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Editoriale

Untitled, Shamsia Hassani, marzo 2020

Da tempo, noi del CISP, coltivavamo il progetto di realizzare un Magazine: uno strumento da affiancare alla rivista Scienza e Pace, che ne condividesse il taglio interdisciplinare nel promuovere il contributo che le scienze (tutte le scienze) possono dare alla costruzione della pace, ma con uno stile comunicativo più agile e finalità divulgative, senza ovviamente rinunciare al rigore scientifico.

Però il progetto veniva continuamente rinviato: partiva, ma poi si arenava. Sentivamo che era un progetto importante, ma le urgenze erano sempre altre e le difficoltà di realizzazione richiedevano approfondimenti ulteriori.

Finché, in una maniera che ha sorpreso prima di tutto noi, questo tempo sospeso dalla pandemia – in cui tanti progetti hanno avuto rallentamenti o battute di arresto – è diventato tempo di gestazione, elaborazione, maturazione, tempo che ha riordinato le priorità: e abbiamo sentito che l’importante sopravanzava di gran lunga ciò che, poco più di un mese fa ancora, ci sembrava urgente. Importante ora, per noi che coltiviamo le Scienze per la Pace, è esserci e prendere la parola in questo tempo di crisi che solo in apparenza è sospeso, ma in realtà è tempo formidabile di cambiamento e costruzione. Con questo spirito iniziamo, prima del previsto, le pubblicazioni online di Scienza & Pace Magazine.

Nel diluvio di notizie – spesso comunicate con una retorica bellicista infarcita di espressioni come “nemico invisibile”, “armi per contrastare il virus”, “prime linee”, “trincee”, “rinforzi”, “gabinetto di guerra” – la nostra presa di parola è un’assunzione di responsabilità, nel senso di abilità nel rispondere, che presuppone un passaggio preliminare: porre le domande giuste e indirizzare lo sguardo al di là della superficie degli eventi. Le Scienze per la Pace hanno molto da dire e da dare, soprattutto per spostare l’attenzione dalla pandemia e dai suoi effetti immediati alle cause profonde che l’hanno determinata e/o amplificata: su queste cause occorre oggi aprire la discussione pubblica, se vogliamo davvero apprendere dagli eventi e ripensare la direzione del nostro futuro.

Questo tempo non è una parentesi. È un tipping point, un punto di svolta epocale. Più di 1,2 milioni di persone risultano a oggi positive al virus; 264.000 sono in cura; 70.000 sono morte. 3,5 miliardi di persone in 80 paesi sono ferme, in lockdown. Numeri di cui si fa fatica a cogliere la portata, destinati ad aumentare ancora, che possono provocare anche effetti insperati. L’appello al cessate il fuoco globale formulato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterrez, è stato accolto in diverse aree di conflitto, come lo Yemen, la Libia, il Camerun, la Colombia, la Syria e l’Ucraina. Alcune immagini sono già diventate icone per il potere evocativo immenso che hanno. Vogliamo ricordarne solo due, dall’Italia: il corteo di camion militari che trasportano centinaia di bare da Bergamo ai cimiteri dell’Emilia; Papa Francesco che prega da solo sotto la pioggia battente in una Piazza San Pietro deserta. A fronte di queste immagini che urlano la vulnerabilità di noi essere umani, ci sembra ancora più insensata la notizia della rimozione del capitano della portaerei statunitense Theodor Roosvelt per avere chiesto di fare sbarcare l’equipaggio (5000 persone) così da evitare che il contagio, già in atto, dilagasse: non si abbandona una nave da guerra – è stata la risposta – anche se una guerra non c’è.

È ormai evidente che la pandemia colpisce tutte e tutti, ma non allo stesso modo: situazioni di fragilità e diseguaglianza economica e sociale vengono esasperate; nuove povertà (invisibili o inimmaginabili fino a pochi mesi fa) compaiono e ci accompagneranno a lungo; per milioni di persone il confinamento non è possibile (non hanno una casa, oppure non possono fare a meno di uscire per cercare cibo) e ancora meno praticabili sono le misure di distanziamento sociale (impensabile per chi vive nei campi profughi, negli slum, nelle baraccopoli, nelle carceri, …) e persino il semplice lavaggio delle mani (in mancanza di acqua).

La domanda di maggiore giustizia sociale cresce in tutto il mondo: non si può morire vittime di un sistema sanitario pubblico deprivato di risorse, o perché si è costretti a lavorare senza le adeguate protezioni. La scienza, marginalizzata e diffamata da una fitta schiera di detrattori che va dai no-vax a molti politici populisti, ha ritrovato il suo ruolo pubblico: per mantenerlo, però, deve essere in grado di parlare ai cittadini e alle cittadine, ad esempio per spiegare il nesso tra crisi ecologica, crisi climatica e diffusione del virus. Le nuove tecnologie applicate alla tracciabilità e all’identità personali possono costituire una risorsa, e non una minaccia, se sapremo garantire il giusto bilanciamento tra diritto alla salute e diritto alla privacy. Possiamo avere la salute e la privacy. Possiamo scegliere di proteggere la nostra salute e fermare l’epidemia di coronavirus senza istituire regimi di sorveglianza totalitari, ma responsabilizzando le persone. Quando sono informati sui fatti scientifici e si fidano delle autorità pubbliche, i cittadini e le cittadine possono fare la cosa giusta. Ma per raggiungere questo livello di rispetto delle regole e di collaborazione, ci vuole fiducia. Le persone devono potersi fidare della scienza, delle tecnologie, delle autorità pubbliche e dei mezzi d’informazione: c’è molto da fare, la fiducia erosa per anni non può essere ricostruita da un giorno all’altro.

La stessa ricerca scientifica (non solo la ricerca volta alla individuazione di un vaccino o di farmaci efficaci contro il Covid-19) può fare moltissimo per ripristinare questa fiducia e implementare la collaborazione dei cittadini e delle cittadine. Una collaborazione consapevole, fondata anche sul coinvolgimento attivo nei progetti scientifici: non semplicemente come destinatari dei risultati finali, ma come stakeholders i cui bisogni vanno ascoltati prima ancora di formulare i progetti di ricerca. L’approccio della Responsible Research and Innovation (RRI), che l’Università di Pisa ha inserito nel suo piano strategico di ricerca, va in questa direzione e noi del CISP lo sosteniamo con convinzione.

In questo tempo di svolta, non una parentesi prima del ritorno alla “normalità”, vogliamo essere proattivi, vitali, creativi. Presenti.

Lo faremo pubblicando sul Magazine articoli e video-interviste originali – la grande ricchezza del CISP è nelle numerose e differenti competenze al suo interno – ma anche segnalando contributi già pubblicati, sia italiani che stranieri. Ci aiuteranno in redazione – e li ringraziamo per questo – le volontarie e i volontari del Servizio Civile Universale. Ma contiamo sul contributo di tutte e tutti voi, come lettori e lettrici, ma anche come autori e autrici, per far crescere e diffondere il seme della riflessione.