mercoledì, Aprile 17, 2024
Cibo

Limitazione delle scorte di cibo, aumento dei prezzi e impoverimento dei redditi in tempo di pandemia

L’attuale pandemia sta avendo conseguenze drammatiche non solo dal punto di vista sanitario, ma anche per la crescita delle disuguaglianze economico-sociali: l’accesso al cibo costituisce un indicatore significativo in questo contesto, analizzato in questo articolo pubblicato su Valigia Blu. Come avverte il World Food Programme, la situazione è critica anche in zone non classicamente riconosciute come ad alta povertà, mettendo a repentaglio la sicurezza alimentare per più di 260 milioni di persone. Critica è, in particolare, la situazione per i bambini, a rischio malnutrizione anche in aree tradizionalmente non investite da questo problema. Il New York Times documenta come sempre più persone si rivolgono ai banchi alimentari di aiuto negli Stati Uniti, così come in Europa. In Italia, la Caritas ha registrato che il 34% delle richieste di cibo deriva dai “nuovi poveri”, ossia coloro che non hanno mai fatto richiesta di aiuto. La pandemia sta dunque sottolineando la vulnerabilità e l’inadeguatezza dei sistemi alimentari globali, rendendo difficile il raggiungimento dell’obiettivo di azzerare la fame nel mondo entro il 2030.

 

di Redazione Valigia Blu

 

Limitazione delle scorte di cibo, aumento dei prezzi e impoverimento dei redditi. Tra le principali conseguenze negative della pandemia di COVID-19 c’è il rafforzamento delle diseguaglianze economiche. Secondo il Fondo Monetario Internazionali (FMI) nel 2020 la crescita globale prevista sarà di –4,9%, mentre la ripresa dovrebbe essere più graduale di quanto stimato in precedenza. L’FMI spiega inoltre che l’impatto negativo sulle famiglie a basso reddito è particolarmente pesante. Una situazione che mette “a repentaglio i significativi progressi compiuti nella riduzione della povertà estrema nel mondo gli anni ’90”.

Centinaia di milioni di persone in grave difficoltà economica nel mondo infatti stanno vivendo una crisi crescente nel riuscire a garantirsi i propri bisogni alimentari di base, racconta il New York Times. La pandemia sta limitando ulteriormente le scorte di cibo, spingendo i prezzi sempre più in alto, mentre milioni di persone stanno vedendo il loro reddito impoverirsi.

«Sentiamo i nostri bambini urlare per la fame, ma non c’è niente che possiamo fare» ha detto al NYT Halima Bibi, abitante in un villaggio nel sud-est dell’Afghanistan. La sua famiglia viveva già in povertà, riuscendo a sopravvivere grazie al lavoro del marito che ogni giorno con una carriola trasportava prodotti alimentari da un mercato locale alle case circostanti, portando a casa la sera pane, patate e fagioli. Il nuovo coronavirus, quando è arrivato, ha ucciso i suoi vicini e fatto chiudere il mercato e per questo i pochi guadagni del marito si sono quasi azzerati con il risultato che a volte per cena l’uomo riesce a portare solo pane, mentre altre volte torna senza niente. «Questa non è solo la nostra situazione – ha detto Bibi –, ma riguarda la maggior parte delle famiglie dove viviamo».

Lo scorso aprile, durante il vertice Straordinario dei Ministri dell’Agricoltura del G20, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), il Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (IFAD), la Banca Mondiale, il Programma Alimentare Mondiale (WFP), in una dichiarazione congiunta, hanno avvertito come la pandemia ponga sfide senza precedenti con profonde conseguenze sociali e economiche, tra cui la compromissione della sicurezza alimentare e della nutrizione: “I limiti alla circolazione all’interno e tra i paesi [ndr, per via delle misure di restrizioni decise dai governi per ridurre il diffondersi del virus] possono ostacolare i servizi logistici legati ai prodotti alimentari, sconvolgere intere catene di approvvigionamento alimentare e incidere sulla disponibilità di cibo. Le conseguenze dei limiti alla circolazione della manodopera agricola e della fornitura di input porranno presto sfide critiche alla produzione alimentare, mettendo a repentaglio la sicurezza alimentare di tutti, e soprattutto delle popolazioni dei paesi più poveri”.

