia naturale della distruzione avrebbe dovuto intitolarsi un saggio del britannico Solly Zuckerman sul bombardamento a tappeto che devastò Colonia: l’aggettivo naturale evocava l’ineluttabilità di un evento inteso come parte di un inarrestabile meccanismo, e rimandava a un processo quasi inevitabile, automatico, biologico, disumanizzato.

Sebald condivide questa visione: la guerra, suggerisce, è diventata un evento naturale nell’immaginario collettivo, qualcosa che accade, come una calamità. In questo senso, la distruzione delle città tedesche viene raccontata come un fenomeno che ha perso il suo significato etico, divenendo mero dato tecnico e statistico.

Inserito nel più ampio contesto della poetica di Sebald, Storia naturale della distruzione si intreccia profondamente con i temi ricorrenti che attraversano la sua opera: la memoria e l’oblio, il trauma e le sue risonanze, il rapporto complesso tra parola e silenzio, tra immagini e narrazione storica.

Nei suoi romanzi, da Gli anelli di Saturno ad Austerlitz, l’autore si confronta incessantemente con le ferite lasciate dalla violenza storica, indagando le tracce che essa imprime tanto sull’individuo quanto sul paesaggio. A questa esplorazione, Sebald affianca una precisa scelta stilistica: il rifiuto di ogni forma di epica o retorica, a favore di un linguaggio sobrio, lontano da ogni enfasi consolatoria.

Il suo stile, che fonde elementi saggistici con la narrazione letteraria, si distingue per l’inclusione di fotografie d’archivio, digressioni colte, percorsi associativi apparentemente laterali ma in realtà profondamente connessi. Ne risulta una scrittura frammentaria e stratificata, che costruisce un vero e proprio “montaggio della memoria”: un mosaico incompiuto, in cui spetta al lettore il compito di ricomporre i pezzi dispersi della Storia, di dare senso all’incompiuto e al non detto.

In Storia naturale della distruzione Sebald non si limita a offrire una cronaca delle sofferenze subite dalla popolazione tedesca durante i bombardamenti alleati della Seconda guerra mondiale; ciò che propone è piuttosto una riflessione profonda e disturbante sulla responsabilità etica della letteratura e del ruolo dell’intellettuale di fronte al trauma.

Non si tratta – come a volte si è creduto, fraintendendo le intenzioni dell’autore – di rivalutare o riabilitare quella sofferenza in chiave vittimistica, quanto di sottolineare come ogni esperienza collettiva del dolore debba trovare uno spazio di elaborazione narrativa. Quando questo spazio viene negato, o rimosso, il silenzio che ne deriva finisce per diventare esso stesso una forma di complicità, una tacita adesione all’oblio.

L’attualità di Storia naturale della distruzione si rivela oggi inquietante e, al tempo stesso, straordinariamente potente. In un’epoca segnata da conflitti continui ma sempre nuovi – da guerre mediatizzate e spesso ridotte a eventi spettacolarizzati, dalla Siria all’Ucraina, da Gaza al Sudan – la questione della rappresentazione della violenza e della sofferenza torna con forza al centro del discorso pubblico.

Anche oggi, assistiamo a un vero e proprio “consumo” delle immagini della distruzione: fotografie, video e narrazioni circolano rapidamente, perdendo progressivamente ogni potere evocativo e diventando parte di un flusso indistinto. Questo processo rischia di disumanizzare il dolore, di ridurlo a semplice spettacolo, svuotato della sua carica etica.

Proprio come accadeva nei resoconti aeronautici dei bombardamenti o nei racconti tecnici e impersonali della guerra moderna, si assiste a una pericolosa distanza tra l’evento e la sua percezione: una distanza che genera una sorta di anestesia collettiva, una progressiva insensibilità al trauma altrui. In questo contesto, l’opera di Sebald ci obbliga a riflettere non solo su ciò che viene narrato, ma anche – e forse soprattutto – su ciò che resta inascoltato, su ciò che viene taciuto, dimenticato, rimosso.

 

Sonia Paone è Professoressa Associata in Sociologia dell’Ambiente e del Territorio presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Pisa, membro del CISP e Presidente dei Corsi di Laurea in Scienze per la Pace: Cooperazione Internazionale e Trasformazione dei Conflitti.