Lo stesso mese, il Programma alimentare mondiale (WFP) delle Nazioni Unite ha stimato che a seguito dell’impatto economico della COVID-19 il numero di persone che affrontano un’insicurezza alimentare acuta – cioè quando l’impossibilità di consumare cibo sufficiente espone una persona o i suoi mezzi di sussistenza a pericolo immediato – potrebbe salire a 265 milioni nel 2020, con un aumento di 130 milioni rispetto ai 135 milioni del 2019. Lo scorso anno la maggior parte di queste persone si trovava in paesi colpiti da conflitti (77 milioni di persone), cambiamenti climatici (34 milioni) e crisi economiche (24 milioni). Nel 2019 le peggiori crisi alimentari si sono verificate in dieci paesi:  Yemen, Repubblica Democratica del Congo, Afghanistan, Venezuela, Etiopia, Sud Sudan, Siria, Sudan, Nigeria e Haiti.

L’impatto socio-economico della pandemia COVID-19 rischia di colpire in maniera particolare i minori. «Secondo l’UNICEF, anche prima della pandemia da COVID-19, erano 47 milioni i bambini che soffrivano di malnutrizione acuta nel 2019. Senza un’azione urgente, il numero globale di questi bambini potrebbe raggiungere la cifra di quasi 54 milioni nel corso dell’anno. Questo porterebbe la malnutrizione a livelli mai visti in questo millennio» ha affermato a luglio il Presidente dell’UNICEF Italia Francesco Samengo. L’80% di questi bambini proverrebbe dall’Africa subsahariana e dall’Asia meridionale, mentre più della metà di questi bambini si troverebbe nella sola Asia meridionale, secondo uno studio pubblicato su The Lancet.

L’UNICEF sottolinea inoltre che “La COVID-19 aumenterà anche altre forme di malnutrizione nei bambini e nelle donne, tra cui arresto della crescita, carenze di micronutrienti, sovrappeso e obesità come risultato di diete più povere e dell’interruzione dei servizi nutrizionali”.

Aumento di disuguaglianze e povertà non sono però fenomeni limitati ai paesi più poveri. Come documenta sempre il New York Times, infatti, persone che prima lavoravano e che non si erano mai sentite obbligate a cercare aiuto ora stanno facendo la fila ai banchi alimentari anche ad esempio negli Stati Unitiin Spagna e in Gran Bretagna.

Emma Revie, l’amministratrice delegata di Trussell Trust – la più grande rete di banche alimentari a sostegno delle persone in difficoltà economiche nel Regno Unito – ha spiegato come una loro ricerca abbia rilevato che gli effetti legati alla Covid-19, nonostante le misure prese dal governo, «hanno portato decine di migliaia di nuove persone a dover utilizzare per la prima volta un banco alimentare»: «Questo non è giusto. Se non agiamo ora, ci saranno ulteriori catastrofici aumenti della povertà in futuro».

In Italia, dove anche sono state prese dal governo diverse misure per far fronte alle difficoltà economiche e sociali legate alle restrizioni e chiusure anti-Covid, in base ai dati forniti dalla fondazione Banco Alimentare Info Data de Il Sole 24 Ore, “da metà marzo progressivamente sono aumentate le richieste di prodotti da parte delle strutture accreditate (+320 strutture nel periodo marzo-giugno 2020 su un totale di 7.994), registrando un progressivo aumento della domanda pari al 40% con picchi del 70% nelle regioni del sud”. “Dall’inizio della pandemia al 24 giugno 2020 – si legge ancora – il Banco Alimentare ha assistito 2,1 milioni di persone, contro gli 1,5 milioni prima del COVID-19”.

 

La Caritas, nella sua ultima rilevazione nazionale condotta dal 3 al 23 giugno, pubblicata a luglio e che riguarda 169 Caritas diocesane (il 77,5% del totale), segnala un aumento dei problemi legati alla perdita del lavoro e delle fonti di reddito. L’organismo pastorale della CEI comunica inoltre che delle centinaia di migliaia delle persone sostenute da marzo a maggio (circa 450mila), “il  34% sono ‘nuovi poveri’, cioè persone che per la prima volta si sono rivolte alla Caritas”.

In base al rapporto “Stato della Sicurezza Alimentare e della Nutrizione nel mondo” pubblicato questa estate dalle Nazioni Unite, “la pandemia di COVID-19 sta intensificando le vulnerabilità e le inadeguatezze dei sistemi alimentari globali, intese come tutte le attività e i processi che incidono sulla produzione, la distribuzione e il consumo di cibo”, mettendo “ulteriormente a rischio il raggiungimento del secondo Obiettivo di Sviluppo Sostenibile (Fame Zero)” – cioè l’impegno preso nel 2015 dalla comunità mondiale dimettere fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere l’agricoltura sostenibile entro il 2030.

 

Fonte: Valigia Blu, 18 settembre 2020.